Il “repito” è durato a lungo e probabilmente proseguirà. È stato talora autentico, più spesso ha assunto la natura di una grande recita, di una messa in scena ad opera di quasi tutte le emittenti televisive e di gran parte della stampa con ricordi, giudizi, elogi talmente sperticati da diventare imbarazzanti. Per una settimana la presenza di Berlusconi è stata ridondante, eccessiva, accompagnata dalla devozione dei suoi seguaci e dei suoi beneficiati, segnata da cori da stadio, da tifoserie con bandiere e tamburi di chi continuava ad idolatrarlo e dai giudizi di chi continuava a contestarlo in modo ancor più netto come controcanto dei cori assordanti degli osanna.
È stata un’isteria mediatica, priva di misura, una manifestazione propriamente berlusconiana, al punto da lasciare immaginare che il regista di tutto ciò fosse proprio lui, anche da morto. Lui che ha sempre amato le recite scintillanti, che non ha mai utilizzato toni sobri. Lui che, ancora una volta, ha voluto sorprendere e dividere, sfuggendo alla pacatezza che avrebbe potuto favorire giudizi meno esaltanti da un lato e meno severi dall’altro. Ancora una volta, o con lui o contro di lui. È stata evidente la netta differenza tra quello che si è sentito e letto in Italia e quanto è stato detto e scritto negli altri Paesi, nei quali, per quanto potente, Berlusconi non è riuscito a ricreare il set nel quale per trent’anni ha messo in piedi, da grandissimo uomo di spettacolo, un eccezionale colossal. Dentro quel set ha mostrato una tale bravura da confondere realtà e finzione e da indurre una parte consistente degli italiani a credere che quel teatro, quel copione, fossero la realtà. Proprio per questa bravura senza confronti, lasciatemelo dire, meritava i funerali di Stato e il lutto nazionale; nessun altro leader, anche fuori dall’Italia, potrebbe essere messo a paragone.
Capì a meraviglia la natura di una parte della nostra gente, comprese che bisognava farla “sognare”, in particolare dopo gli anni cupi di “Mani pulite”, renderla partecipe della rappresentazione, indurla a credere, anche contro ogni evidenza, che ciò che veniva messo in scena fosse reale. Berlusconi amò l’Italia, come disse al suo esordio – e con l’Italia amò la sua roba -, a tal punto da volerne delineare una a propria immagine. Scese in campo confondendo l’impegno politico con le competizioni calcistiche e in una certa misura riducendolo a questa dimensione. Con un capolavoro autentico mise insieme la Lega antifascista di Bossi e i neofascisti, quelli di Fini, dei quali favorì il processo di adesione alla democrazia. Si propose come un moderato, lui che smoderato fu per l’intera vita, smoderatamente godendone tutti gli aspetti. Intercettò i voti in uscita degli ex democristiani e degli ex socialisti. Dopo il crollo della prima Repubblica popolò la scena di pericolosi comunisti e ne parlò al punto da farli ritenere davvero esistenti quando ormai erano quasi del tutto estinti. Proclamò di voler difendere la libertà mai messa a rischio nei decenni precedenti. E tuttavia colse il sentimento anticomunista ancora persistente nel Paese.
Rese concreti nell’immaginario – mi sia consentito l’ossimoro – un milione di posti di lavoro, le pensioni più consistenti per tutti. Si proclamò liberale, proprio mentre dava vita al populismo, l’esatto opposto del sistema liberale. Non ebbe mai consapevolezza del valore e del ruolo delle istituzioni e li piegò spesso al suo interesse. Mantenne l’atteggiamento dell’imprenditore che, controllando la maggioranza delle azioni, comanda, crea un partito personale e come tale lo mantiene. Svalutò la cultura, riducendola alle famose “tre i” – inglese, informatica e impresa.
Fu dotato di una straordinaria capacità seduttiva. Ebbe una concezione arcaica e grossolana della donna e restò convinto che, legando seduzione e denaro, tutto potesse conquistare o acquistare.
Berlusconi fu capace di stabilire con una votazione parlamentare che Ruby era la nipote di Mubarak – capolavoro assoluto di bravura e di servilismo. Disse di cene eleganti, dove di elegante c’era appena il tovagliato. Disinvolto, giocherellone e talora perfino irriguardoso, trattò i capi di Stato come compagnoni e, insieme a qualche buon risultato in campo internazionale, trasmise e confermò l’idea che il nostro fosse il Paese del “bunga bunga”.
Nella recita ebbe il ruolo di regista ma curò anche gli aspetti più minuti della scenografia. In vista di una riunione del G8, ispezionò personalmente i vasi da fiore e le piante posti nel percorso che avrebbero dovuto compiere i cosiddetti grandi e con sfrenata fantasia fece attaccare con un filo di ferro dei limoni agli alberi privi di frutto.
Fu attore e utilizzò abbondanti quantità di cerone. Si tinse i capelli, tentò di alzare la sua statura con scarpe appositamente realizzate e portò con sé in tutte le apparizioni televisive dei fogli di carta bianca, convinto di risultare più disinvolto e credibile.
Con le sue televisioni conquistò una parte considerevole di telespettatori, diffuse una “gioiosa”, superficiale visione della vita, promuovendo spensieratezza e a volte disvalori. Agli occhi di molti finì per essere un modello al quale tendere, per la ricchezza, per il potere, per le conquiste femminili, per l’eleganza anche un po’ pacchiana, con doppio petto dentro il quale contenere a stento il proprio corpo. Modificò le leggi a sua protezione quando alcuni dei suoi avversari, non riuscendo, con gli strumenti della politica, tentarono di farlo fuori con l’azione giudiziaria.
Più volte sospettato di collusione con la mafia e mai per questo condannato, tenne con sé, come “stalliere”, un noto esponente della stessa e mantenne un rapporto costante con un suo collaboratore indagato e condannato per minaccia e violenza a corpo politico dello Stato.
Quelle richiamate sono state caratteristiche evidenti di un uomo che ha segnato la storia del Paese per trent’anni, che per trent’anni ha mantenuto un enorme conflitto di interesse mai seriamente contrastato dai suoi avversari politici.
Berlusconi non fu solo colui che qui viene delineato in un modo che a qualcuno può apparire perfino paradossale. Fu un grande imprenditore e un inarrivabile presidente di una squadra di calcio per la quale tifo, e per questo a lui la mia gratitudine.
Il tempo, stemperando amori viscerali e viscerali odi, darà alla storia gli elementi per un giudizio obiettivo. Non può esserci, mentre ancora continuano il “repito” e la dissacrazione e mentre si accende la gara per intitolare a Berlusconi stadi, vie e piazze.
La più berlusconiana delle proposte è quella di dare il nome dello scomparso al ponte che non c’è, quello sullo Stretto.