Gentilissima Carolina Varchi, confesso subito di essere un suo ammiratore e anche un suo elettore. Non sono proprio un patriota ma, con un po’ di buona volontà, potrei anche diventarlo. Ho molto apprezzato, in questo anno e passa, il suo impegno al Comune di Palermo come vice del sindaco Lagalla e non v’è chi non veda – uso una formula molto in voga tra voi avvocati – con quanta determinazione e con quanta competenza lei sia riuscita a mettere ordine nei conti disastrati di Palazzo delle Aquile. Sento nel profondo del cuore che la sua scelta politica è sostenuta da una forte carica di passione. E vedo anche gli sforzi con i quali lei cerca di venire incontro, in ogni occasione, ai bisogni della città.
Apprezzo anche e soprattutto il suo rigore morale. Glielo riconoscono i suoi oppositori e, va da sé, pure i suoi colleghi di partito. A cominciare da Giorgia Meloni, legata a lei oltre che da un lungo e solidale cameratismo, anche da una reciproca e incondizionata stima. Lo dico sinceramente: siete come due sorelle. Tra voi c’è amicizia, c’è confidenza, c’è complicità. Si capisce leggendo i suoi post su Facebook; e si capisce, soprattutto, dalla puntualità con la quale lei coglie i momenti più esaltanti del governo Meloni e li rilancia sui social con un sovrappiù di entusiasmo; con una mistica della militanza che certamente le fa onore.
Con questa mia lettera tuttavia voglio soffermarmi esclusivamente sul rigore morale. L’altro giorno, su questo giornale, ho scritto un articolo con il quale invocavo Caterina Chinnici, figlia prediletta dell’antimafia, di scendere finalmente in campo e di ricordare ai governanti – si fa per dire – di questa sventurata Regione che esiste, eccome, una questione morale. Chiedevo alla figlia di Rocco Chinnici, il giudice ucciso quarant’anni fa dalla mafia, se avesse letto i giornali sugli ultimi scandali, sulle ultime consorterie, sugli ultimi intrighi di compari e fratelli. Le chiedevo insomma se, da militante di Forza Italia, avesse mai avvertito quel brutto odore di fritto che viene fuori dalle stanze più opache di Palazzo d’Orleans. Dove c’è, per esempio, un vice presidente occulto – installato lì al secondo piano, ma mai eletto da nessuno – al quale il governatore Schifani ha ceduto in subappalto i poteri più delicati: quelli che si muovono sul filo del rasoio e che perciò rischiano di scivolare facilmente dalla legalità all’interesse privato, dalla trasparenza alle conventicole delle lobby e delle logge. Più che a una mostruosità istituzionale siamo di fronte a una macchietta della politica: con un presidente che, di fatto, si è ridotto ad essere il vice del suo vice.
Scrivendo la mia personalissima invocazione a Caterina Chinnici, mi sono permesso di paragonare il vice presidente occulto a Giuseppe Lumia, il professionista dell’antimafia che Rosario Crocetta elevò al grado di “senatore della porta accanto”: un consigliere di sua fiducia al quale cedeva tutte le deleghe soprattutto quando bisognava prendere decisioni non proprio in linea con la mission moralizzatrice sbandierata prima delle elezioni in tutti i comizi. Ma Schifani, obiettivamente, si è spinto oltre. Ha chiamato al suo fianco, come vice presidente occulto, Gaetano Armao, che non è un professionista dell’antimafia ma un personaggio con una caratura politica sulla quale vale la pena soffermarsi un attimo: è un avvocato d’affari; è stato suo concorrente e rivale alle elezioni presidenziali di settembre; ha cambiato in dieci anni almeno cinque casacche; ha avuto lo stipendio pignorato dalla sua compagna; è stato condannato in appello a versare al Fisco 625 mila euro di tasse non pagate; è stato consulente oltre che di Stefano Ricucci, noto furbetto del quartierino, anche di Ezio Bigotti, l’avventuriero piemontese che con un censimento farlocco del patrimonio immobiliare riuscì ad agguantare cento milioni dalla Regione, poi trasferiti, manco a dirlo, in un paradiso fiscale.
Per carità, non dico che Armao – pagato dalla Regione con sessantamila euro l’anno – sia l’unica presenza inquietante di Palazzo d’Orleans: alla corte spagnolesca di Schifani i pagnottisti non si contano più. Ma un vice presidente occulto al quale è stata data licenza di dire l’ultima parola sui fondi europei e sulle autorizzazioni ambientali alle nuove imprese, resta – a mio giudizio – una figura sulla quale la cosiddetta “politica dei valori” dovrebbe riflettere non poco.
Detto questo, arrivo alla domanda. Secondo lei, gentile avvocato Varchi, la sua fraternissima amica Giorgia Meloni sa di che erba è fatta la scopa? Qualcuno le ha detto che Renato Schifani, eletto presidente per grazia ricevuta da Fratelli d’Italia, ha finito per stravolgere, in meno di un anno, tutte le regole, tutti gli equilibri, tutti i pesi e i contrappesi di un’amministrazione già abbondantemente sgangherata e irredimibile? Credo proprio che anche voi patrioti abbiate già constatato con mano che qui, in Sicilia, la questione morale ha bisogno di essere rivista, riconsiderata e soprattutto applicata. Non v’è chi non veda. Sbaglio? Lei mi dirà: ma gli organi deputati a descrivere a Giorgia Meloni questo scenario non sono io, sono altri. Ed è vero. C’è il presidente dell’Assemblea regionale, Gaetano Galvagno; e ci sono gli assessori che, in nome e per conto di Fratelli d’Italia, affiancano Schifani in quello che ormai tutti considerano un non-governo.
Ammetto serenamente, gentile Avvocato, che la sua obiezione, da un punto di vista istituzionale, ha di sicuro un fondamento. Ma mettiamo da parte Galvagno che teoricamente – molto teoricamente – è super partes, e parliamo degli assessori. Sincerissimamente mi viene da piangere. Non esistono. Balbettano. Sono dei gerarchi minori che ricevono ordini da un gerarca superiore il cui unico obiettivo è quello di alzare – sempre più in alto, fino all’indecenza – le quotazioni della corrente turistica di FdI: la corrente dello “spendi e spandi”, dei 24 milioni distribuiti avventatamente ai colossi editoriali sotto la voce “promozione” e di altri milioni distribuiti quotidianamente ad amici e parenti sotto la voce limacciosa e maleodorante della “comunicazione”. Crede lei che il gerarca superiore, con le spalle coperte da Francesco Lollobrigida, il nobile cognato, abbia interesse a informare la Meloni? No. Lui con un re travicello come Schifani, quasi sempre alle prese con i propri narcisismi e i propri rancori, ci campa benissimo e ci camperà per altri quattro anni.
Non resta che lei, gentile Carolina Varchi. E’ lei la Nostra Signora della Salvezza. Con la sua faccia pulita, con la sua alta sensibilità morale, con i suoi comportamenti lineari e irreprensibili. Spenda la sua sorellanza con l’amata Giorgia. Lo faccia per il bene della Sicilia.