Razza, ritratto del delfino arpionato

Ruggero Razza, neo assessore alla Salute, si era dimesso il 30 marzo in seguito all'inchiesta che gli era costata un avviso di garanzia

La storia del suo legame con Nello Musumeci, più che ventennale, ce la raccontò lui, Ruggero Razza, nella prima intervista a Buttanissima: “Ci conoscemmo nel ’94 tramite papà, che fu trasferito a Catania e faceva il comandante provinciale dei Carabinieri. Il nostro è un legame di vicinanza umana, personale e politica. Che si è cementato non tanto nelle vittorie, bensì nelle sconfitte. Quello che è oggi Musumeci, ossia il presidente della Regione siciliana, è il risultato di una grande battaglia culturale e sociale durata anni”. Sono rimasti fianco a fianco dal novembre 2017 a marzo 2021, nel tentativo di risollevare la vituperata sanità siciliana. Poi la pandemia. Lo scandalo. Le telefonate incriminate con la dirigente. La necessità di un passo indietro concordato insieme, e ufficializzato attraverso una lettera consegnata nelle mani del governatore, che per la prima volta, in pubblico di fronte all’Ars, lo chiamerà “avvocato”. Con distacco solo apparente.

Il ragazzo che s’è fatto uomo grazie a Musumeci, ad appena 28 anni (oggi ne ha 41), si candidò a palazzo d’Orleans col sostegno della Destra di Storace (che nel frattempo aveva ‘inglobato’ Alleanza Siciliana, creazione di Nello e diretta emanazione sicula di An). Una corsa coraggiosa quanto inutile contro la potenza di fuoco dell’Mpa di Lombardo, che fece terra bruciata intorno. Comunque, l’avvio di un percorso che l’ha portato a farsi le ossa, nella sua Catania, da assessore e vicepresidente della provincia. La fiducia sconfinata nei confronti dell’allievo – che aveva completato la scuola militare alla Nunziatella di Napoli, la facoltà di Giurisprudenza a Catania, prima di entrare nello studio legale di Enzo Trantino – ha fatto compiere a Musumeci scelte importanti: ad esempio, reclamare, non appena insediato, l’assessorato più pesante di tutti, quello alla Sanità, per affidarglielo. Nonostante il peso elettorale di Forza Italia e di Micciché, che l’avrebbero preteso.

Razza, che in epoca Covid ha avuto la sua “bella” vetrina, sei mesi fa era finito al centro di alcune intercettazioni nell’ambito dell’operazione ‘Sorella Sanità’: il faccendiere Giuseppe Taibbi, parlando con il manager Antonio Candela (entrambi arrestati) lo definiva “il bambino”, sostenendo che il presidente della Regione, Nello Musumeci, “avrebbe dovuto levarlo dai coglioni”, perché dava fastidio agli affaristi. Ruggero ha operato anche da demiurgo politico. E’ stato a un passo dal far siglare a Diventerà Bellissima una federazione con la Lega, poi ha dovuto fermarsi di fronte alle resistenze di un pezzo della base, che chiedeva un maggiore coinvolgimento. Ha agevolato la spaccatura del Movimento 5 Stelle, trascinando cinque ribelli – tra cui Elena Pagana, la sua compagna di vita – su posizioni di responsabilità e maggiore apertura nei confronti del governo di centrodestra.

E’ andato a un passo dalla censura, quando, nel novembre scorso, Pd e Cinque Stelle cominciarono a tartassarlo di fronte alle prime criticità: la polemica sui posti di terapia intensiva caricati sulla piattaforma Gecos, l’audio incriminato del dirigente La Rocca, l’indagine dei Nas (senza esito). Razza se l’è cavata, arrivando a un passo dalle lacrime durante le dichiarazioni in aula: “Questa è senza dubbio l’esperienza più difficile che ho dovuto affrontare, ho cercato di onorarla con gli insegnamenti ricevuti da mio padre e che sono gli stessi, che spero, di avere la forza di insegnare a mio figlio”. La mozione è stata respinta.

In effetti Musumeci ha ribadito le proprie convinzioni anche ieri, nonostante i magistrati gli avessero fatto notare il tentativo di “inganno” ordito nei suoi confronti sulla comunicazione farlocca dei dati. Ha definito le dimissioni “dell’avvocato Razza un atto di grande responsabilità che” gli “fa onore e che non mi sorprende, conoscendone la formazione culturale e l’integrità morale”. S’è fidato fino in fondo, nonostante il 19 marzo scorso, dopo avergli palesato l’eventualità di declassare la città di Palermo in “zona rossa”, l’assessore non abbia più richiamato. Era stata ampiamente superata la soglia di rischio dei 250 casi per 100 mila abitanti. “Non ti sei più fatto sentire ieri”, attacca Musumeci. “Ah, no, abbiamo dati abbondantemente sotto i 250”, replica l’assessore. Il governatore si risente: “Minchia, ma allora perché mi avevi detto 400?”. Razza: “No, ieri erano 400, ma nella settimana sono stati 196”. La lente discesa agli inferi era appena cominciata. Il passaggio di testimone improvvisamente cristallizzato.

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