Non è più tempo di Beach Tour, quando Salvini riempiva spiagge e lidi di ogni parte d’Italia, tra un drink e una conferenza stampa vista mare. L’11 agosto era giunto anche in Sicilia, a Taormina, Catania e Siracusa. Il viaggio in pompa magna del leader della Lega era suggellato dal distintivo di Ministro, che più o meno ovunque gli regalava un’accoglienza calorosa (talvolta clamorosa). “Capitano, o mio capitano, sbarazzaci dai migranti”. Sono trascorsi pochi mesi e il mondo di Salvini è cambiato: a nove giorni da quella visita, in cui la Sicilia non era nient’altro che la Sicilia (ma avvertiva più di altri il peso mediatico della chiusura dei porti), e le Sardine ancora non esistevano, il segretario del Carroccio finì fuori dal governo, dopo averlo condotto sull’orlo della crisi.
Ma in questi 176 giorni che lo separano dall’ultimo sbarco nell’Isola, sono cambiate tante cose. Salvini ha ottenuto successi in serie, ad eccezione dell’Emilia Romagna (dove la Lega ha comunque sfondato la barriera del 30%, che non è esattamente una disfatta). La Sicilia, da par suo, ha salutato la formazione del primo gruppo della Lega nel parlamento regionale. Una prima volta storica. E anche questa una vittoria di Salvini, capace di far breccia nel cuore di moderati ed ex democristiani, che gli garantiscano continuità politica in quello che è sempre stato il feudo del centrismo, da sempre.
Salvini, che oggi pomeriggio arriva a Palermo per il suo incontro pubblico al teatro Al Massimo, nella casa del “nemico” Leoluca Orlando, passeggerà nel quartiere di Ballarò, farà un salto al commissariato di Polizia “Oreto” in via Roma e infine si soffermerà a cena con 500 convitati. La città ha cominciato a contestarlo con qualche ora d’anticipo (e i classici striscioni appesi ai balconi), mentre l’unico fuoriprogramma (già annunciato) dovrebbe essere la “citofonata pacifica” delle sardine in piazza Verdi. Per il resto, il “capitano” avrà una grande squadra ad accoglierlo. Quella dei deputati regionali che un paio di settimane fa è salita su in Emilia, a Bologna, per stringere i primi contatti col “capitano”.
A comporla ci sono Orazio Ragusa, presidente della terza commissione dell’Ars, reduce da Forza Italia; Giovanni Bulla, fuoriuscito dell’Udc; Marianna Caronia, all’inizio con Forza Italia, poi nel Misto e in qualche frangente autonomista; e infine Antonio Catalfamo, il nuovo capogruppo, ex meloniano già sugli scudi (si è scornato con Aricò di Diventerà Bellissima). E poi ci sarà uno squadrone, quello dei consiglieri comunali. Palermo città ne ha addirittura quattro: l’ex grillino Gelarda ha riunito Ficarra, Anello e Caronia (che si divide fra palazzo delle Aquile e palazzo dei Normanni). Infine ci sono i due personaggi che hanno tessuto l’ordito: Stefano Candiani, il commissario regionale della Lega, e Nino Minardo, la new entry, deputato nazionale, reduce da una lunga esperienza con Berlusconi.
Gli uomini ci sono e le basi appaiono più che solide. Salvini, a differenza di com’è andata in Umbria, o in Abruzzo, in Sicilia trova qualche resistenza in più. In primis la conformazione di un elettorato che ama stare alla larga da teorie radicalizzate. Questa è una terra in cui Forza Italia prende ancora il 17% alle Europee, per intenderci. E in cui, al Parlamento regionale, tira ancora una forte aria di Dc: fra i deputati dei Popolari e Autonomisti, quelli dell’Udc (fanno undici in totale), e i dieci forzisti, la composizione del centrodestra è molto più vicina agli standard calabresi che non a quelli veneti.
Persino il governatore Musumeci, prima di rinsavirsi e comiziare a piazza San Giovanni, all’evento di ottobre delle Lega, era corso affannosamente al centro, intravedendo proprio lì – con la destra occupata da Salvini – l’unico spazio politico percorribile. Poi s’è rinsavito. E dopo aver dato vita – in maniera infruttuosa – a “Ora Sicilia”, che doveva essere la terza gamba del centrodestra, il feto del nuovo Carroccio, è tornato a insistere perché la sua Diventerà Bellissima si federi alla Lega. E chissà che in questa due giorni palermitana non abbia modo di ripeterlo a qualcuno.
La Lega, grazie all’azione di Nino Minardo (“Ma non sono il cavallo di Troia di Micciché” ha spiegato a “La Sicilia”), è stata brava e audace a costruire un filo diretto con Forza Italia. Un patto di non belligeranza, con la condivisione di intenti reciproci – la sburocratizzazione da calare nel prossimo programma elettorale – che sembrano aver cancellato le parolacce del passato (“Salvini è uno str…” diceva Micciché a microfoni accesi. “Lui e Di Maio? I cogl… viaggiano sempre in coppia”). Per inciso, Salvini e Miccichè dovrebbero vedersi domani, per un colloquio informale all’Ars, prima della presentazione in conferenza stampa del gruppo della Lega.
La fase-2, dopo aver ricucito coi berluscones, è stata una campagna acquisti certosina, mirata. Alla Lega hanno aderito pezzi sparsi del centrodestra: in senso partitico ma anche territoriale, dato che da Ragusa a Bulla, passando per Catalfamo e la Caronia, tutto (o quasi) il territorio siciliano è coperto. Da Catania – con Bulla, e dove il sindaco Pogliese (in quota Fratelli d’Italia) costituisce un’amicizia solida – a Ragusa (con Minardo e lo stesso Orazio Ragusa), passando per Palermo e Messina (territorio di Catalfamo). Candiani e Minardo hanno unito tutti i puntini, e ne hanno tirato fuori un’architettura che sembra poter reggere alle intemperie, a meno che non sia essa stessa a provocarle. E il mercato non è ancora concluso: sfumato Mario Caputo (che si era candidato con “Noi con Salvini”, ma qualche giorno fa, subentrato a Rizzotto, ha scelto Forza Italia), va tenuto sotto osservazione il malcontento dei grillini “responsabili”. Mentre sul territorio, e fuori dal palazzo, i movimenti sono sempre frenetici, e talvolta forieri di malumori.
Le Regionali sono ancora troppo distanti per farci un pensierino. Ma la forza della Lega si misura qui e adesso. L’Ars è il posto giusto per rilanciare l’azione di un governo paralizzato: “Noi ci siamo, a patto che la nostra presenza sia incisiva. Non con le poltrone, ma con azioni e progetti per il bene della Sicilia” ha detto Minardo più volte. Poi, se è il caso, arriveranno anche le poltrone. Al debutto in assemblea i leghisti – non è dato sapersi se è semplice dissimulazione – hanno alzato i toni, spiegando di non condividere il metodo con cui era stato partito il disegno di legge sull’esercizio provvisorio, e avevano presentato un emendamento allo scopo di riscriverlo (bocciato), assicurando i propri voti solo per le cose utili e non per le marchette.
Musumeci, che ha già avuto a che fare con una maggioranza litigiosa, adesso deve sorbirsi il pressing di una nuova forza politica che difficilmente lo lascerà fiatare. Almeno finché non godrà di una rappresentanza all’interno dell’esecutivo. Fino ad allora sarà un corpo a corpo – con in mezzo la Legge di Bilancio – difficile da gestire. Con Salvini al corrente di tutto. Sarà proprio il “capitano” in persona a presentarsi domani all’Ars per il “lancio” del nuovo gruppo. Sarà lui, come in ogni cosa che riguarda la Lega, a metterci la faccia. A determinare il successo o l’insuccesso, a separare i sogni di gloria dall’oblio. Anche in Sicilia, all’alba del 2020, va così.