Un comune di frontiera se ce n’è uno. La prima visita di Matteo Salvini da ministro dell’Interno – escludendo le tappe della campagna elettorale – è stata Pozzallo, comune del Ragusano che ha raccolto l’eredità di Lampedusa nell’accoglienza dei migranti. In cui a giugno non si vota. Un paio di giorni fa l’ultimo sbarco: 158 persone, di cui quattro finite dritte in ospedale (due uomini per bronchite, due donne perché in gravidanza).
Ma che posto è Pozzallo? Da un lato meta turistica in espansione, ventimila abitanti, bel mare, situata su una fascia costiera che ogni anno, sempre di più, accoglie orde di turisti; dall’altra rifugio di disperati. Due anime costrette a convivere nello stesso corpo. Con tutti i disagi che comporta. Il centro d’accoglienza, trasformato nel 2016 in hotspot (per l’identificazione e ricollocazione degli ospiti), può accogliere fino a 150 persone, per la maggior parte minori che attendono di essere trasferiti in centri più adatti alle loro esigenze (e quasi sempre pieni). Così Pozzallo diventa punto d’approdo e di transito, dove è difficile la convivenza e dove i migranti, fuggiti dalla guerra o dalla disperazione, trovano riparo per la prima volta. E’ lì che imparano a conoscere l’Italia.
Pozzallo, come ogni altro Comune investito dal fenomeno dell’immigrazione fuori controllo, fatica a contenere il rigetto. Sia sul fronte istituzionale, che su quello “popolare”. E’ preda delle sue paure. E non è insolito che il sindaco Roberto Ammatuna, area di centro-sinistra, si lamenti per una situazione fuori controllo: liti, screzi, rivolte sono all’ordine del giorno. “Abbiamo denunciato il problema dell’intensificazione di persone provenienti dalla Tunisia – spiegava qualche settimana addietro – che si sono dimostrate irrispettose di ogni regola dell’accoglienza, che hanno causato problemi all’interno del centro ribellandosi anche alle forze dell’ordine. E’ arrivato il momento che si intervenga ai massimi livelli per approntare una nuova strategia di contrasto a questa piccola parte di migranti, che rischiano di annullare quanto fino ad oggi è stato fatto per alimentare il clima di accoglienza e solidarietà. Perché Pozzallo, a scanso di equivoci, rimarrà la città dell’accoglienza”.
Come la Lampedusa che convinse Berlusconi a comprare casa nell’isola e l’ex sindaco Giusy Nicolini a battersi ogni giorno per far valere i principi della solidarietà e dell’integrazione. Che le costarono persino la visita del Papa nel 2013, e dopo una serie di riconoscimenti in giro per il mondo, una cena alla Casa Bianca – per il congedo di Obama – grazie alla mediazione di Matteo Renzi. Il tonfo elettorale di Nicolini e la chiusura del centro di accoglienza di Lampedusa, nello scorso marzo, hanno finito con il proiettare i riflettori su Pozzallo.
Nell’hotspot ai giornalisti non è concesso entrare. Di migranti fin troppi. Ammassati in un’unica camerata, in condizioni igieniche approssimative (sono frequentissimi i casi di scabbia). “E senza internet” si lamentano loro. Tutti i tentativi profusi dal personale e dalle ONG si scontra con gli sbarchi incontrollati. Con la frenesia del momento, con l’impossibilità di fare diversamente, di cercare altri luoghi più idonei per ospitare questa massa informe di ospiti poco desiderati e poco richiesti, che il ministro vorrebbe rispedire a casa.
Prima di farlo, tenterà il dialogo con quei paesi da cui arrivano i barconi, per spiegare che l’Italia non può più permettersi di mantenerli. Inutile nascondere che Pozzallo è la città in cui Salvini potrà misurare la sua capacità di gestione della crisi, di intermediazione, di solidarietà autentica. E pensare che questo hotspot ha costituito un modello per alcune autorità internazionali, interessate alla gestione del fenomeno migratorio da parte dell’Italia. Lo hanno trattato come un modello, quando in realtà parliamo della solita, classica e persino fastidiosa emergenza nostrana. Che passa quasi inosservata sotto gli occhi dell’Europa.