Mentre Sala d’Ercole ribolle per l’esito della Finanziaria, in commissione, all’Ars, si continua a lavorare sottotraccia per far riemergere… il passato. L’altro ieri, durante le liti funeste tra l’assessore Falcone e le opposizioni per determinare l’iter della Legge di Stabilità, la commissione Affari istituzionali mandava in porto la seconda riformina di questa legislatura, dopo quella sui Consorzi di Bonifica. Entrambe, però, non sono passate al vaglio dell’aula e pertanto rimangono “in fieri”, nell’immaginazione dei deputati e in qualche comunicato stampa trionfalistico emesso dai gruppi.
La voglia smodata dei parlamentari è riportare in auge le “creature” che Crocetta, con un atto poco furbo e assai populista, aveva soppresso nel 2013. In nome della spending review. Da quel momento gli enti d’area vasta, declassati in Liberi consorzi di comuni, non hanno più funzionato. Così, già nel corso della precedente legislatura, si è tentato un colpo di mano per riportarle allo stato originario. Anche se, in verità, l’obiettivo non è tanto ripristinare le funzioni che in questi anni, complice il depauperamento della rappresentanza istituzionale, sono venute meno; bensì le poltrone che avevano garantito a molti comprimari della politica, o giovani in rampa di lancio, di iniziare a posizionarsi in vista degli appuntamenti più prestigiosi (le Regionali o le Amministrative).
Non è un caso che la cifra distintiva di questa riforma sia la reintroduzione del voto diretto di presidente e consiglieri provinciali. La Corte Costituzionale, con una sentenza di qualche mese fa, ha detto espressamente di non poter più tollerare il rinvio delle elezioni di secondo livello – quelle in cui votano sindaci e consiglieri comunali – in favore di eterni commissariamenti (tuttora in corso). La Regione, anziché adeguarsi, ha preferito imboccare la strada più complicata. Liberare le province siciliane dai legacci della legge Delrio e ripristinare il voto diretto. L’iniziale effervescenza, però, è stata ridimensionata da una riflessione a posteriori: cioè che l’”imposizione” di nuove elezioni senza l’abrogazione della Delrio, da parte del parlamento nazionale, avrebbe provocato l’ennesimo strappo col governo romano e una impugnativa quasi certa. Così, su suggerimento dell’ala governista di Fratelli d’Italia, nel ddl appena approvato “è stato tolto ogni riferimento alla data delle elezioni, poiché è opportuno prima verificare la compatibilità di questa riforma con l’ancora vigente legge Delrio”.
Non sono bastate le parole del ministro Calderoli, che sembravano rassicurare Schifani. La Regione ha dovuto fare non uno, ma due passi indietro, e così la legge venuta fuori dalla I Commissione, almeno per qualche mese, finirà in salamoia. Ecco cosa prevede: nelle Città metropolitane (continueranno a chiamarsi così) con oltre un milione di abitanti (Palermo e Catania) ci saranno 36 consiglieri e «fino a un massimo» di 9 assessori, mentre Messina ne avrà rispettivamente 30 e 7. I Liberi Consorzi di Comuni, invece, torneranno a chiamarsi province: essendo tutte virtualmente sotto i 500 mila abitanti, Agrigento, Caltanissetta, Enna, Ragusa, Siracusa e Trapani avranno un consiglio provinciale composto da 24 membri e una giunta di 6 assessori. Il totale dice: 9 presidenti, 61 assessori e 246 consiglieri fra metropolitani e provinciali. Più di trecento poltrone. Viva la modernità.
L’appesantimento degli organi istituzionali è una tassa da pagare di fronte agli appetiti sempre più famelici della maggioranza di governo. Che non ha ancora deciso sulle nomine dei manager della sanità. Ma da tempo tiene aperta un’altra finestra sul… passato. L’altro punto qualificante del programma elettorale di Schifani, che vanta il favore di DC e Lega, è quello dei termovalorizzatori. E poco importa, come dice l’ex deputato dei 5 Stelle, Giampiero Trizzino, che “il programma di dismissione degli inceneritori è partito in tutta Europa – Danimarca inclusa – per fare fronte agli impegni del Regolamento 2021/1119, che impone la riduzione del 55% delle emissioni atmosferiche al 2030”. Cosa fa invece la Sicilia? “Prevede per quella stessa data l’avvio di due termovalorizzatori – spiega l’avvocato ambientalista ed ex presidente della IV Commissione a Palazzo dei Normanni -. Così quando Schifani, o chi per lui li inaugurerà, arriverà l’Unione europea che gli imporrà in countdown per spegnerli. Se non fosse una triste verità, sembrerebbe una barzelletta”.
Ecco, il gusto del ritorno al passato sopravvive in queste scelte di politica ambientale. Fermo restando che, per ora, la nascita dei due inceneritori rimane incagliata su alcuni elementi oggettivi: il primo è che il ministro per l’Ambiente, Gilberto Pichetto Fratin, non ha ancora concesso a Schifani “poteri speciali” per far partire l’iter e sveltire la procedura per la realizzazione degli impianti (ci sarebbe anche una disputa sul nome del “commissario”, con l’Mpa pronto alle barricate); il secondo è che ci vorrebbe un “Piano regionale dei rifiuti” aggiornato, che possa prevedere questa eventualità come prioritaria. Al ragionamento si aggiunge un’altra questione dirimente: poiché gli uomini di Raffaele Lombardo, in particolare l’assessore Di Mauro, non si sono mai stracciati le vesti per questi termovalorizzatori, andrebbero convinti anche loro. Di Mauro è il responsabile dei rifiuti e per questa “resistenza” – di fatto e di principio – era finito sulla black list del governatore, con la minaccia di essere depotenziato. E’ la questione che, per inciso, ha innescato le turbolenze sull’asse con Salvini, il quale si sarebbe rifiutato di sostenere la rimozione di Di Mauro, provocando la vendetta di Schifani riguardo ai fondi impegnati per il Ponte sullo Stretto.
Anche il collegamento stabile sullo Stretto, nonostante le dichiarazioni d’intenti del vicepremier, appartiene al passato di questa terra. Il progetto di Eurolink, che sarebbe in fase di aggiornamento, è del 2011, e nel frattempo il mondo è cambiato. Ciò che non è cambiato di una virgola, da Berlusconi a Salvini passando per Schifani, è il sapore beffardo dell’annuncio: i lavori, secondo il Ministro delle Infrastrutture, dovrebbero partire nel 2024 e garantire 100 mila posti di lavoro, anche se pare innaturale, o comunque una forzatura, che entro la fine del prossimo anno tutte le carte saranno pronte e vidimate. Ci sono i numerosi quesiti posti da Report, che non possono essere elusi tanto facilmente; e ci sarebbero – questione non secondaria – altri finanziamenti da catturare. Magari in Europa. I soldi che Schifani rivendica (300 milioni) sono una minima parte di quelli destinati alla grande opera. Un’opera talmente grande che da sessant’anni o più è diventata ingestibile, ingombrante, anti-economica. Eppure vuoi togliere ai siciliani quell’ebbrezza di crederci ancora, sempre e comunque?
Questa Regione è un quadro antico: basta guardare le linee ferroviarie (molto non sono elettrificate e scorrono a un solo binario), la capacità dei treni (ci accontenteremo dell’alta capacità, e non dell’alta velocità, e per ora abbiamo anche le littorine), l’arretratezza delle strade (la Siracusa-Gela, che sarebbe dovuta terminare 50 anni fa, si è fermata a Modica). Di cosa ci stupiamo se la nostra classe politica reclama ancora le province e i termovalorizzatori?