A inaugurare una settimana di passione – la prima della nuova Assemblea regionale – è un post di Carolina Varchi, vicesindaco di Palermo, deputata alla Camera e sottosegretaria mancata. L’esponente di Fratelli d’Italia, legatissima a Giorgia Meloni, ha fatto trapelare su Facebook l’indirizzo del suo partito relativamente alla composizione del prossimo governo della Regione. Un’operazione che terrà impegnato Schifani notte e giorno, nella speranza di mettere ordine fra i partiti e, soprattutto, di garantirsi la serenità amministrativa che è mancata a Musumeci nella seconda parte della legislatura.
Il messaggio di Varchi va decriptato da cima a fondo, impone chiavi di lettura che qualcuno ha banalmente (o volutamente) trascurato, invita alla riflessione: “Senza dubbio – scrive il vicesindaco – Fratelli d’Italia è il partito che ha fatto il maggior sacrificio per l’unità della coalizione e credo che nessuno possa immaginare di chiederne ancora proprio a noi che abbiamo il diritto, quindi, di scegliere gli spazi d’intervento più affini al nostro programma, a partire dalla Presidenza dell’Assemblea e proseguendo con le deleghe più rilevanti e con quelle in collegamento con i dicasteri che vedono impegnati i nostri esponenti al Governo della Nazione”.
Il sacrificio a cui accenna Varchi è la rinuncia alla ricandidatura di Nello Musumeci che, per inciso, solo pochi mesi prima dell’estenuante trattativa sul ritorno a Palazzo d’Orleans, si era procurato la tessera di FdI. Non che volesse utilizzare il partito come un autobus in senso stretto, ma all’ex governatore avrebbe fatto comodo federare il suo movimento (Diventerà Bellissima) a un partito nazionale, che fosse in grado di battere i pugni o, quanto meno, di garantirgli un futuro. Per la cronaca è avvenuto l’uno e l’altro. FdI i pugni ha provato a batterli, specie con La Russa, ma ciò non è bastato a far prevalere l’impuntatura di Musumeci sui diritti di una coalizione ‘sfrattata’ dal suo “cerchio magico”. Così l’uomo venuto da Militello ha dovuto ripiegare – poveretto – sul Senato e su un Ministero (benché vuoto). La rinuncia al bis, con la promessa di una ricompensa corpulenta, costituisce un precedente assai pericoloso per lo stesso Schifani. Che è stato La Russa a scegliere, col placet di Meloni e Berlusconi, per garantire continuità coil suo predecessore.
A FdI non basta aver scelto da una rosa di nomi proposta da Forza Italia, quindi in casa altrui; l’obiettivo è occupare, quasi militarmente, le principali postazioni di comando. Nella consapevolezza che a Musumeci è tutto dovuto, e Schifani non potrà opporsi. Da qui la prima richiesta: cioè la presidenza dell’Ars. Che ha una doppia valenza: imporre l’alternanza di genere rispetto a Palazzo d’Orleans (Schifani è pur sempre di Forza Italia); e fare un dispetto a Micciché, l’arcirivale del pizzo magico, che avrebbe fatto carte false per conservare lo scettro di Sala d’Ercole. Come è ormai chiaro, il nuovo presidente dell’Assemblea sarà un patriota: Gaetano Galvano, probabilmente. L’enfant prodige della politica catanese, proveniente da Paternò. Allievo del maestro La Russa, che dal giorno in cui è stato eletto presidente del Senato, come ovvio, evita di esporsi su questioni di natura politica.
Varchi dice anche un’altra cosa: che nessuno può chiedere a FdI altri sacrifici e rivendica il diritto “di scegliere gli spazi d’intervento più affini al nostro programma”, ma soprattutto “le deleghe più rilevanti” e “quelle in collegamento con i dicasteri che vedono impegnati i nostri esponenti al governo della nazione”. Delle une e delle altre – sarà un caso? – fanno parte la sanità e il turismo. La Meloni, per guidare la fase post-Covid, ha scelto alla Sanità un tecnico: il rettore dell’Università di Tor Vergata, Orazio Schillaci, già componente del comitato scientifico dell’Istituto superiore di Sanità. Se volesse affiancargli un siciliano “competente” in materia, la scelta non potrebbe che ricadere su Ruggero Razza, assessore uscente alla Salute (e non ricandidato al parlamento regionale).
Sul suo conto se ne dicono, e leggono, di cotte e di crude: l’ipotesi più blasonata è che l’imperatore Ruggero (come lo definì un detrattore di peso) sia coperto da una “clausola di salvaguardia” fra Schifani e Musumeci, della quale non si conoscono i dettagli. Razza potrebbe tornare nella giunta di governo, anche se il suo nome – assai divisivo – rischia di risultare un azzardo per l’assessorato di piazza Ziino. Sarebbe il secondo dispetto a Micciché, che in passato ha più volte preso di mira la gestione della Sanità e tuttora rivendica l’assessorato per il suo partito. Razza, inoltre, rischia di non avere le carte in regola: Schifani ha detto di volersi affidare a una giunta di “soli eletti”: lui non è stato eletto e non è riuscito a far eleggere nemmeno la moglie, l’ex grillina Elena Pagana, nel collegio di Enna. Sarebbe un’eccezione enorme e difficile da far digerire agli alleati. Senza considerare che la sanità, dove si amministra un budget che equivale al 40% del bilancio regionale, è un assessorato che vale doppio: consegnarlo al partito della Meloni riaprirebbe mille discorsi, anche sulla presidenza dell’Ars, e il rischio di una guerra fredda che esporrebbe più del dovuto la figura del mite Schifani.
L’altra delega “collegata” a un dicastero in chiave nazionale – a cui allude la Varchi – è quella al Turismo. A Roma, fra mille difficoltà, se ne occupa Daniela Santanché. Rappresenta un territorio di conquista per i patrioti, che negli ultimi cinque anni, nell’Isola, l’hanno amministrato con Sandro Pappalardo prima e Manlio Messina poi. L’ultima fase del Balilla è stata contraddistinta da una serie di iniziative che hanno umiliato alcune fondazioni storiche, come l’Orchestra Sinfonica siciliana, ingrossato i canali della spesa e rafforzato i legami con alcune lobby assai note: a partire dal gruppo Rcs, che fino a qualche settimana fa ha consacrato l’ex assessore, alla presenza di Schifani e Cairo, al parco archeologico di Selinunte. Assoldare un altro di Fratelli d’Italia per quel ruolo, significa che nessun altro potrà metterci mano. Che nessun altro potrà gestire le ingenti risorse o mettere a frutto le proprie idee per evitare che passi il messaggio della Sicilia come una grande sagra fondata sulle corse in bici. Sarebbe un segnale di continuità e scarsa trasparenza, che una come Meloni non può permettersi. O no?
Il Balilla nel frattempo è migrato a Roma, eletto alla Camera dei Deputati. Ha goduto della protezione politica del Ministro Lollobrigida – uno che occupa i piani alti nel cuore di Giorgia – e ha collezionato un gran numero di presenze televisive, sui media nazionali, che però non sono bastate a spianargli la strada del sottogoverno. C’è tempo. Difficile ipotizzare per lui, almeno a stretto giro, un ritorno in Sicilia. La platea di chi vorrebbe succedergli è ampia. Nulla, però, è stato ancora definito: non un piano, non una proposta. Ma le pretese sono tutte lì, sul tavolo. E Schifani dovrà vagliarle con cura se non vorrà ritrovarsi da subito a mendicare comprensione.