Che la Sicilia, o buona parte dei siciliani, non abbia dimenticato gli insulti del passato, è dimostrato dall’acrimonia con cui è stata accolta la decisione del presidente della Regione, Nello Musumeci, di assegnare al Carroccio l’assessorato ai Beni culturali e all’identità siciliana. Fra l’altro il nome del “fortunato” non c’è ancora. Sul tavolo di Salvini, che in queste ore scioglierà la riserva, sono finite tre candidature: la più forte era e resta quella di Matteo Francilia, giovane sindaco di Furci Siculo, nel Messinese; la prima alternativa è Roberto Centaro, un magistrato sulla carta “inappuntabile” (sotto il profilo istituzionale e dell’esperienza); l’outsider è, invece, Gianni Puglisi, rettore dell’Università Kore di Enna, sponsorizzato da Vittorio Sgarbi (in un’intervista a Repubblica) ma soprattutto da Marianna Caronia, la deputata regionale che negli ultimi giorni avrebbe flirtato per tornare negli autonomisti. Sta a Salvini decidere, ma peserà tanto, tantissimo, la valutazione del segretario regionale Stefano Candiani, più orientato sul primo.

Il totonomi, però, non cancella la rabbia del web. Anche il Movimento 5 Stelle, oltre al Partito Democratico, è in trincea per combattere l’ “oltraggio alla storia” (è così che l’hanno definito i deputati all’Ars) e fermare la “calata degli Unni”. Ossia l’ingresso in giunta della Lega, fra l’altro in un ruolo di grande responsabilità. Ma anche il mondo della cultura, a parte Sgarbi, ha avuto da ridire sulla scelta del governatore e su un abbinamento che s’è subito rivelato scomodo. Chi, però, continua a dichiararsi un terrone convinto, pur facendo parte della squadra di Salvini, è Nino Minardo, a cui qualche mese fa erano state affidate le chiavi per la costruzione del gruppo del Carroccio all’Assemblea Regionale. “Dove sta scritto che i depositari della cultura stiano sempre a sinistra?” rifletta a voce alta il deputato leghista, durante un colloquio. “Le polemiche preventive degli ultimi giorni mi fanno sorridere”.

L’ex forzista addita i leoni da tastiera come “depositari di ogni verità”, bravi a “scatenare ogni tipo di arringa pur di riconoscere solo ad una parte la ‘patente culturale’ che si arrogano come esclusivo appannaggio”. Quello della sinistra e dei grillini, insomma, sarebbe un razzismo al contrario. Una forma di “vendetta” per tutti gli insulti piovuti sui siciliani da parte dei Bossi e dei Calderoli, dei Borghezio e dei Salvini. Ma la stirpe finisce proprio con il “capitano”, che negli anni ha coniato un motto – “Prima gli italiani” – e saputo riunificare il Paese. In qualche modo. Altrimenti uno come Minardo, cresciuto a pane e Berlusconi, con una breve comparsa nel Nuovo Centrodestra, non avrebbe mai accettato di far parte del progetto: “La verità – spiega il deputato modicano – è che c’è un solo partito in questo Paese che fa dell’identità dei territori, dell’autonomia d’azione e di pensiero, dell’esaltazione dell’appartenenza ai propri luoghi, il suo credo. Ed è la Lega. Al Nord come al Sud. Ed è questo il motivo per cui io, terrone convinto ed orgoglioso, ho scelto di aderirvi”.

L’idea di una Lega razzista e antimeridionale, comprovato dalle tante dichiarazioni (la maggior parte datate) riemerse di recente, “è ampiamente superata. C’è un dato che in tanti, volutamente, ignorano: laddove governa, la Lega ha successo. Il fatto che abbia messo piede anche in Sicilia, è visto come un elemento di disturbo e, forse, con un pizzico di timore. Per questo – insiste Minardo – lo sport preferito è screditarla. Questa Lega non è più quella di prima. Non ho mai fatto fatica a spiegare alla gente la mia posizione, perché la gente lo aveva capito prima che arrivassi io”. E qui, al deputato ibleo, vengono in soccorso i numeri: “Alle ultime Europee abbiamo preso più del 20%. Non è un caso, ma la dimostrazione che i siciliani non perdono tempo a dar conto ai filosofi e ai tuttologi del nulla, ma credono e scelgono la concretezza della nostra azione e ce ne riconoscono i meriti”.

Ora bisogna dimostrare sul campo di essere all’altezza. La Lega, per la prima volta nella storia della Regione siciliana, avrà modo di testarsi. “Ci interessa il giudizio della gente solo per quello che riusciremo a fare – riflette il deputato – Le polemiche speciose e inutili, invece, sono dettate dalla prevenzione e dall’abitudine di andare contro”. “Da chi ha innescato e continua ad armeggiare la canea contro la Lega e la scelta di Musumeci – contrattacca – mi sarebbe piaciuto sentire una pari acrimonia contro il governo Pd-5 Stelle che scioglie le briglie della burocrazia facendo ricostruire giustamente il ponte Morandi a Genova in un anno ed invece continua a trattenerle per la costruzione dei 300 metri del viadotto Himera sulla Palermo-Catania, interrotto da 5 anni”.

Fra un colpo al cerchio e uno alla botte, Minardo fa un passo indietro e analizza la strategia di questi giorni. Alla Lega sarebbe piaciuto, anche tanto, ottenere l’assessorato all’Agricoltura. Sarebbe servito a evitare un mucchio di polemiche e, forse, a ricostruire uno spirito interno al gruppo dei deputati all’Ars che, dopo l’uscita di Bulla e i mal di pancia della Caronia, sembra un po’ ammaccato. La scelta di Musumeci di portare il Carroccio fin dentro l’esecutivo, però, non è una questione di meri numeri, bensì “una decisione politica – chiarisce Minardo -. La Lega è il primo partito in Italia e la guida del centrodestra. Se poi in assemblea è rappresentato da 3, 4 o 5 deputati, poco cambia. Anche perché comunque siamo indispensabili per la maggioranza. Il fatto che Bulla abbia deciso così repentinamente di cambiare idea è un dispiacere sul piano politico e personale. Ma non è un problema della Lega, bensì di chi cambia sempre idea. Di chi aveva sposato un modello sul piano teorico, ma sul piano pratico non gli è piaciuto. Per questo ha preferito tornare al vecchio”.

L’ultimo nodo sciogliere, al netto delle polemiche da respingere, riguarda la scelta dell’assessore, su cui Minardo non si esprime fino in fondo. Si limita al gioco di squadra. Cincischia, in attesa della fumata bianca. Ma su una cosa è d’accordo con Candiani: “Non possiamo cercare un clone di Sgarbi o di Tusa, piuttosto bisogna agire nel segno della discontinuità. Trovare un assessore valido che, con l’aiuto di due o tre esperti in materia di Beni culturali, possa rendere il settore più efficiente e questa terra migliore”.