Palermo, alla vigilia di un’annata elettorale densa di significati, diventa il ritrovo naturale dell’assemblea nazionale di Noi con l’Italia, il partito guidato da Maurizio Lupi. Che è anche la quarta gamba del centrodestra. Richiamati “per una bella giornata di politica” dall’ex ministro Saverio Romano, nella duplice veste di vicepresidente di NcI e leader del Cantiere Popolare, i centristi si sono radunati questa mattina al cinema multisala “Al Politeama”. Fra gli ospiti d’eccezione anche Totò Cuffaro, che ha spezzato una lancia a favore dell’amico di sempre: “Se dovesse correre da candidato sindaco, noi della DC saremmo con lui”. Romano, alla vigilia, ha sviscerato i temi più importanti.

La Sicilia è moderata per natura. Ma la presenza di troppi cespugli non agevola il ritorno alla casa madre. A cosa aspira Noi con l’Italia?

“Quello che stiamo tentando di fare, non soltanto con sterili appelli ma anche con il lavoro quotidiano, è mettere insieme tutte le esperienze che si iscrivono al movimento popolare, riformista e liberale del nostro Paese. Da Palermo vogliamo rilanciare un’ipotesi aggregativa che intanto definisca il perimetro del centro moderato, e poi sia in grado di interloquire con i soggetti che da sempre sono nostri alleati”.

E’ rimasto sorpreso dalla candidatura di Faraone, annunciata da Renzi in persona alla Leopolda?

“Io provo a far ragionare tutti, ma non sempre il mio tentativo è fortunato. Ritengo che le autocandidature, o le candidature promosse da singoli partiti, nuocciano ad un progetto serio di governo per la città”.

E’ un problema di metodo?

“La priorità è capire lo stato dell’arte di una città allo sbando. Poi attrezzare un programma realizzabile e, infine, scegliere le migliori risorse che possano interpretarlo. Nessuno ha la bacchetta magica: mettere la faccia o avanzare la propria candidatura, equivale a negare la possibilità di una robusta intesa per poter essere autorevoli interlocutori delle altre istituzioni, senza le quali difficilmente si potrà amministrare Palermo”.

Come vi siete trovati al primo tavolo del centrodestra? In quella sede è stato suggellato un patto fra nove partiti. Siete in troppi o in troppo pochi?

“Secondo me, a Palermo, bisogna riunire chi in questo momento sta all’opposizione di Orlando. Aprendo questa esperienza a tutti coloro che non hanno alcuna intenzione di collaborare con lui in futuro. Penso a Fabrizio Ferrandelli o Giulia Argiroffi, che in Consiglio comunale hanno condotto delle battaglie in cui mi ritrovo. Non capisco, invece, perché non si sia fatto nulla per costringere il sindaco a dichiarare il dissesto quando il suo ragioniere capo gliel’ha proposto…”.

Fino a ieri Orlando ha detto che non è necessario il dissesto. E forse nemmeno il piano di riequilibrio. Cosa pensa, invece, della vicenda tram? Quanto c’è di serio e quanto di politicamente opportunistico in certi discorsi?

“Su questo tema sono costretto ad affidarmi alla memoria. Quando ero assessore alla Viabilità della Provincia di Palermo, nel 1992, sul progetto della metropolitana ottenemmo un impegno di finanziamento da parte del governo nazionale. Allora c’era un braccio di ferro tra la Provincia e il Comune, che preferiva il tram. L’unica cosa che riuscii a far finanziare fu la stazione metropolitana di Orleans: credo che ancora oggi debba essere ricordato come un esempio di buona amministrazione e di sinergia tra un ente locale e Ferrovie dello Stato. Nessuno se ne lamenta, anzi, ritenendola utile, la utilizzano in massa. Dall’altra parte, invece, vedo i tram vuoti…”.

Ma non completare le tre linee mancanti rischia di far perdere dei finanziamenti. Proprio in nome della buona politica e della continuità amministrativa, forse, bisognerebbe andare avanti.

“I soldi per realizzare le nuove linee, che secondo alcuni rischiamo di perdere, potrebbero essere un cappio al collo per le nuove generazioni, che devono sostenere e finanziare la gestione di questa struttura. Tornare indietro non si può, ma evitare di fare altre minchiate sì”.

Qualcuno a Roma già rimpiange il modello Draghi. Alla Regione, invece, si continua a ragionare per compartimenti stagni. Esistono delle alternative a centrodestra e centrosinistra?

“Questa legge elettorale blinda il bipolarismo e anche l’ipotesi tripolare non esiste più perché il Movimento 5 Stelle è corso in braccio al Pd”.

Musumeci ha detto di essere legittimato dai leader del centrodestra e dal palco di Catania ha intrapreso l’ennesima fuga in avanti. E’ stata un’uscita politicamente opportuna?

“Così come ritengo che sia necessario confrontarsi sui temi per ciò che riguarda Palermo, vale anche per la Regione. A noi finora è mancata un’occasione di confronto per fare un bilancio, al netto degli slogan e delle enunciazioni unilaterali. A valle di questo confronto si valuterà quale strada intraprendere. L’iniziativa di Musumeci è assolutamente legittima, essendo il presidente uscente. Ma, come ovvio, deve trovare il conforto da parte di tutti gli altri alleati”.

In passato non ha risparmiato critiche ad Armao. Siamo di fronte al quinto esercizio provvisorio della saga e il rapporto con la Corte dei Conti è sempre più logoro. Qual è la sua valutazione generale sugli aspetti contabili?

“Analizzare un singolo aspetto dell’Amministrazione rischia di diventare fuorviante. Mi è necessaria una premessa…”

Prego.

“Una delle cose che pesa maggiormente sul destino della Sicilia è la mancanza di una seria riforma della Pubblica Amministrazione, con la possibilità di riqualificare il personale e rimpolpare le strutture. Ho potuto toccare con mano che all’assessorato all’Economia mancano parecchi dirigenti. Le iniziative hanno bisogno di camminare sulle gambe e con la testa dei funzionari. Detto questo, mi pare che alcuni risultati possano riscuotere grande apprezzamento”.

Quali?

“Ad esempio quello sull’insularità. In passato decidemmo di avviare una raccolta firme assieme al movimento autonomista della Regione Sardegna, pertanto è stata anche una mia iniziativa… Rispetto alle dinamiche del Bilancio, invece, dobbiamo tenere conto che in Sicilia ci sono due istituzioni che esercitano il ruolo di kingmaker: l’assessore all’Economia e la commissione Bilancio dell’Ars. Se non si fa un esercizio di chiarezza sulle reali possibilità, sulle difficoltà e su come indirizzare la spesa, non facciamo bene a noi stessi e mandiamo un messaggio sbagliato all’esterno”.

Lo scontro col sindaco De Luca ha avuto un seguito?

“Poiché anche lui fa parte di una lista broadcast, ha ricevuto un messaggio d’invito per la manifestazione di oggi. Mi ha risposto con un grazie ironico e un emoticon. Ma questo non significa nulla. Le nostre posizioni rimangono molto distanti”.

Berlusconi s’è detto a favore del Reddito di cittadinanza. Non lo trova un po’ strano?

“Se guardiamo al fatto in sé come emergenziale, Berlusconi ha ragione. C’è stato un momento in cui bisognava liberare delle risorse e raggiungere le fasce della popolazione più disagiate. C’è stato un momento di crisi vera, durante la pandemia, in cui il Paese esigeva delle risposte. Ora, però, c’è una fase nuova, che deve guardare agli errori commessi e agli appuntamenti mancati: nessuno, o quasi, dei percettori del Reddito di cittadinanza ha trovato o accettato un lavoro. Questa misura, che ha esaurito la sua funzione, va assolutamente rivista. O rischiamo di fare un torto all’Italia”.