Nei corridoi di palazzo dei Normanni è l’argomento più discusso di questi giorni: persino più della Cassa integrazione in deroga. L’unico a non farne accenno è Nello Musumeci e ne ha ben d’onde, dato che il “partito del presidente” è il meglio rappresentato nella squadra di governo. Stiamo parlando del mega rimpasto che coinvolge tutti, o quasi, i partiti della coalizione di centrodestra. In primis la Lega e Forza Italia. Il famoso “tagliando”, che slitta ormai da circa un anno, ha incastrato il suo destino con quello della pandemia. Il Coronavirus ha reso tutto più complicato, persino l’organizzazione del vertice di maggioranza che si sarebbe dovuto tenere ieri a Palermo, ed è stato rimandato alla prossima settimana. Stefano Candiani, il segretario regionale della Lega, non ce l’ha fatta a salire sul primo volo da Milano e raggiungere la Sicilia. E la gestione decentrata del senatore del Carroccio ha dato i primi esiti: Giovanni Bulla, uno dei quattro leghisti all’Assemblea regionale, ha rifatto le valigie e se n’è tornato all’Udc.
Al momento dell’addio non è stato esattamente tenero: “Quelli sono una caserma. Parla solo il milanese… e gli altri zitti”, sono le parole captate da “La Sicilia”. Bulla non ha digerito la conduzione militaresca del partito e il pragmatismo esasperato che mal di adatta alla cangiante politica siciliana. Il malcontento, di cui corre voce da settimane, rischia di portare in altri lidi pure Marianna Caronia, che in questa legislatura, dopo l’elezione con Forza Italia, è passata al gruppo misto, e ora sembra convergere nuovamente al centro. Nelle ultime settimane ha lavorato gomito a gomito con Carmelo Pullara, capogruppo dei Popolari e Autonomisti. Cosa c’entra tutto questo col rimpasto? C’entra eccome. La Lega, che ha già perso un deputato e rischia di perderne un altro, si ritroverebbe con una schiera di due onorevoli (Catalfamo e Ragusa): un po’ pochi per battere i pugni sul tavolo e continuare a pretendere l’assessorato all’Agricoltura. Che comunque rimane sul piatto. Al Carroccio pare non interessi altro. Nemmeno i Beni culturali.
Anche fossero in due, Musumeci difficilmente potrà rinunciare a un investimento di tale portata. Nei mesi scorsi ha tampinato il “capitano” per proporgli una federazione con la sua Diventerà Bellissima, e Salvini ha ricambiato con parole al miele durante la visita di febbraio a palazzo d’Orleans: “Non ho mai visto una persona più retta di lui in politica”. Ma la rettitudine non è sempre sinonimo di sostanza. E finora tra Lega e Musumeci non è quagliato nulla. Solo qualche screzio. L’annacamento del presidente della Regione – sul rimpasto e sulle riforme – e il calcolo politico che precede ogni sua mossa, alla lunga rischia di stancare chi, come Salvini e Candiani, si aspettano solo fatti. Eppure, a parole, non hanno mai reclamato una poltrona: “Se entriamo in giunta, però, i siciliani se ne dovranno accorgere” è il mantra dei leghisti, che sperano ancora di dare una raddrizzata alla barca. Certo, gli addii e l’alta litigiosità dentro il partito, specie tra le vecchie glorie, non facilitano il compito a Candiani, che avrà notato quanto sia difficile gestire dalla Brianza una creatura così giovane, malleabile e dal pensiero fluido. Nessuno in Sicilia nasce Alberto da Giussano.
Dalla Lega a Forza Italia è un attimo. Perché è Forza Italia ad avere l’unico assessorato che interessa al Carroccio. E non faticherebbe a cederlo in cambio di una grassa contropartita: l’azzeramento della giunta. La richiesta è arrivata pubblicamente qualche giorno fa da Gianfranco Micciché, che continua a tenere in piedi due opzioni: cambiare tutto o, al contrario, non cambiare (quasi) nulla. La prima permetterebbe al commissario azzurro di liberarsi – una volta per tutte – di Gaetano Armao, che a Palermo considerano un corpo estraneo al partito. E non hanno mai cambiato idea. Ma sul buon esito di questo scenario incombono due nuvoloni neri: Tajani e Forza Italia, da Roma, hanno pregato Musumeci di blindare l’assessore all’Economia, e se parla Berlusconi è legge; ma anche cambiare tutti gli altri (tra cui Falcone e Grasso) è un’operazione assai ostica. Ammesso che gli alleati siano d’accordo, una squadra totalmente nuova richiederebbe dai 6 agli 8 mesi d’apprendistato. La Regione non sembra in condizione di aspettare così tanto.
Questo ci riporta dritti alla seconda opzione: toccare il meno possibile. Così facendo, anche Edy Bandiera, che in questi giorni ha raccolto l’endorsement di varie associazioni di categoria e delle sorelle Napoli (minacciate dalla mafia dei pascoli), potrebbe tenersi l’Agricoltura. Stoppando, una volta per tutte, la ridda di voci che coinvolgono, nell’ordine, Bernadette Grasso (attualmente alla Funzione pubblica e agli Enti locali) e Toto Cordaro (Territorio e Ambiente). Proprio dall’intervista di Cordaro a Buttanissima, in cui l’assessore, vicinissimo a Musumeci, rivendica la sua appartenenza al Cantiere Popolare di Romano, emergono un altro paio di spunti. Il primo: che il rimpasto riguarderebbe solo Forza Italia, e nessun altro. Il secondo: che i centristi non hanno alcuna voglia di cedere spazio. A ‘sto punto, meglio il fermo biologico. Il ritorno di Bulla all’Udc, in tal senso, diventa funzionale. Ma cinque assessori (Cordaro, Lagalla, Turano, Pierobon e Scavone) per undici deputati è un bottino che neanche il più ottimista, alla vigilia delle Regionali, poteva prevedere. Ma chi lo spiega alla Lega che l’unica casella disponibile è quella dei Beni culturali?
Un ultimo appunto è doveroso: tra le voci di corridoio (tante) e le dichiarazioni ufficiali (poche), emerge un dato su tutti. Al momento, il partito meglio rappresentato nell’esecutivo, è quello di Nello Musumeci. Del “partito del presidente” fanno parte il fedelissimo Ruggero Razza, alla Salute: l’inamovibile Gaetano Armao, al Bilancio; e il pretoriano Toto Cordaro, che cura anche i rapporti col parlamento (in cui Musumeci non eccelle). La fanteria pesante a cui il governatore non rinuncerebbe mai. Anche a costo di sfasciare il resto.