C’è chi tramuta in oro tutto ciò che tocca. E chi no. Renato Schifani, “parlamentarista convinto”, presidente della Regione, dirigente di partito e commissario multi-tasking, non ha mai avuto la fama di Re Mida (in questi mesi da governatore). Non ha mai aggiustato niente; semmai – politicamente parlando – ha distrutto. Mutuando il titolo di un capolavoro con Sylvester Stallone, somiglia più a John Spartan, protagonista di “Demolition man”. Non per i metodi – ognuno ha i propri: ci sorprenderemmo se non conoscessimo la politica – ma per una sfiga quasi grottesca di avere le mani in pasta dappertutto e non riuscire a concludere un bel niente. Se non una serie di catastrofi.
Prendete la giunta di Palermo. Partita con le migliori intenzioni, quella guidata da Lagalla non era attesa da un compito facile; e non c’entra, non solo, lo scandalo dei Rotoli. Bisognava mettere a regime i conti pubblici che Leoluca Orlando aveva trascurato a tal punto da trascinare Palazzo delle Aquile sull’orlo del dissesto. Alla faccia di chi dice che Palermo è irredimibile, e in parte ingovernabile, Lagalla ce l’ha fatta. Ha approvato il Bilancio di previsione 2023 e il Consuntivo 2022, evitando il precipizio. Già che c’era, grazie a un cospicuo finanziamento piovuto da Roma e mostrando abilità che al suo predecessore erano mancate, è riuscito a chiudere (si spera per sempre) la scabrosa questione dei morti mai tumulati. Ha inaugurato persino la Control Room, un Grande Fratello che vigilerà sulla città dopo i recenti fatti di cronaca. Forse – al netto dei tanti, troppi selfie di alcuni suoi assessori – bisognerebbe dirgli “bravo” o, per evitare di cadere nel tranello del servilismo, “vai avanti così”. Invece, all’indomani dell’approvazione dei conti, il primo obiettivo di Schifani era mettersi di traverso e minare la giunta dalle fondamenta. Fino alla formulazione di un ricatto bell’e buono: dateci un assessore, o Forza Italia è fuori.
Tutti sanno che senza FI non si canta messa, essendo diventato da poco il gruppo più nutrito in Consiglio comunale. E che questo primato è stato possibile per aver scippato un componente alla civica di Lagalla. L’ingresso in campo delle controfigure di “Demolition man” – prima c’era solo Marcello Caruso, ora è comparso tale Domenico Macchiarella, coordinatore cittadino – ha rovinato il clima all’interno dell’esecutivo e probabilmente costringerà il sindaco, che per la cronaca non ha nulla dello spietato criminale Simon Phoenix, l’arcinemico di Spartan, a rivedere i suoi piani. A sospendere i suoi progetti. Il presidente della Regione che impone l’alt a una macchina in corsa: non perché sia necessaria una revisione, ma per cambiare la vernice alla carrozzeria. In pratica è questo.
Ma questa vicenda di Palermo sarà forse un caso? Negativo, signore. Un altro ambito in cui Schifani ha toppato è il rapporto col Parlamento. Che in pratica non serve più. Galvagno potrebbe disdire i contratti per la fornitura della corrente elettrica e chiudere le nobili sale della residenza di Federico, e nessuno se ne accorgerebbe. L’Ars non esita una legge perché il governo non assume l’iniziativa. E’ timido, riservato, arido. Lo aveva detto in tempi non sospetti il presidente di Sala d’Ercole: “Possiamo rimanere aperti h24, ma se non c’è carne al fuoco…”. Fosse soltanto quello: Schifani s’è defilato di fronte ai chiarimenti e alla pretesa di verità da parte delle opposizioni. Non ha risposto, e non risponderà, sugli abusi di SeeSicily; non ha risposto, ma forse si farà vivo entro il mese, sugli incendi estivi che hanno devastato la Sicilia; non ha scucito una critica sull’episodio increscioso di Fontanarossa e sulla gestione dell’emergenza da parte della società aeroportuale. Zero. Se questo non è umiliare il parlamento, cos’altro lo è? Cos’altro servirebbe per fare tabula rasa della principale forma di rappresentanza democratica di questa regione? Una deriva del genere, però, in pochi se l’aspettavano: al suo esordio il presidente aveva confessato di essere un “parlamentarista convinto” e annunciò di riferire ai deputati tutte le volte che sarebbe servito. Promesse da marinaio.
Anche le manovre di disturbo architettate da Schifani in questo scorcio di legislatura hanno avuto profitti limitati. Ad esempio, il governatore ha imbastito la tavola per uno scontro serrato con Ryanair a causa del presunto duopolio fra la compagnia irlandese e Ita Airways nell’imposizione delle tariffe aeree per la Sicilia. Schifani ha fatto ricorso all’Antitrust, ha messo in fuga il vettore da Comiso – con la compartecipazione di Sac per un presunto contenzioso sui contratti –, ha fondato osservatori inutili. Ed è stato tacciato in malo modo da Wilson, Ad della compagnia low-cost: “Dice spazzatura, nient’altro che spazzatura”. Ma la cosa più grave è il taglio delle tratte per la Sicilia, complice l’ultimo provvedimento del governo Meloni che pone un tetto al costo dei biglietti per le Isole: dalla prossima stagione invernale scatteranno le riduzioni anche su Catania e Palermo. La conferma giunge dal patron O’Leary: i nuovi voli in partenza da Bergamo e Malpensa “saranno solo internazionali” mentre l’offerta domestica “risentirà dello stupido decreto tariffe del governo. Dopo la Sardegna, dove abbiamo ridotto i voli del 10% – ha aggiunto – quest’inverno toccherà alla Sicilia”. I pratica “i voli che prima avevano destinazioni domestiche grazie al decreto avranno destinazioni internazionali»”.
Su Fontanarossa si è consumata, poi, l’ennesima commedia trash. Con annessa un po’ di sfiga. Il presidente della Regione, con la nomina dei commissari di Irsap, Camera di Commercio del Sud-Est e Libero Consorzio di Siracusa – tre enti regionali che detengono una parte delle quote di Sac – si era garantito il controllo della società di gestione, che nel lungo periodo dovrebbe garantire la privatizzazione dell’aeroporto etneo. Sembrava tutto apparecchiato per una luna di miele – persino la CamCom era stata ridisegnata secondo le esigenze della politica, col timbro finale del commissario di Forza Italia – ma il 16 luglio tutto è precipitato. Per una stampante. Un polverone si è sollevato su Catania, e stavolta l’Etna non c’entrava nulla. Terminal chiusi, passeggeri stipati nelle tende dell’aeronautica, voli annunciati con mezzi di fortuna (i megafoni), bar senz’acqua. I più sfortunati hanno dovuto sorbirsi una traversata da un capo all’altro della Sicilia (da Catania a Trapani). Qualcuno ci ha anche rimesso dei soldi. Ma di questo sfacelo non risponde nessuno. A “Demolition man” è toccata la difesa strenua di Sac, al sindaco di Trantino la parte dell’accusa. Come in Law & Order, a dare il verdetto saranno i magistrati (che a differenza della politica si sono già attivati).
Un’altra pezza che non ha funzionato è quella che riguarda la programmazione europea. Dopo aver assegnato l’incarico di esperto per le questioni (e i fondi) extraregionali all’ex rivale Gaetano Armao, il presidente della Regione ha sfilato la delega all’assessore Falcone, lasciando che a occuparsi della gestione delle risorse – in larga parte da spendere e da rendicontare entro l’anno – fossero i dirigenti. Che per carità, ce la metteranno tutta, saranno anche preparatissimi, ma rischiano di dover restituire a Bruxelles un miliardo di euro. A causa di una politica incapiente. Anche la Cts, che ha il compito di approvare le autorizzazioni in materia ambientale, è stata rivoltata più volte come un calzino perché – a inizio legislatura – qualcuno (Confindustria) ha fatto credere a Schifani che l’ex direttore, il prof. Aurelio Angelini, ostacolasse le lo sviluppo e le imprese. Così, dopo averla smantellata una prima volta, la Regione si era affidata a un altro professionista, il prof. Giuseppe Trombino, anch’egli sacrificato sull’altare del più scaltro: a dirigere la commissione è finito ancora lui, Gaetano Armao, notoriamente esperto di tematiche ambientali (non lo starete pensando davvero? E’ una battuta…).
Com’è facile dedurre, in Sicilia sono tante le cose che non funzionano. E pertanto è difficile romperne altre. O fare in modo che smettano di funzionare. Schifani, in maniera sorprendente, ci sta riuscendo. Forse sarebbe riuscito ad affondare anche la struttura commissariale per la depurazione delle acque se i ministri Fitto e Pichetto gli avessero dato spazio, consultandolo per le nomine. Non l’hanno fatto, e apriti cielo. Schifani s’è inalberato, assegnando patenti di (in)competenza. Ma Fratelli d’Italia ha suggerito al governatore la via maestra: “Da parte nostra non ci siamo mai permessi di criticare le nomine di Schifani. Né quando hanno riguardato ex deputati né quando, talvolta, i designati si sono dimostrati degli “scienziati””. Della serie: ci mancavano solo altri clientes…