Raffaele Lombardo è tornato, anche se – giurano – non se n’è mai andato davvero. Neppure nei dodici anni di purgatorio, molto più simili all’inferno, che ha trascorso intrappolato nel limbo della giustizia italiana (da cui alla fine è stato assolto). Il ritorno in grande stile di sabato pomeriggio al congresso del suo Mpa, depurato da tutte le ovvietà del caso, è la prova provata della mole (politica) del personaggio e di un consenso che, malgrado tutto, non è stato scalfito. Fallita la speranza di un’autonomia sostanziale, gli Autonomisti sono rimasti. Hanno rialzato la testa alle ultime Regionali – quattro i deputati eletti – e con Lombardo sono pronti a scompaginare le carte del centrodestra. Nella foga di sabato, in parte, è già avvenuto. Anche se l’attacco nei confronti degli istinti “predatori” di Luca Sammartino – che in questa fase rapppresenta il “nemico giurato” – ha colpito di riflesso anche Schifani: “Il presidente della Regione ha una certa età – ha detto Lombardo – Un giorno resta a casa, l’indomani ha diritto a farsi una settimana di vacanza. E in caso di sua assenza? Scusate, stiamo scherzando? Governiamo la Regione così? Non lo possiamo fare”.
Fra due mesi si vota a Catania, dove l’ex governatore (originario di Grammichele) ha trascorso gli ultimi sessant’anni della sua vita e fatto per una volta il vicesindaco. Sottolineare che non lascerà nulla d’intentato è pleonastico (ha promesso di candidarsi a sindaco in caso di centrodestra spaccato). Ma in pochi, forse, avrebbero immaginato un avvio così arrembante. L’uomo che intende unire, forse, ha posto le premesse per dividere. La sfuriata contro la Lega, e indirettamente contro Salvini – il patto federativo sottoscritto un paio d’anni fa è diventata carta straccia alla vigilia delle Politiche a causa (pare) di una mancata candidatura all’uninominale – ha riaperto le danze in una coalizione litigiosa, in cui alla forte contrapposizione fra i sostenitori del Ministro delle Infrastrutture e il partito della Meloni, s’aggiunge la variabile Lombardo.
Non è elemento da poco. Ma materia dirimente nello stabilire con quanti candidati si presenterà il centrodestra alla poltrona da sindaco di Catania. L’appoggio dell’ex presidente della Regione a Fratelli d’Italia è nei fatti: stanno costruendo una federazione in vista delle prossime elezioni Europee del 2024 e il passaggio delle Amministrative è cruciale per allenare il fiato e tendere i muscoli. Per i patrioti, dopo aver acquisito Diventerà Bellissima, sarebbe il coronamento di un dominio che non conosce sosta né regole. Lombardo è stato durissimo non tanto nei confronti di Salvini, ma nei confronti della classe dirigente che s’è scelto per radicare il suo Carroccio decadente anche nell’Isola. Secondo il leader del Mpa, che per altro vanta ottimi rapporti personali con Nino Minardo (ex segretario siciliano della Lega) «quella di Valeria Sudano non è una candidatura politica», ma una scelta che ha «bypassato il tavolo programmatico» con un «gruppo umano che ha occupato un partito politico» passato in «Udc, Articolo 4, Partito democratico e Italia viva» e che ha «sfiorato Forza Italia prima dell’approdo alla Lega».
Insomma, il vecchio leader, al netto delle fughe in avanti, non riconosce alla Lega il diritto di poter esprimere una candidatura a sindaco che, pertanto, viene definita “illogica”. Per poter trattare è necessario il ritiro della proposta e dei manifesti 6×3 affissi in tutta Catania. Per Lombardo “o esplode tutto a seguito della iniziativa” salviniana, “mi auguro sinceramente di no, o il resto del centrodestra si aggrega e a questo punto sarebbe opportuno che qualche candidatura venuta fuori prima del tempo si ritirasse”. Altrimenti, saluti e baci. Per Fratelli d’Italia, presente in massa all’evento catanese (c’erano Razza, Pogliese e anche Manlio Messina), è la sponda che ci voleva per isolare i simil-leghisti, e per fare saltare il banco. Ma soprattutto per cancellare le tracce dell’ennesima deriva autoritaria – istituzionalmente parlando – dopo aver conquistato a mani basse tutte le posizioni di prestigio alla Regione: a partire da quella del governatore Schifani, un surrogato di Musumeci voluto direttamente da La Russa; passando per la presidenza dell’Ars, per la gestione degli assessorati chiave (Turismo e Beni culturali), per il vertice delle commissioni più importanti.
Lombardo riuscirà ad indorare la pillola agli alleati più riottosi? Quale sarà la reazione del nuovo corso di Forza Italia dopo i litigi sfrenati con FdI sulla gestione dei precari Covid e il rischio, più volte paventato da Micciché, di rimanere schiacciati a destra? E quale sarà la reazione di Cuffaro, da sempre il meno lombardiano di tutti (ma anche politicamente legato a Sammartino & co.)? Ma c’è anche un’ultima sfera da indagare. Quella che porta a Renato Schifani. Finora è stato lui, il presidente della Regione, il vero equilibratore. E’ diventato il garante del centrodestra, il candidato di sintesi richiesto a gran voce da La Russa, quando è tramontata l’ipotesi di un Musumeci-bis; ha scalzato Miccichè per prendersi la guida di Forza Italia (arrivando a minacciare la carta della diaspora) e per tenere fede agli accordi elettorali col presidente del Senato; ha chinato il capo e fatto finta di non vedere gli schizzi di fango che l’ala più estremista dei meloniani gli ha riversato addosso nei giorni di Cannes; si è assunto l’onere e l’onore di consegnare una coalizione unita anche alle prossime Amministrative.
Sancita la preminenza del suo ruolo, e accolta con soddisfazione l’assoluzione di Lombardo dai reati contestatigli (persino il concorso esterno per mafia), siamo davvero così certi che quella con l’ex governatore di Grammichele diventi una convivenza in pieno stile olimpico? Che nessuno faccia a gara per stringere l’accordo più prolifico con FdI o accaparrarsi in maniera più duratura le simpatie della Meloni? Le parole di sabato di Lombardo suonano sinistre e da Palazzo d’Orleans è già filtrato un certo fastidio per il riferimento all’età del governatore ma anche per la “pazienza” che il leader autonomista ha riconosciuto al suo assessore, Roberto Di Mauro, membro di quella giunta. Schifani, d’altra parte, in questi primi mesi di governo ha sempre avuto bisogno di un “nemico” per far emergere il valore delle proprie posizioni: è accaduto con Micciché dentro Forza Italia, ma anche con le compagnie aeree sul caro voli o con l’Anas sulle autostrade. Servono nuovi appigli per dare fondo alle sue capacità di governo. Le selezioni sono aperte.