Non si può dire che non ci stia provando fino in fondo. Ma fin qui la strategia si è rivelata fallimentare. Nello Musumeci sta raschiando il fondo del barile, inventandosi le formule più strampalate: prima il tentativo di convogliare a nozze con le Lega (Salvini, ormai, non lo vede neanche col binocolo); poi la corte sfrenata a Giorgia Meloni, con la quale si è incontrato a fine agosto a Roma per cercare di rimettere insieme i cocci di un rapporto naufragato alla vigilia delle Europee di un paio d’anni fa. Giorgia avrebbe lasciato un sentiero aperto, ma non appena rimbalzata in Sicilia, la notizia ha avuto un effetto devastante: quella di riunire la dirigenza di Fratelli d’Italia, al gran completo, per dire ‘no’ alla proposta di federazione con Diventerà Bellissima. Un pensiero che, nel corso di un’intervista a ‘La Sicilia’ è stato esplicitato meglio da Raffaele Stancanelli: “La logica politica va calata nel sistema elettorale delle Regionali. FdI, soprattutto per il traino del consenso di Giorgia, nel 2022 in Sicilia avrà una grande affermazione – ha spiegato l’europarlamentare -. Eppure, anche col migliore risultato, eleggeremo un deputato ogni collegio, tranne a Catania e Palermo dove ci sono più seggi. Vale la pena far sì che le liste di FdI siano cannibalizzate dai deputati di Musumeci?”.
La risposta è no. Per questioni di convenienza politica. Ma anche di trascorsi burrascosi. Lo stesso Stancanelli ormai non fatica ad ammettere che il dialogo con Musumeci e Razza (e persino il saluto) è venuto meno un paio d’anni fa, quando durante il congresso di Diventerà Bellissima, il percorso federativo proposto dall’ex senatore fu sbeffeggiato in malo modo. “Quando espressi questa tesi, fui non soltanto semplicemente criticato, come sarebbe stato legittimo, ma insultato da Musumeci, freneticamente applaudito, osannato dai tanti che nel movimento adesso bramano lo stesso accordo”, riflette Stancanelli. Il cui ruolo, all’interno di Fratelli d’Italia, è assolutamente di primo piano. E la cui linea è sposata dal resto del partito: da Salvo Pogliese a Giampiero Cannella, i due coordinatori per l’area orientale e occidentale; passando per la deputata Carolina Varchi, che non disdegnerebbe una candidatura a sindaco di Palermo. E così Fratelli d’Italia ha detto ‘no’ alle ultime avances, nonostante Musumeci avesse piazzato nei recinti sovranisti un cavallo di Troia: Manlio Messina.
L’assessore al Turismo, fermo sostenitore del secondo mandato del governatore, è quello strano marchingegno che doveva servire a fare breccia nelle maglie del partito, sfruttando la sua vicinanza con Giorgia Meloni. E che invece, a causa dei frequenti scivoloni sui vaccini, sul Green Pass, sull’utilizzo dignitoso delle parole (“Suca” e “Ammazzati” sono stati due degli insulti più eleganti riferiti a un interlocutore su Facebook) ha fatto sprofondare Musumeci nella vergogna. Il presidente non ha mai avuto il coraggio di condannare i toni e i modi del suo assessore. Troppo amico – sia di lui che di Giorgia – per prendere le distanze su temi cruciali, come quello sull’emergenza sanitaria, che stava impegnando il resto del governo nella promozione della campagna vaccinale; troppo attiguo, a livello ideologico, per ripugnare l’atteggiamento da balilla emerso nelle dichiarazioni contro i giornali o nelle accuse spinte e volgari al telefono. Non un solo richiamo nei confronti di Messina, che anche all’interno di Fratelli d’Italia è stato assorbito nel cono d’ombra di chi non ha più voce in capitolo. Messo in minoranza, etichettato alla stregua di un “vigliacchetto”, che agisce per nome e per conto di un unico mandatario: se stesso. “Consiglierei a Messina di investire il tempo dedicato ai social a letture sull’arte nobile della politica”, è la chiosa di Stancanelli.
La strategia del cavallo di Troia messa in atto da Musumeci era già fallita con Gaetano Armao, l’uomo messo al governo da Silvio Berlusconi in persona, che mai però era stato organico a Forza Italia. Da sempre in rotta col leader del partito, Gianfranco Micciché, e con il resto del gruppo parlamentare, perché – come disse lo stesso Micciché nel corso di un’intervista – “non ha mai fatto il deputato. In tanti si sono fatti il mazzo alle elezioni, in tanti vorrebbero fare l’assessore, in tanti si reputano migliori. Quanto meno, se hai un ruolo senza esserti mai candidato, devi metterlo a disposizione degli altri. Se guardo i dati, non vedo che guadagno abbiamo avuto ad avere Armao assessore, che è arrivato lì gratis, senza cercarsi un voto”. Armao è stato il primo a iscriversi al partito del presidente, ma come Messina per Fdi, non è riuscito portare nessuno dalla sua parte. Ad eccezione, forse, di Marco Falcone, assessore alle Infrastrutture, che però ricopre il ruolo di commissario provinciale a Catania, e almeno da un pezzo dei berluscones è riconosciuto ufficialmente. La sua posizione ‘ultrapresidenziale’ potrebbe rappresentare un orientamento ai prossimi tavoli. Quando anche Forza Italia dovrà scegliere cosa fare per il futuro.
Fin qui le posizioni più chiare sono state assunte da Fratelli d’Italia e Lega. Il Carroccio ha già deciso – a meno di ripensamenti dell’ultima ora – di non sostenere la ricandidatura di Musumeci. Salvini ha messo addirittura le mani avanti, dichiarando che un leghista è pronto a diventare presidente della Regione siciliana. Del lauto contingente all’Ars, nessuno dei deputati ha traccheggiato col potere. Anzi, negli ultimi giorni, c’è chi lo osteggia apertamente: a partire da quella Marianna Caronia – difesa anche dal segretario Minardo e dal capogruppo Catalfamo – che ha attaccato duramente Musumeci & friends per scelta di non finanziaria il cimitero di Ciaculli, a Palermo. Anche gli ex renziani Sammartino e Cafeo, al pari dell’ex autonomista Pullara, non hanno mai lasciato in pace il governatore dopo le ultime ordinanze sul Green pass. Al contrario: lo hanno tampinato di accuse e comunicati stampa, parlando di pericolosa deriva. Hanno fatto la voce grossa e non concederanno sconti da qui a fine legislatura. Anzi, ai vertici del Carroccio qualcuno sussurra che il numero dei parlamentari possa addirittura aumentare; a quel punto sarà quasi impossibile non tener conto dei desiderata della Lega.
In questo caso Musumeci è stato meno caparbio: al netto delle proposte di “matrimonio” inoltrate a Salvini (Razza era uno dei sostenitori più convinti di questo disegno), e dei successivi rifiuti (anche polemici), il colonnello Nello non è riuscito a fare breccia nell’organico rivale. Alberto Samonà, bravo assessore ai Beni culturali, si è rivelato roccioso e aziendalista e nel corso di una recente intervista a Buttanissima, lo ha dichiarato senza mezzi termini: “Salvini è stato molto chiaro: noi governiamo con Musumeci, lo facciamo bene, sosteniamo in modo leale l’azione del governo e continueremo a farlo. Ma la Lega, che si continua a radicare sempre di più, guarda anche ai prossimi dieci anni. E’ giusto che lo faccia da protagonista”. Ergo: ben venga un nostro candidato.
In pratica Musumeci, al netto di pochi e spiccioli contatti con gruppi parlamentari di recente creazione (come gli ex grillini di Attiva Sicilia), della sua Diventerà Bellissima o di pochi assessori di fiducia (da Razza a Cordaro), è rimasto solo. Dopo quasi quattro anni di legislatura ha creato il vuoto attorno a sé. Dell’allegra brigata che nel 2017 riuscì a vincere le Regionali, non resta che una traccia sbiadita fra i gruppi dell’Ars, dove spesso e volentieri – coi ‘franchi tiratori’ – i dissapori verso l’azione politica del presidente e della sua giunta sono emersi con una forza quasi struggente. Andare così per altri 5 o 6 anni risulterebbe impossibile. Ecco perché le ricette alternative hanno già preso il sopravvento.