Col passare delle ore e la diminuzione – si spera – dell’arretrato (le altre Asp stanno assistendo quella di Trapani a smaltire i referti istologici) non si spengono gli interrogativi attorno alla figura del manager Ferdinando Croce, figlio prediletto di Fratelli d’Italia e già vice capo di gabinetto dell’assessorato della Salute ai tempi di Ruggero Razza. E’ ancora in carica, e questo appare di per sé incomprensibile. La condotta del Direttore generale dell’Asp, subentrato da commissario straordinario il 1° febbraio 2024, non appare priva di responsabilità: a cominciare dalla mancata comunicazione in assessorato dello “stato di crisi”. Solo un paio di giorni fa, a seguito di una ricognizione del Direttore sanitario Greco, si è scoperta la montagna di 3.330 biopsie ancora da refertare.
Eppure la politica approccia la questione in maniera un po’ timida. Nessuno ha chiesto le dimissioni di Croce, al netto dei Cinque Stelle: non tanto per aver lasciato indietro così tanti malati oncologici, ma per le campagne di comunicazione con cui l’Asp di Trapani, nel frattempo, ha investito 100 mila euro in premi e cotillons (compresa una ricca partecipazione al festival di Salina): “I manager delle Asp – ha detto Nuccio Di Paola, capogruppo del M5s all’Ars – sperperano soldi pubblici per realizzare spot che potrebbero essere anche ritenuti ingannevoli, anziché dare risposte ai pazienti. Una realtà agghiacciante che vede contrapporsi, da un lato pazienti accasciati per giorni su sedie e barelle nelle sale d’aspetto dei nostri ospedali e dall’altro, manager in giacca e cravatta che bramano visibilità, sperperando soldi pubblici in campagne pubblicitarie”.
E’ una tesi rispettabile, che nessuno (o quasi) però sposa. Nemmeno in assessorato hanno saputo far valere le leggi ferree riservate ai Direttori generali: una clausola del contratto, voluta dal presidente Schifani, lega la loro permanenza all’attività svolta e alla capacità di ridurre le liste d’attesa. A Trapani, riguardo agli esami istologici, le liste d’attesa sono infinite e, talvolta, hanno avuto conseguenze deleterie: una insegnante di Mazara ha atteso l’esito del referto per 8 mesi, e nel frattempo ha sviluppato un raro tumore al quarto stadio. Non è solo l’attività di comunicazione, di per sé smodata e ingannevole; è, più che altro, non essere riusciti nella missione assegnata.
Eppure la parabola di Croce è molto diversa da quella di Roberto Colletti, ex direttore generale dell’azienda Villa Sofia-Cervello, che si dimise a seguito di un colloquio con Schifani e, soprattutto, della morte di uomo che aveva atteso per oltre due settimane un intervento chirurgico alla spalla. Fu ritenuto responsabile della situazione del reparto di Ortopedia e, come il Direttore sanitario Aroldo Rizzo, costretto a fare le valigie. In quella fase storica – non sono trascorsi neanche due mesi – non importava da chi fosse stato scelto (Totò Cuffaro); l’esigenza di ridare credibilità a un sistema in disarmo, gli costò il posto. Della serie: punirne uno per educarne cento. Oggi, di fronte alla presenza ingombrante di un partito come Fratelli d’Italia, quella percezione è stata stravolta.
L’assessore Faraoni, nelle sue interviste “addolorate”, non riesce a pronunciare verbo contro l’inaffidabilità della governance trapanese. Anzi, gli offre un alibi: i ritardi nella refertazione degli esami istologici, infatti, si sarebbero creati “per una serie di elementi datati nel tempo, perché risalgono al 2023, riconducibili a diverse condizioni di lavoro. Li abbiamo risolti – sostiene il neo assessore – grazie all’aiuto di un sistema che si è fatto carico di un ritardo e di un cattivo funzionamento generato in una sua parte”. Insomma, la butta in filosofia. E’ col mutuo soccorso che si risolvono i problemi, ma metterla in questi termini rischia di avere ricadute pesanti in termini di (de)responsabilizzazione.
Lo stesso Croce pare non avesse i requisiti per entrare nel lotto dei manager “maggiormente idonei” selezionati da una commissione alla vigilia delle nomine. A ripercorrere quanto accaduto è Davide Faraone, capogruppo di Italia Viva alla Camera dei Deputati: “Il suo curriculum (di Croce, ndr) non riporta titoli professionali di direzione di strutture che abbiano risorse umane e finanziarie proprie e gestite in autonomia che possano dare titolo né all’iscrizione nell’Elenco nazionale, né che dimostrino capacità tali da poter ricoprire l’incarico, delicatissimo, di Direttore generale di una Asp – dice Faraone -. Ma il curriculum è autodichiarato dallo stesso Croce, quindi se le esperienze non le riporta l’interessato appare evidente che non le abbia”. E non è finita. Secondo il renziano “complici sono stati i tre commissari, nominati dallo stesso Schifani, che hanno proceduto ad “esaminare” con evidente grande attenzione 102 curricolari in 105 minuti per poi individuare i 49 “migliori” manager da sottoporre al governo regionale nella ormai famosa “rosa” dei più bravi. Di questa “rosa” faceva parte anche il certamente bravissimo ed espertissimo, nonostante la giovane età, Ferdinando Croce. Il dubbio che l’elenco dei “migliori” da inserire nella rosa dei nomi fosse già pronto ancor prima dell’esame dei curriculum nasce spontaneo”.
Ma non ci sono elementi, fin qui, che suggeriscano al delfino meloniano di fare un passo indietro, o alla Faraoni di licenziarlo, utilizzando lo stesso metro applicato da Schifani alla governance di Villa Sofia. Giù le mani dal soldato Croce, quindi. Ma perché? Probabilmente perché è l’uomo di Ruggero Razza, cioè l’ex assessore alla Salute, verso il quale anche la Faraoni avrebbe motivi di riconoscenza politica (fu nominata commissario e successivamente Dg all’Asp di Palermo nel dicembre 2018, durante il governo Musumeci). E poi perché è comprensibile, specie in questa fase di tormento esistenziale, che Fratelli d’Italia provi a mantenere intatte le posizioni di potere precedentemente acquisite. L’Asp di Trapani è una di queste. Rappresenta la roccaforte dell’ala musumeciana del partito, il baluardo della destra siciliana prima dello sconquasso certificato da Giorgia Meloni. Non importa che il manager, acerbo e presenzialista, abbia fatto bene o male; è importante, però, concedergli una seconda chance. Ne va dell’immagine di un partito che non vuol saperne di arretrare.