L’immarcescibile Rino Foschi è un dirigente italiano (pardon, romagnolo!) che ha legato al Palermo calcio buona parte della sua carriera. A Zamparini e ai colori rosanero è rimasto fedele nella buona e nella cattiva sorte. Quando “La Favorita” esplodeva di passione e allo stadio si contavano ogni domenica 35mila spettatori. Ma anche adesso, che fatichi a riempire la tribuna se non a prezzi popolari, lui c’è, è presente. Rino Foschi ha vissuto tutte le epoche del Palermo: sin da quando, nel 2002, approda in Sicilia su chiamata del presidentissimo.
Il loro è un rapporto di amore e odio, come ha commentato lo stesso Foschi in questi giorni durante una conferenza all’Addaura: “Abbiamo un modo tutto nostro di volerci bene”. Turbolenti, competenti, irascibili, un po’ folli. Un carattere spesso simile che li ha portati a riabbracciarsi più volte dopo essersi cercati sino allo spasmo ed essersi mollati di colpo, come fidanzati gelosi. Dal 2002 al 2008 è il periodo migliore per la carriera di Foschi e per la vita del Palermo. Una coincidenza affatto strana. Con il direttore sportivo venuto da Forlì, il club rosanero presenta in rosa cinque campioni del Mondo del 2006 – Toni, Barzagli, Zaccardo, Barone e Grosso – raggiunge per tre anni di fila l’Europa League (quando si chiamava Coppa Uefa), sfiora la Champions e rende il “Barbera” un fortino inespugnabile.
Sono gli anni in cui attorno alla squadra, tornata prepotentemente dalla B grazie a uno stratosferico Luca Toni, gronda la passione. Fino al 2008, quando Rino decide di chiudere la sua prima, clamorosa parentesi in città. Dopo aver girovagato fra Torino, Padova e Genoa – senza le medesime fortune – Foschi torna a galla nel 2016, con il Palermo ancora in A. Ma entra in corsa e la cosa non lo affascina. Non sente sue le responsabilità né la squadra, costruita da altri in sede di calciomercato. E lui, che del mercato vuole sempre essere l’artefice, decide di dimettersi. All’apparenza per motivi di salute, ma anche perché con Zamparini è un periodo di tensione. Uno dei tanti.
Il ritorno si concretizza nel 2018, a luglio, con una realtà totalmente diversa. Con la squadra in B, con un presidente molto cambiato, con una prospettiva di successo ridimensionata. E alcuni investitori alla finestra, per rilevare il club. Ma proprio per questo la sfida, oltre a essere più grande, è anche più intrigante: “Adesso è tutto più difficile – ha detto Foschi – Veniamo da due anni complicati. Siamo una squadra che deve stare a livelli alti con capacità economiche diverse. Non abbiamo nemmeno più il 12esimo uomo, prima lo stadio era sempre con 35 mila persone. La squadra è competitiva, abbiamo fatto 5 partite è cambiato un allenatore e speriamo di non cambiarne altri. Palermo è la quinta città d’Italia. Non ho l’età per fare altri 5-6 anni, ma spero di portare il Palermo in A. Poi chi verrà qui avrà la possibilità di divertirsi. A Palermo si vive bene, io sono innamorato della Sicilia”. Allora, caro Foschi, rimanici in Sicilia. Ma, se possibile, torna a far sognare i palermitani che vanno matti per il calcio.