Rancori e solitudine di Schifani

Raffaele Lombardo e Renato Schifani durante la convention dei Popolari e Autonomisti in campagna elettorale

La decisione di Palazzo Chigi – rimodulare i Fondi di Sviluppo e Coesione per la Sicilia, “riservandone” una parte per la realizzazione del Ponte sullo Stretto – ha una valenza politica profonda. Significa che Schifani non ha più alleati. Neppure Matteo Salvini, che per lunghi tratti ha rappresentato l’anello di congiunzione col governo Meloni e che adesso, dopo aver fiutato l’indole del suo interlocutore ed essersi prestato ai suoi giochetti, ha deciso di scaricarlo. Non l’ha fatto con le dichiarazioni roboanti che ci si aspetterebbe da una separazione, ma con un atto politico che lo stesso Schifani ha interpretato alla stregua di un tradimento: “L’auspicio della Presidenza della Regione – è il messaggio inoltrato ieri da Palazzo d’Orleans – è che il ministro Salvini si possa attivare per restituire le maggiori risorse sottratte alla Sicilia, necessarie per sostenere importanti investimenti per lo sviluppo dell’Isola”. In pratica ha ammesso lo “scippo”.

Le risorse di cui parla il presidente della Regione siciliana sono il miliardo e trecentomila euro di Fsc (Fondi di Sviluppo e Coesione), messi a disposizione della Sicilia con la programmazione europea 2021-27, che Salvini ha deciso di “trattenere” per ovviare al minore impegno della Regione al co-finanziamento dell’opera: nei giorni scorsi, infatti, Schifani ha fatto sapere di voler rivedere la cifra al ribasso (per 300 milioni in meno). Dietro questa decisione, comunicata ufficiosamente al Mit, ci sarebbero gli impegni presi dal precedente governo ma soprattutto il mancato sostegno del vicepremier sulla vertenza Di Mauro: ossia l’assessore indigesto a Schifani, che da qualche mese sta tentando senza fortuna di rimuoverlo.

L’affaire Di Mauro, assieme ai problemi di ‘metodo’ per la scelta dei direttori generali della sanità e al sodalizio (solo sulla carta) con Totò Cuffaro, ha terremotato i rapporti fra Schifani e Lombardo in maniera quasi imprevedibile. Logico che Salvini, federato con gli Autonomisti, si schieri dalla parte di quest’ultimo. L’ex governatore di Grammichele, recentemente, aveva imputato varie questioni al capo della giunta, rivelando gli altarini pure su Di Mauro: “La sanità siciliana è in ginocchio – aveva detto nel corso di un incontro con gli amministratori agrigentini del suo partito -. Di questo ci si dovrebbe occupare, non di espropriare un assessore capace, bravo, volenteroso e trasparente come Roberto Di Mauro dalle competenze sui rifiuti e sui termovalorizzatori”. Poi ha rilanciato, nei confronti del presidente: “Si assuma semmai, se si ha coraggio, la delega alla Sanità e al Turismo. Si è letto che sul turismo c’erano tanti pasticci e si pensa ai termovalorizzatori?”.

Dopo lo scontro con Salvini è stato lo stesso Lombardo a rincarare la dose, evidenziando la bravura e la testardaggine del ministro leghista nel reperire le somme utili alla realizzazione del collegamento fra Messina e Villa San Giovanni: “Oggi è la sconfitta dei ricattucci, delle minaccette e delle squallide manovre!”, ha detto il fondatore del Mpa. Parole da cui non si può più tornare indietro. Di Mauro potrebbe avere le ore contate, a meno che Schifani non deciderà di ingoiare l’ennesimo boccone amaro e andare avanti su questa strada che fin qui gli ha fatto perdere l’appoggio di un pezzo del suo partito – quello che a Taormina ha celebrato la candidatura alle Europee di Marco Falcone – oltre che la fiducia di Fratelli d’Italia e dello stesso Cuffaro.

Vero: la DC resta sostanzialmente a fianco del presidente (seppur evidenziando qualche mal di pancia). Ma la coltellata inflitta qualche settimana fa, con la decisione – maturata dall’alto – di non offrire alcun posto in lista alla Democrazia Cristiana (la riproduzione plastica sono le parole di Tajani e la passerella, assieme al Ministro degli Esteri, di Caterina Chinnici), difficilmente non avrà strascichi. E’ stato anche quello un momento di rottura: che ha segnato la “sottomissione politica” di Schifani nei confronti dell’arrembante Falcone, sostenuto dallo stato maggiore di FI; e l’uscita di scena di Cuffaro, che per Bruxelles proverà a creare la lista dei “Liberi e Forti” senza alcuna possibilità di essere competitivo. A meno che non cambi qualcosa o che subentri una nuova alleanza.

Pure con Fratelli d’Italia, specie con la corrente turistica del partito, Schifani ha vissuto un rapporto sulle montagne russe. La tentazione di non accettare nomine imposte dall’alto (compresa quella dell’assessore Pagana, moglie di Razza), l’idea di cacciare Scarpinato dopo lo scandalo di Cannes e per una foto con De Luca, e il giudizio tranchant sulla nomina di Fatuzzo e Cordaro ai vertici della struttura nazionale per la depurazione delle acque (nomine di competenza del governo centrale), hanno incrinato la sua popolarità presso i patrioti. Per non parlare dei contrasti affilati sulle proroghe degli amministrativi Covid (con un duro atto d’accusa nei confronti della Volo) e sulla gestione dell’emergenza a Fontanarossa, l’estate scorsa, con la difesa strenua della Sac (causa di un duro scontro col ministro Urso). Ci sarebbero tanti di quegli episodi da scriverci un libro. Nel tempio di Manlio Messina, che a inizio ottobre ha organizzato un evento sul turismo a Brucoli, si è consumata però la tregua. L’assessore Amata avrà mani libere sulla gestione del portafoglio del turismo e potrà organizzare altre campagne di comunicazione sul modello SeeSicily senza ricevere obiezioni.

Al presidente della Regione, preso in mezzo fra mille mal di pancia, non era rimasto che Salvini. Puntualmente gli si presentava alla porta, nel suo ufficio al Senato, per riempirlo di complimenti (“Il Ministro è sempre attento alle esigenze del Mezzogiorno e della Sicilia in particolare”) e ricevere in cambio copertura politica. Nelle ultime settimane, però, è accaduto che il rancore verso un assessore – Di Mauro – superasse il livello di guardia: ma stavolta le spalle su cui consolarsi sono finite. Schifani è assediato dalle opposizioni (De Luca gli ha chiesto di dimettersi perché “non conta proprio nulla”) e anche da pezzi della sua maggioranza. Non ha più un partito alle spalle, e non ha nemmeno le spalle così grosse da poter sopportare da solo il peso del governo. Basterà il consulente Armao, l’unico a essergli rimasto a fianco nella buona e nella cattiva sorte, a salvarlo da un finale ineluttabile?

Alberto Paternò :

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