Pietrangelo Buttafuoco, dalle colonne di Libero, ha lanciato la provocazione. Il prossimo governatore della Sicilia? Luca Zaia. “L’autonomia regionale potrebbe trovare finalmente senso solo con un vero campione”. La buona politica di Zaia, Lega o non Lega, è sotto gli occhi di tutti. In questi giorni ne è arrivata una conferma in ambito sanitario: il Veneto, infatti, ha prorogato di tre mesi il proprio tariffario per le singole prestazioni di specialistica ambulatoriale erogate dai laboratori analisi e dalle cliniche private accreditate. In pratica, la Regione governata da Zaia non risentirà del nuovo nomenclatore tariffario – meglio noto come decreto Schillaci – entrato in vigore il 30 dicembre, appena tre giorni dopo la pubblicazione.

Il provvedimento ha scombussolato il Tar del Lazio, ch’era arrivato a sospendere l’introduzione delle nuove tariffe salvo ripensarci (per la “dichiarata gravità delle conseguenze della sospensione del decreto che determinerebbero il blocco del sistema di prenotazione ed erogazione” dei servizi “con un impatto sulla salute dei pazienti”). E rischia di danneggiare in modo irreparabile ambulatori e laboratori analisi, che già si scontrano con un budget annuale ritenuto non all’altezza del numero e della qualità delle prestazioni erogate. Il Veneto, a differenza della Sicilia, ha potuto decidere di concedere, per almeno tre mesi, margini più alti alle strutture convenzionate.

Il taglio sui rimborsi, come riporta Il Mattino di Padova, non riguarderà la regione di Zaia: dove per una risonanza magnetica al cervello verranno riconosciuti 356 euro alle strutture rispetto ai 184 previsti dal nuovo nomenclatore; o dove per una risonanza al torace si verserà il corrispettivo di 346 euro (rispetto ai 208 sanciti dal decreto nazionale). Questa “eccezione” è stata possibile non solo grazie ai super poteri di Luca Zaia, la cui giunta – il 15 novembre scorso – aveva stabilito la proroga del proprio tariffario fino al prossimo 31 marzo; ma soprattutto al fatto che il Veneto non è soggetto al cappio del Piano di rientro dal disavanzo sanitario, ossia la cura dimagrante imposta a sette regioni, prevalentemente del Sud Italia: Abruzzo, Calabria, Campania, Lazio, Molise, Puglia e Sicilia. L’autonomia differenziata, di fatti, esiste già. Ed è dannosa per chi la “subisce”.

Attualmente, non sono disponibili dati pubblici che forniscono una stima esatta dell’incidenza economica di queste differenze tariffarie sul fondo sanitario della Regione Veneto. La stima secondo la Cgil FP è di 100 milioni. I “sette anatroccoli” invece sono tenuti a uniformarsi alle direttive calate dall’alto, senza poter intervenire con un solo euro in più a supporto dei privati convenzionati. Che nel frattempo, almeno in Sicilia, rischiano di impoverirsi, di licenziare, fino a chiudere. La Regione presieduta da Renato Schifani, a differenza di quella retta da Luca Zaia, non potrà permettersi neppure un giorno di transizione, necessario per adeguare le tariffe ma anche i sistemi di prenotazioni e i codici di codifica degli esami. Perché, semplicemente, deve attenersi alle regole imposte da Roma nel lontano 2007, che vieta fermamente alle Regioni con un disavanzo sanitario di poter programmare gli investimenti nel medio e lungo termine. Sono passati 18 anni e siamo ancora a dieta.

Nel caso del Veneto, si spiega che la proroga del vecchio tariffario servirà anche ad adeguare “i sistemi informatici aziendali e le modalità organizzative, al fine di arrecare il minor disagio possibile all’utenza, garantendo ai cittadini la continuità assistenziale”. I cittadini siciliani, invece, sono figli di un dio minore ed è già accaduto che alcuni utenti delle Asp venissero mandati a casa perché il sistema informatico era andato in tilt e risultava impossibile il pagamento del ticket o accedere alle procedure necessarie per attivare le prestazioni. Un caos annunciato, su cui pendono varie componenti e a vario titolo: dal governo nazionale, che ha sancito in maniera perentoria e arrogante l’introduzione e l’avvio del nomenclatore dal 30 dicembre; passando per i burocrati di Aziende sanitarie e ospedali nostrani, presi alla sprovvista da tanta determinazione; senza dimenticare i medici prescrittori, alle prese con un sistema che meriterebbe un rodaggio più lungo. Mentre la politica siciliana, rimasta per mesi in silenzio, si spera che affronti di petto la questione del Piano di rientro, per non finire schiacciata dall’indifferenza di chi gestisce i processi dall’alto.

Anche per rispetto di un’utenza che ne ha già passate di tutti i colori – dal caos nei Pronto soccorso alle infinite liste d’attesa (per una Tac si può aspettare fino a un anno). Lo stesso ministro Schillaci, dalla Capitale, ha ribadito che “occorre uno sforzo maggiore anche da parte delle Regioni facendo buon uso delle risorse messe a disposizione e degli strumenti introdotti con la nuova legge per un sistema più efficiente”. Ma le risorse a disposizione della Sicilia non saranno mai abbastanza finché le forche caudine del “rientro” renderanno impossibile effettuare nuova spesa. Il sistema, che si regge su un fragile equilibrio fra pubblico e privato, rischia di capitolare una volta per tutte. Forse basterebbe Luca Zaia, ma non è detto…