Mentre a palazzo d’Orleans passa il messaggio che è tutto una questione di “pregiudizio” (Musumeci ha detto che la “Regione siciliana ha priorità di fronte alle quali il governo nazionale si gira dall’altra parte”), a incastrare i tecnici dei vari uffici e dipartimenti, fino a quelli dei Consorzi di Bonifica, sono le procedure. Così ha spiegato il Ministero delle Politiche Agricole di fronte all’impossibilità di ammettere i 31 progetti ai finanziamenti previsti dal bando del Pnrr sulle infrastrutture irrigue. Ma questo è un piccolo incidente di percorso rispetto a quello che potrebbe accadere nel futuro prossimo. Grazie alla programmazione comunitaria 2021-27 e al Piano nazionale di ripresa e resilienza, dovrebbero giungere nell’Isola 50 miliardi in pochi anni (la cifra è confermata dal documento di economia e finanza regionale). Di cui la metà, stando alle linee guida di Bruxelles, devono essere impegnati entro il primo semestre del 2023. Bisogna capire in fretta cosa farne.
Ma prima di ipotizzare scenari futuri, bisogna tirar fuori i precedenti. Capire come la Regione ha speso i soldi della programmazione più recente, che di per sé prevedeva canali molto più stretti. Dei 4,2 miliardi (altro che cinquanta!) messi a disposizione dal PO Fesr 2014-20, al 31 luglio l’avanzamento della spesa si ferma al 38,54%. Significa che la dotazione ancora da utilizzare (2,6 miliardi) è di gran lunga superiore a quella già utilizzata (1,6 mld). Questa spesa andrà certificata per intero entro la scadenza del 31 dicembre 2023. Significa che fra due anni gli uffici della Regione dovranno fare un doppio sforzo. Impegnare le risorse della nuova programmazione e certificare quelle della vecchia. Delle voci relative al PO Fesr 2014-20 ne colpiscono alcune. Ad esempio: al 31 luglio, è stato utilizzato solo l’8,35% delle risorse destinate al capitolo dei Beni culturali (5,8 milioni su 70 complessivi); va decisamente meglio nei settori Infrastrutture (59,96%), Protezione civile (48,56%) e Acqua e Rifiuti (46,43%). Siamo ancora indietrissimo sull’Energia (50 milioni su quasi 500), sull’Ambiente (13,46%) e sull’Istruzione (21,08%). Per una Sicilia sofferente, e incapace di autosostenersi, questo spreco corrisponde a uno stillicidio. A un’ipoteca sul futuro dei giovani che non hanno altre carte da giocarsi se non quella di andare via.
Ecco perché una corretta gestione delle risorse extraregionali – che in epoca Covid sono state in parte sacrificate con audaci riprogrammazioni (dai buoni spesa in giù) su cui si fondano le Finanziarie 2020 e 2021 – è determinante per scrivere il futuro dell’Isola. I fondi strutturali esistono da una trentina d’anni, ma l’assenza di programmazione strategica da parte della Regione non ha comportato, in tutto questo tempo, un cambio di passo. Ne è prova che la Sicilia rientra ancora fra le regioni Obiettivo 1, quelle in cui il Pil pro capite è minore del 75% della media europea; queste – a voler vedere il bicchiere mezzo pieno – sono anche le regioni che godono del numero più cospicuo di finanziamenti. Peccato che non riescano a farli fruttare per ottenere un upgrade. Per crescere. Per uscire da una fase di eterna arretratezza che si ripercuote sul destino delle prossime generazioni.
Anche la Corte dei Conti, nell’ultimo giudizio di parifica, ha inchiodato il governo di fronte alle proprie responsabilità: “Le previsioni iniziali sulla dinamica dell’utilizzo delle risorse di provenienza esogena – hanno scritto i magistrati nella relazione finale – si svuotano di ambizione al momento della rendicontazione degli esiti della gestione, palesando uno iato tra la fase della programmazione finanziaria e quella della sua successiva attuazione”. E dopo aver approfondito con numerosi esempi, rivela che “l’analisi della gestione finanziaria sul versante della spesa ostenta un approccio poco solerte nell’impiego delle risorse disponibili, pur a fronte dei cospicui stanziamenti allocati all’interno del bilancio di previsione”. Probabilmente a causa “di alcune disfunzioni organizzative e procedimentali” che “anche nel prossimo futuro, potrebbero considerarsi ostative al perseguimento dei nuovi traguardi”. Un altro fattore che incide e preoccupa in vista della valanga di soldi che ci travolgerà, riguarda i Comuni. “Non siamo ancora stati coinvolti – ha detto Carlotta Previti, vicesindaco di Messina con delega alla Programmazione – Ed è un peccato: chi meglio dei sindaci può conoscere i problemi e le vocazioni di un territorio? In vista della programmazione 2021-27 la Regione non ha ancora fatto una diagnosi dei fabbisogni”.
Vuol dire che non ha ancora immaginato come e dove spendere i soldi. Musumeci & Co., che hanno di fronte l’ultimo anno di legislatura, sono alle prese con la “cabina di regia” coordinata da Nicola Vernuccio, e presieduta dall’assessore Armao, che avrà il compito di monitorare la spesa e i progetti relative ad alcune ‘missioni’ del piano nazionale di ripresa e resilienza (ma che probabilmente servirà a ben poco); e hanno deliberato un insieme di interventi, scaturiti dalla lotta intestina con la commissione Bilancio dell’Ars, per l’utilizzo di 774 milioni di fondi Fsc garantiti dalla ministra Carfagna sotto forma di anticipazione di cassa. La logica sarà la stessa di sempre: quella delle sagre. Senza tener conto delle reali esigenze della nostra terra, ma preferendo una distribuzione “a pioggia” per non lasciare scontento nessuno. Questo è un errore di metodo che finisce per sacrificare le risorse e, in buona parte, la credibilità delle istituzioni siciliane. Le quali vanno sempre oltre, senza mai gridare allo scandalo, e anzi giustificandosi dietro la “politica dei territori”. Nessuno osa chiamarle mance elettorali. Nessuno osa invertire il trend, concentrandosi finalmente sulle cose che contano.
Spendere in questo modo 50 miliardi, garantendo la copertura a una miriade di progetti secondari, potrebbe rivelarsi un delitto. Ma i presupposti – ahinoi – sembrano esserci tutti. In una bozza fatta circolare in queste ore dal Ministero dell’Economia, non si intravedono grossi spazi progettuali. L’investimento più corposo previsto per la Sicilia, pari a 1,4 miliardi, riguarda l’alta velocità ferroviaria lungo la direttrice Messina-Catania-Palermo. Altri 126,6 milioni dovrebbero finanziare alcuni interventi sulle ferrovie regionali (dall’acquisizione di materiale rotabile a idrogeno, passando per l’adeguamento degli standard di sicurezza su alcune tratte specifiche). Mentre 370 milioni saranno impegnati per l’elettrificazione e l’upgrading lungo il Nodo di Catania e il bypass di Augusta, sulla Palermo-Agrigento-Porto Empedocle, e per garantire l’intermodalità a Trapani-Birgi. Spicca un investimento da 459 milioni per il raddoppio della Ogliastrillo-Castelbuono.
Nella Missione 3, relativa alle Infrastrutture per la Mobilità sostenibile, circa 455 milioni saranno utilizzati per la intermodalità e logistica integrata dei porti (gli interventi sono sia di tipo strutturale che tecnologico, il cosiddetto “cold ironing” cioè l’elettrificazione delle banchine). Un centinaio di milioni verranno destinati al potenziamento delle Zes, le zone economiche speciali, nell’ambito della Missione 5: Inclusione e Coesione. Mentre un investimento corposo (265 milioni) dovrebbe riguardare l’edilizia residenziale pubblica e le cittadelle giudiziarie. Parlando di rivoluzione verde e transizione ecologica (Missione 2), invece, sono previsti 200 milioni per il rinnovo dei treni Intercity, 115 per la tratta Misterbianco-Belpasso della Circumetnea, e 481 per il tram di Palermo. Ma ci sono soldi anche per il turismo lento, per il rinnovo del parco autobus (prevarranno quelli alimentati a metano) e per la ciclovia turistica della Magna Grecia. Un pacchetto ancora da perfezionare. Magari per renderlo più appetibile e meno frammentario. Mentre sulla capacità di spesa – questa conosciuta – non è peregrino immaginare una mega struttura commissariale. Con una gestione delegata a Roma.