Consorzi di bonifica, Forestale, Pubblica amministrazione. Ma anche ex province, Rifiuti e Turismo. In rigoroso ordine alfabetico. Sono queste alcune delle riforme da predisporre nella nuova legislatura. Sperando che il governo Schifani riesca ad andare oltre il misero bottino del governo Musumeci, capace di portare a casa Urbanistica, Diritto allo studio e poco altro. Con questi chiari di luna – non tutti i parlamentari sono stati proclamati, e Schifani dice di non aver ancora pensato alla composizione della giunta – è difficile ipotizzare gli step successivi. Ma se la Sicilia vuole ripartire per davvero, offrendo prospettive di sviluppo a famiglie e imprese, senza dimenticarsi dei più giovani, non basterà occuparsi di bilanci ed esercizi provvisori; né si potrà concentrare l’azione di governo su opere alquanto fantasiose come il Ponte sullo Stretto o il Centro Direzionale della Regione. Per le quali servono investimenti mastodontici, ma soprattutto fitte interlocuzioni e tantissima pazienza.
Schifani sa bene che di tempo non ne ha. In questa prima fase si sta occupando delle emergenze. Ieri, a seguito della polemica infuocata dei sindaci, è stato pubblicato il nuovo bando per l’affidamento in concessione dei servizi di collegamento marittimo in regime di servizio pubblico con le isole minori per i prossimi cinque anni. Adesso si passerà ad altre rassegne, prime fra tutte quelle economiche. Ma prima o poi, contestualmente all’insediamento del nuovo governo (metà novembre?) bisognerà proiettare lo sguardo oltre. A quelle riforme rimaste nel cassetto, che Musumeci non ha onorato a causa della risicata maggioranza all’Ars che ha contraddistinto gli anni del suo mandato.
Sia chiaro: non si tratta di una giustificazione, ma di un’aggravante. Se l’ex presidente fosse stato in grado di rapportarsi col parlamento, oltre che con i partiti della sua coalizione, la strada sarebbe risultata meno ripida. E invece siamo fermi a una brochure di un centinaio di pagine, in cui alle riforme è dedicato uno spazio angusto. Persino quella dei lavoratori forestali, di cui si parla da tempo, è rimasta incompiuta. Giampiero Trizzino, assieme al già comandante del Corpo Forestale Michele Lonzi, aveva presentato un disegno di legge lo scorso giugno: si trattava di “una proposta legislativa di riforma dell’intero settore che, come tante altre, è rimasta nei cassetti del Parlamento regionale. Anche se non sarò più candidato – spiegava il grillino -, mi auguro ci possano essere deputati lungimiranti che la facciano propria, affinché veda la luce nella prossima legislatura” perché “la Sicilia merita un Corpo forestale che sia capace di assolvere alle numerose funzioni previste dalla legge, che non si esauriscono solo alla lotta agli incendi boschivi, ma si estendono al contrasto allo smaltimento illecito dei rifiuti e all’immissione di inquinanti nell’ambiente naturale, al taglio abusivo degli alberi, al bracconaggio od ancora alla speculazione edilizia”.
In campagna elettorale Schifani ha delineato i termini di una possibile riforma per “accompagnare alla pensione una quota importante degli attuali 18.000 operai forestali con l’impiego, concordato con lo Stato, in tutto o in parte dei circa 100 milioni annui di disoccupazione agricola erogata ai lavoratori, impegnati in Sicilia”. L’obiettivo, inoltre, “è impiegare a tempo indeterminato la restante parte di operai, anche con l’impiego di fonti di finanziamento opportunamente indirizzate” e “riorganizzare il lavoro forestale, con l’inserimento di competenze legate alle attuali necessità di tutela ambientale – cambiamenti climatici, new green deal, risorse energetiche rinnovabili – e modernizzare i sistemi di gestione del lavoro forestale”. Già, ma quando?
Fra le altre incombenze che lo Stato aveva inserito nell’accordo di finanza pubblica sottoscritto fra l’ex premier Conte e Nello Musumeci nel gennaio 2021 – quello che spalmava il disavanzo di 1,7 miliardi in dieci anni – c’era anche la riforma dei Consorzi di Bonifica. Che nessuno, però, è riuscito a mandare in porto. Nonostante i tentativi. Il 15 gennaio scorso, infatti, l’assessore Scilla esultava perché la terza commissione dell’Ars ha “approvato e trasmesso il disegno di legge di riforma dei Consorzi di bonifica. Dopo un lungo iter si è finalmente giunti a questo risultato, atteso da tempo da tutto il mondo agricolo siciliano”. Peccato che della riforma si perdano le tracce quasi subito, e l’11 luglio scorso fu Gianfranco Micciché, presidente dell’Assemblea, a dichiararla abortita: “La riforma sui Consorzi di Bonifica, approvata dalle commissioni competenti dell’Ars, così com’è scritta non risolve i problemi degli agricoltori e, per questo, non arriverà a Sala d’Ercole. Così com’è stato esitato, il progetto di riforma non piace ai rappresentanti di categoria, perché non risolve alcuni problemi fondamentali del settore. Io mi impegno ad aprire un confronto attivo e serio con gli attori principali del comparto con l’obiettivo di mettere nell’agenda della prossima legislatura una riforma che sia accanto agli agricoltori, ma che lasci la politica fuori dalla gestione dei consorzi, commissariati da circa trent’anni”.
Di commissariamento ha parlato anche Schifani in campagna elettorale: “Se non si supera il commissariamento dei Consorzi non risolviamo le questioni che stanno più a cuore agli agricoltori”. E ancora: “I consorzi di bonifica in Sicilia bisogna riformarli e metterli in condizione di operare o trovare strutture e soluzioni alternative. Non si può concepire che non arrivi acqua ai nostri campi, in una terra come la nostra con un’agricoltura a cui manca l’acqua, bene essenziale per coltivazioni e produzioni. Abbiamo un patrimonio che dobbiamo mettere a regime con l’acqua”.
Altro tema delicato: i rifiuti. La bocciatura, da parte dei franchi tiratori, dell’articolo 1 della proposta di riforma della governance, determinò (nel novembre ’19) l’ira di Musumeci, con annessa minaccia di non tornare più in aula finché non fosse abolito l’istituto del ‘voto segreto’. La riforma, quella riforma, non ha più visto la luce perché ritenuta una porcheria da maggioranza e opposizione. Nonostante decine e decine di sedute in commissione Ambiente per smussarla. Se ne riparlerà, forse.
Come si dovrà necessariamente riparlare, alla luce della recente sentenza del tribunale di Palermo sull’illegittimità della nomina a capo dipartimento di un dirigente di “terza fascia”, di riforma della pubblica amministrazione. Nell’accordo di finanza di cui sopra, si accennava a un intervento legislativo corposo per “eliminare le distinzioni tra la prima e la seconda fascia dei dirigenti di ruolo, superare la terza fascia dirigenziale avente natura transitoria con l’inquadramento nell’istituenda unica fascia dirigenziale, agli esiti di una procedura selettiva per titoli ed esami (…) con espresso divieto a regime di inquadramenti automatici o per mezzo di concorsi riservati per l’accesso alla dirigenza”. Nessuno, però, ha avuto il coraggio di proporre all’aula una legge all’altezza.
Si è chiacchierato a lungo anche di riforma del turismo, che la candidata del centrosinistra, Caterina Chinnici, aveva agganciato all’opportunità di accorpare i due assessorati competenti: Turismo e Beni culturali. Mentre l’ultima tentazione, che Musumeci ha soltanto sfiorato, è la riforma delle ex province, che superi la Legge Delrio e lo scoglio della Corte Costituzionale, e che consenta ai cittadini di esprimersi per ridare rappresentanza (e ossigeno) agli enti d’area vasta. Una proposta fatta propria da Totò Cuffaro, segretario regionale della Dc: “Adesso, d’intesa con il presidente della Regione Renato Schifani, lavoreremo ad una legge regionale che ripristini l’elezione di primo grado dei presidenti delle province e dei consiglieri, così come avveniva prima. Tornare a rinnovare questi organi vuol dire ridare dignità alle istituzioni e responsabilizzare una nuova classe dirigente, vicina ai territori, che sappia rilanciare l’azione amministrativa e di sviluppo”.
Per realizzare tutto questo ci vorrà tempo, ma anche la volontà politica. Entro quest’anno l’Ars riuscirà ad approvare a malapena la nuova proposta di esercizio provvisorio per consentire la spesa in dodicesimi nei primi mesi del ‘23. Terminato quell’iter bisognerà imbastire una legge di Bilancio e di Stabilità, sperando di riuscire ad approvarla entro il prossimo febbraio (ma non è escluso che la pratica si protragga ad aprile, come nel 2022). Chiudere troppo in là, significherebbe intrecciare il calendario con l’incombenza delle vacanze estive e con una serie di leggine che, da prerogative parlamentari, non possono mancare. Ecco che le riforme potrebbero slittare a dopo l’estate, specie se il lavoro nelle commissioni di merito non dovesse procedere spedito. Schifani potrebbe agevolarlo, evitando agli assessori un frenetico rimpallo fra i palazzi: ma questo sarebbe incompatibile con la sua giunta di “soli eletti”. Nessuno ha voglia di destabilizzare alcunché: ma la nebbia è sempre più fitta.