La “ragione liquida”? Subito vi sarete chiesti: “Ma cos’è mai questa strana assonanza tra qualcosa di immateriale unita alla fluidità dell’acqua?”.
Bene. Non chiedetelo a me, ma ai supremi giudici delle leggi italiane che – non contenti di elaborare un concetto ed affermarne il contrario l’indomani – hanno letteralmente inventato questa idea vicina all’ossimoro, ma non lontana dalla tautologia sublime. Lo so, parlo complicato. Cercherò di semplificare il tutto. Però, prendetevi la pazienza di seguirmi fino in fondo e forse apprenderete qualcosa in più sul nostro incredibile Paese.
E, allora, secondo la Cassazione il “principio della “ragione più liquida”, impone un approccio interpretativo con la verifica delle soluzioni sul piano dell’impatto operativo piuttosto che quello della coerenza logica e consente di sostituire il profilo di evidenza a quello dell’ordine delle questioni… con la conseguenza che la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione…”.
In altre parole: perché dare lungo corso a procedure logiche e giuridiche se hai davanti agli occhi la scorciatoia che ti permette di azzerarle? I giudici devono esercitarsi a pensare secondo questo metodo e, quindi, provare a rendere “liquido” quanto di “solido” hanno dovuto studiare per tanti anni.
Rapidamente concludo. Ho provato a rendere liquida la mia ragione, ma quella liquidità si infrange come le onde sugli scogli. Vedo giovani ragazzi arrestati per due grammi di Hashish e portati – al mio cospetto – in manette per direttissima. Al contempo vedo politici falsificatori di bilanci e magistrati con 80 capi di imputazione sulle spalle in piena e spensierata libertà.
È possibile che l’Italia abbia liquidato la sua ragione?