I due sfracelli di Palermo

Mancano poco più di due mesi alle elezioni Amministrative di Palermo, e non c’è ancora un candidato sindaco. O meglio, ce ne sono diversi, ma tutti attendono la giusta messa a fuoco. All’interno dei due principali schieramenti è un gioco di veti e controveti che si consuma sulla pelle dei palermitani e di una città devastata dalla cattiva amministrazione. Per questo – per il tremendo lascito di Orlando – il centrodestra sembra avere la strada spianata verso la vittoria. Ma sta provando in ogni modo a farsela sfuggire. Nonostante il rinvio dell’udienza del processo Open Arms, dove risulta imputato, oggi Salvini era a Palermo. Ha incontrato Micciché e Lombardo, ma non Musumeci, reduce dall’accordo con la Meloni: “Tutti devono volere l’unità – ha spiegato il segretario del Carroccio, che si è recato in visita al cimitero dei Rotoli -. Io lo voglio. Se qualcuno dice ‘o il candidato è mio o me ne vado col pallone’, però, sappia che io intendo il dialogo in modo diverso”.

La situazione resta complessa. Dopo un paio di riunioni a cavallo delle feste di Natale, di cui una è passata alla storia per l’esclusione della Democrazia Cristiana di Totò Cuffaro (poi reintegrato), nessuno si è assittato più attorno a quel tavolo. Le batosta ricevute all’Ars da Musumeci e il tentativo di costruire una “cosa nuova”, lontana dalla destra e vicina al modello Draghi, ha fatto venir giù il castello di carta. Qualsiasi nome, oggi, è motivo di discordia. Persino quello di un noto moderato, Roberto Lagalla, che per garantirsi la poltrona più ambita, aveva scelto di approdare all’Udc. Un passaggio che ha lasciato di stucco Saverio Romano e il suo Cantiere Popolare, che avevano provveduto a farlo eleggere all’Ars, nel 2017, all’interno della lista dei Popolari e Autonomisti. E a farlo diventare assessore all’Istruzione. La proposta è irricevibile non solo per il “tradimento” di Lagalla, ma anche per il suo main sponsor: quel Gianfranco Micciché che con Romano non si prende, oramai, dalla campagna elettorale per le Europee del 2019. Passata alla storia per i rapporti turbolenti dentro Forza Italia, dove Romano aveva trovato ospitalità prima di “scornarsi” col vicerè berlusconiano.

A distendere gli animi non stanno contribuendo, per la verità, neanche gli altri partiti della coalizione. Gli Autonomisti di Raffaele Lombardo, infatti, sembrano orientati a cavalcare la proposta di Totò Lentini, più volte transfugo nell’ultima legislatura all’Assemblea regionale, che però si diletta da settimane coi cartelloni elettorali e con gli incontri di quartiere. Mentre Fratelli d’Italia, reduce da un semi-accordo con Musumeci per le prossime Regionali, non abbandona l’idea di presentare Carolina Varchi, attualmente a Montecitorio. Ciò include, indirettamente, l’ipotesi di sacrificare Musumeci sull’altare di palazzo d’Orleans. Ma se non lo farà il partito di Giorgia ci penserà qualcun altro: tanto vale… Rimane guardinga la Lega, che non riuscendo a fare sintesi attorno alla proposta di Francesco Scoma – bocciato sul nascere da Forza Italia – potrebbe sostenere la Varchi per ottenere in cambio la moneta più preziosa (la Regione), ma solo se si accodassero anche gli Autonomisti, con cui sono federati. Questi calcoli lasciano il tempo che trovano, anche se Salvini prova a mettere una pezza: “Palermo avrà il suo candidato sindaco di centrodestra unitario, l’obiettivo è vincere. Abbiamo le liste pronte sia al Comune di Palermo sia alla Regione, rimangono pochissimi spazi – ha annunciato il Capitano -. Sui nomi dei candidati lasciatemi un po’ di tempo…”. E ancora: “Il centrodestra vince dove è unito. So che qui ci sono un po’ di bisticci e di diversità di vedute: Musumeci, la Meloni, Lombardo, Forza Italia. Provo a fare sintesi”.

In realtà, nel “campo largo”, la situazione è persino più critica. E l’ultima proposta – la candidatura di Franco Miceli, presidente dell’Ordine nazionale degli Architetti, componente della giunta Orlando una ventina d’anni fa – è servita a peggiorare le cose. Il nome, buttato nella mischia dal Pd, sovverte il principio della “sintesi” cui s’era appellato il Movimento 5 Stelle. Che al suo interno è sempre più diviso. Infatti, di fronte all’entusiasmo manifestato da alcuni parlamentari nazionali capeggiati da Steni Di Piazza (“Miceli rappresenta una figura notevole e un’eccellente notizia per Palermo”), è arrivato un comunicato secco di smentita da parte di Giampiero Trizzino: “Il suo nome non è mai uscito in alcuna discussione di coalizione – ha spiegato il deputato regionale, e papabile candidato per Palazzo delle Aquile -. Avremmo gradito di potere parlare di nomi importanti come il suo, ma in un ragionamento costruttivo che ponesse al centro un progetto per Palermo e alla presenza di tutte le componenti politiche”. Cosa che non c’è stata.

Qualcuno si diverte a indebolire le fazioni opposte, col risultato di indebolire tutti quanti. L’alleanza fra Pd e Cinque Stelle, a Palermo, è più complessa che altrove, dato che nessuno dei grillini avrebbe voluto farsi interprete e prosecutore della “visione” di Orlando. Il sindaco è una presenza ingombrante, ma non è disposto a farsi da parte. Tuttavia ha dovuto mandare giù un paio di bocconi amari: da un lato l’apertura del segretario del Pd, Anthony Barbagallo, a Italia Viva e ai centristi (non più a Forza Italia); dall’altra la cancellazione delle primarie, strumento per il quale tifava anche il suo vice, Fabio Giambrone. Sarà impossibile celebrarle: non ci sono più i tempi tecnici. “Fare il nome spetta al Pd”, ha detto Barbagallo. Ma qualcuno narra che il segretario dem sia disposto ad appoggiare Trizzino se a chiederglielo fosse direttamente Giuseppe Conte. L’avvocato del Popolo, sfrattato dal suo ruolo di capo politico da una sentenza del Tribunale di Napoli, è distratto da altre vicende. Ed è venuto meno al suo unico impegno con l’Isola: la nomina di un referente regionale che potesse sobbarcarsi il peso della trattativa. Macché…

Così si naviga a vista. Sulla scelta del perimetro, del metodo, e ovviamente del candidato. Molti dei Cinque Stelle, fra l’altro, sarebbero disposti ad andare anche da soli: per evitare “ammucchiate” e tentare di capitalizzare, fuori da una coalizione larga e variopinta, qualche consigliere comunale in più. Perdendo, va da sé. Ma separarsi prima delle urne è un’ipotesi non contemplata a livello nazionale, data l’incombenza dei prossimi appuntamenti. Così qualcuno dovrà turarsi il naso. Ma anche nel Partito Democratico, che paradossalmente una guida ce l’ha, la strategia è poco chiara. Al netto della forzatura su Miceli, anche il nome di Teresa Piccione sembra non raccogliere consenso unanime. Mentre l’idea di convergere su Davide Faraone, già in campo per Italia Viva, è da scartare a prescindere. Non la sostengono i Cinque Stelle, non la comprende Orlando – quelli di Italia Viva hanno decretato la fine anticipata della sua maggioranza – tanto meno l’ala più a sinistra, che fa capo all’assessore Giusto Catania. La parola d’ordine è veto.

Al centro, però, qualche convergenza è possibile. Basta fare due più due. Totò Cuffaro, negli ultimi tempi, ha esaltato sui media nazionali la leadership di Matteo Renzi, e gode di ottimi rapporti con Davide Faraone. L’ex governatore si era anche impegnato a sostenere Saverio Romano, se costui avesse deciso di essere della partita. E di farlo in prima persona. Considerata l’allergia di Romano per gli altri giocatori in campo, non è escluso un asse centrista siffatto (anche se l’ex Ministro ieri a Roma ha imbastito un dialogo con Carolina Varchi e Giovanni Donzelli, responsabile nazionale dell’organizzazione di Fratelli d’Italia). Senza perdere di vista il ruolo di Fabrizio Ferrandelli, oggi + Europa, che potrebbe garantire un ottimo ritorno nelle urne, ed è già d’accordo con Azione di Calenda. Suggestioni?

Al termine di questa tornata elettorale, comunque, Palermo non sarà stata laboratorio di alcunché: né del modello Draghi, né del modello Ursula. Ma, a meno di miracoli, solo teatro di sfracelli. La quinta città d’Italia è l’ultima stazione dei partiti, incapaci di misurarsi al loro interno, ma soprattutto con i palermitani. Che mai come in questa fase, forse, avrebbero bisogno di proposte credibili e condivise. Il giochino del riposizionamento, dell’ammuina a scopi elettorali, della prevaricazione, sono come sale sulle ferite. Un gustoso antipasto di ciò che avverrà alla Regione, certo. Un divertissement senza costrutto.

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