Non è una guerra ai poveri, semmai una crociata contro la cattiva politica. Che pur accorgendosi degli errori, non fa nulla per correggerli. Se perfino Luigi Di Maio, all’epoca del Conte-2, era arrivato a chiedere un “tagliando” sul Reddito di cittadinanza, non si capisce perché – al netto delle recite a soggetto – nessuno provveda. Sul tema, sviscerato ieri da Buttanissima, è tornato a pronunciarsi il Ministro del Lavoro, Andrea Orlando. Più che altro per rispondere a Renzi, ex compagno di partito, che aveva proposto un referendum abrogativo per cancellare un provvedimento che rischia di diventare “diseducativo”. “Prima si dovrebbe conoscere la Costituzione”, è stata la replica stizzita del Ministro che pure, nelle settimane successive al suo insediamento, aveva assegnato a un comitato tecnico-scientifico il compito di valutare la misura introdotta dai Cinque Stelle, e poi, assieme a Draghi, ha licenziato Mimmo Parisi, padre dei navigator e capo indiscusso di Anpal (più noto per i suoi viaggi in Massachussetts che non per il contributo alla causa).
Eppure il Pd fa resistenza. Il Reddito, assieme alla figura di Giuseppe Conte, costituisce il principale collante con i grillini. La narrazione offerta da Orlando, intervenuto sul tema, apre ad eventuali modifiche. Ma resta incerto l’orizzonte temporale: “Può essere riformato, questo sì, soprattutto nella parte delle politiche attive – sostiene il ministro – ma non dimentichiamoci che ha salvato milioni di persone dalla povertà, soprattutto durante la pandemia. Agli imprenditori che dicono che non trovano lavoratori bisognerebbe chiedere: ‘Scusa, ma quanto li paghi i tuoi dipendenti?’ Gli italiani sono quelli che durante la pandemia, in tutta l’Unione Europea hanno perso di più rispetto al monte salari”. Poi ha concluso: “Io non l’ho votato, si possono cambiare alcune cose, ma la demonizzazione dello strumento, sta diventando la demonizzazione delle persone che hanno quel bisogno e l’idea di fondo che sta passando è che se un povero è colpa sua perché non ha voglia di lavorare. Non è la pigrizia, ma sono le disuguaglianze che producono la povertà. Io – ha sottolineato l’esponente del Partito Democratico – escludo che se una persona trova un lavoro da 1.500 euro al mese, preferisca stare a casa. Magari stanno a casa davanti a un lavoro da 600 euro. Allora il punto è se è sbagliato che restino a casa o se è sbagliato che ci siano dei salari che sonno inqualificabili”.
Insomma la pratica del ‘divanismo’ è lontana dall’essere debellata. Sebbene anche Pasquale Tridico, capo dell’Inps a trazione grillina, abbia messo che due terzi dei percettori del Reddito – quindi 2,4 milioni su un totale di 3,7 milioni – sono difficilmente collocabili. Essi, infatti, “non risultano presenti negli archivi Inps degli estratti conto contributivi negli anni 2018 e 2019, e sono quindi distanti dal mercato del lavoro, e forse non immediatamente rioccupabili”. Orlando, da parte sua, ha svelato che il 10% della platea che prende il Reddito di cittadinanza non ha nemmeno la quinta elementare. Ergo, sarà mantenuto a vita. Perché è lungo, lunghissimo il percorso da intraprendere nei Centri per l’Impiego per rendere queste persone ‘eleggibili’ all’interno di un mercato del lavoro, specie al Sud, già saturo. Serve un’accurata formazione, poi qualcuno che ti conceda di fare un tirocinio. “In media l’utenza del reddito di cittadinanza ha una bassissima scolarizzazione, ha scarsissime competenze digitali, al punto da non saper inviare un’email o non saper consultare un sito internet – ha detto tempo fa Antonio Lenzi, un navigator siciliano fondatore di AN.N.A., il sindacato dei tutor – Ha difficoltà a compilare un curriculum vitae e ha avuto una carriera lavorativa discontinua, fatta prevalentemente di lavoretti. A questi si aggiunge la categoria degli stranieri, che spesso hanno difficoltà di approccio alla lingua. Pensare che tutta quest’utenza possa essere ricollocata subito è propaganda”.
Anche se la pecca cronica di questo meccanismo contorto è che la maggior parte dei percettori del sussidio, non venga nemmeno intervistato dai navigator. E non arrivi a sottoscrivere il Patto per il lavoro. Chi lo fa, inoltre, avrebbe l’obbligo di rispondere a un’offerta, perché al terzo rifiuto decade il beneficio. Ma il principio della condizionalità è stato sospeso durante la fase critica della pandemia. Stando agli ultimi dati disponibili aggiornati a febbraio, su 1,05 milioni di beneficiari (parliamo di nuclei familiari) che dovevano sottoscrivere il Patto per il Lavoro, quello che impegna a rispondere alle offerte proposte dai Centri per l’impiego, sono stati presi in carico solo 330 mila. Di questi, 152.673 hanno trovato un lavoro, appena il 15,19%. I percettori non sono il combustibile di un mercato del lavoro che riparte ma – stante le condizioni difficili di molti di loro, per cui l’assegno mensile costituisce una manna dal cielo – un peso che grava sulle casse dello Stato. Fin qui sono stati spesi 7 miliardi per finanziare la misura, senza avere nulla in cambio (se non qualche lavoretto di pubblica utilità, grazie all’iniziativa isolata di alcuni Comuni). Un siciliano su sette – 556 mila persone in totale – si affidano a questo strumento. A parziale discolpa di questa impasse, c’è il fatto che il blocco dei licenziamenti, imposto alle aziende fino al 30 giugno scorso, ha scoraggiato qualsiasi tipo di nuova assunzione. L’intero meccanismo andrebbe riformato da zero.
A proposito di riforme, a breve si comincerà a lavorare su quella degli ammortizzatori sociali (così sperano i sindacati). Mentre per il Reddito, nonostante molte voci contrarie, non si intravedono scossoni. La proposta di Renzi fa il paio con quella di Fratelli d’Italia (che però agisce dai canali dell’opposizione). “In queste ore in molti si accorgono del fallimento del reddito di cittadinanza – ha attaccato il meloniano Francesco Lollobrigida, capogruppo alla Camera – Quelli che lo hanno votato, quelli che stanno continuando a finanziarlo e quelli che, pur stando al governo, fanno finta non sia un problema intollerabile che ogni giorno lo ricevano centinaia di migliaia di persone che non ne hanno alcun diritto”. La critica alla misura è totale: “Altri utilizzano slogan demagogici per difendere uno strumento perverso che nasce come politica attiva per trovare lavoro, ma ha risolto la vita solo agli inutili navigator – ha continuato –. Non si tratta di fare la lotta ai poveri e alla povertà, ma di cancellare questo scempio e lavorare a una misura con equità e legittimità”. Il reddito di cittadinanza “va cancellato ora, non domani o dopodomani”. Cancellato o modificato, va da sé, purché abbia un senso e diventi, come nelle aspettative (tradite), uno strumento di politiche attive.
Secondo Lollobrigida, gli effetti del Reddito di cittadinanza “sono aumento del lavoro nero, difficoltà di trovare lavoratori per il turismo, per l’agricoltura, per il terziario”. Cosa fare, allora? “Porteremo in Aula una mozione in questo senso e sarà l’ora della verità”, ha spiegato lanciando un messaggio chiaro a Renzi e Salvini. “Fratelli d’Italia è l’unico partito che può rivendicare di essere estraneo a questo provvedimento da ogni punto di vista”. Anche il leader del Carroccio ha segnalato il problema (sebbene la Lega abbia approvato lo strumento al governo coi Cinque Stelle): “Dopo l’estate va rivisto – ha detto lunedì, dalla Calabria, il leader della Lega – perché siamo pieni di imprenditori, ristoratori, albergatori che non riescono a trovare personale. Molti rispondono che preferiscono stare a casa, con l’aria condizionata, con il reddito di cittadinanza piuttosto che andare a lavorare. Quindi c’è qualcosa che non funziona. Invece di creare occupazione, crea lavoro nero e disoccupazione”.
L’arco parlamentare su cui imbastire la discussione è ampio, variegato. Ne va della vita di centinaia di migliaia di persone, ma anche del concetto di giustizia sociale, di equità. Ma in attesa che se ne parli sul serio, si potrebbe partire da una delle tante proposte di buon senso avanzate negli ultimi giorni. Quella dell’europarlamentare Carlo Calenda, candidato a sindaco di Roma: “Io credo che si possa chiedere, senza ledere la dignità di nessuno, a chi percepisce il reddito ed è in grado di farlo, di collaborare alla pulizia della città. Mezza giornata di lavoro, con integrazione di salario. Ripristiniamo la figura dello spazzino di quartiere. Presidio di decoro”. Questa è una battaglia al divanismo, mica la guerra contro i poveri.
M5s Sicilia: “Strumento da migliorare, ma non da abolire”
Anche il Movimento 5 Stelle, all’Ars, si accorge che il Reddito “sicuramente è da migliorare, ma toglierlo, come vorrebbero fare Renzi e la Meloni, sarebbe una catastrofe sociale. In piena pandemia è stato lo strumento che ha salvato tantissimi dalla miseria e contribuito ad evitare disordini sociali. Siamo pronti alla contro campagna referendaria per difenderlo, spiegando ai cittadini le vere, tantissime buone ragioni che ci sono per mantenerlo in vita”. Lo afferma il capogruppo del Movimento 5 stelle all’Ars, vice presidente della commissione Lavoro di palazzo dei Normanni, Giovanni Di Caro, che nei prossimi giorni chiederà la convocazione di un’audizione all’Ars con gli assessori Scavone e Zambuto per fare il punto sui Centri per l’impiego e sull’attuazione dei Progetti di utilità collettiva, che potrebbero dare una grandissima mano ai Comuni, ma che invece stentano a decollare.
“Solo 52 Comuni su 390 – dice Di Caro – si sono mossi, attivando 312 progetti. Nulla se si pensa alla platea di 527 mila percettori in Sicilia. Certo, magari non potremmo utilizzarli tutti, ma gran parte certamente e sarebbero fondamentali per dare un contributo in tantissimi servizi alla collettività quali discerbamento, pulizia delle strade, assistenza domiciliare ai positivi al Covid e via discorrendo. Nel corso dell’audizione cercheremo di capire perché parecchi Comuni non utilizzano questo strumento e chiederemo al governo di sollecitarli all’attuazione, magari prevedendo per loro un aiuto per il pagamento delle quote Inail previste per i lavoratori. Di certo è un’opportunità che non può non essere sfruttata”. Di Caro mette l’accento anche sul ritardo del potenziamento dei Centri pere l’Impiego per il quale il governo Musumeci non ha ancora utilizzato i 100 milioni di euro stanziati dallo Stato. “Aspettiamo – dice – ancora il bando di concorso per le assunzioni che dovranno potenziarli che il governo Musumeci non ha ancora messo a punto”.
Per Di Caro sono esagerate le critiche al reddito di cittadinanza da parte coloro che vedono nello strumento un incentivo alla pigrizia e una fonte di facile guadagno per gli immancabili furbetti. “E’ più che evidente – dice – che sono motivazioni artatamente messe in campo solo a fini elettorali per demonizzare uno strumento fondamentale. Abolirlo solo perché gli immancabili furbetti che hanno un lavoro in nero ne hanno approfittato è da folli. Sarebbe come chiedere di abolire le pensioni di invalidità, mandando al massacro chi ha disperato bisogno di sostegni economici per vivere, solo perché esistono i falsi invalidi. Vanno potenziati i controlli, questo sì, ma buttare il bambino con l’acqua sporca sarebbe assurdo. Assolutamente da rimandare al mittente l’altra accusa, quella di chi asserisce che il reddito di cittadinanza rende impossibile a tanti imprenditori reperire lavoratori. Se cercano schiavi sottopagati con turni impossibili, allora hanno ragione, provino ad offrire paghe regolari e contratti decenti e vedranno che si troveranno la fila davanti alla porta. Il caso della Sammontana, in questo senso, è illuminate: l’azienda cercava stagionali ed è stata travolta da una pioggia di 2500 domande. Come mai?”.