Non sono bastate 527 pagine fitte di appunti e curricula alla prima commissione dell’Ars per stabilire se i 18 manager nominati dal governo a fine gennaio, con un decreto dell’assessore Volo, fossero effettivamente in grado di svolgere il ruolo di direttore generale. Otto di essi hanno un processo in corso, ma per alcuni – questa è la cosa peggiore – potrebbero esserci altri motivi ostativi: ad esempio il fatto di essere stati commissariati due volte, nel corso di precedenti incarichi, per l’incapacità di portare a termine le attività richieste dal governo, come la spesa di 280 milioni di fondi comunitari; o, peggio ancora, per non aver maturato i requisiti utili all’iscrizione nell’elenco dei manager “eleggibili” all’incarico di direttore generale (servivano esperienze di almeno 5 anni nella gestione di risorse e personale in ambito sanitario). E’ il caso di Walter Messina e Ferdinando Croce, che Fratelli d’Italia, in barba a qualsiasi merito o competenza, ha piazzato a capo del “Civico” di Palermo e dell’Asp di Trapani.
Se la commissione Affari istituzionali ha deciso di richiedere “un’integrazione documentale” significa che il governo non ha fatto bene i compiti. E forse neppure la commissione giudicatrice, che scremando i candidati in due gruppi d’idonei, ha finito con l’escludere profili di prim’ordine, che forse avrebbero fatto al caso delle aziende sanitarie più di chi attualmente è titolare dell’incarico di commissario. Alcuni, davvero, appartenenti alla schiera dei “peggiori”. Ma questo è ciò che accade quando la politica si assume la briga di trasformare un bando serio, come quello per la nomina dei manager della sanità, in una sorta di competizione elettorale dove si opera (solo) in base al peso politico dei partiti, e nella logica prevalente della lottizzazione del potere.
Il fatto che dopo oltre un mese i commissari siano inchiodati a una condizione di “precariato” non fa altro che rallentare le attività, soprattutto quelle di pianificazione a lungo termine. Questo schema è una fedele rappresentazione – lo specchio – dell’attuale condizione della sanità siciliana. Riassumibile in alcuni casi-campione: qualche giorno fa una donna trapanese di 68 anni è morta al Policlinico di Palermo nonostante i medici avessero rassicurato la famiglia che “l’intervento non comportava alcun rischio”. E’ questa la denuncia del figlio 42enne, che ha derubricato il caso a un episodio di malasanità. La donna avrebbe dovuto farsi aspirare del liquido da un polmone, ma un’ora e mezza dopo era deceduta. L’ospedale sta verificando cos’è accaduto.
Ma a fare scuola è anche il caso di una bambina, che ha atteso per un anno un intervento all’Ospedale dei Bambini per la rimozione di un tumore alla pelle. La piccola è stata operata al Policlinico, aprendo nuovi scenari sul futuro del ‘Di Cristina’. L’ospedale, legato al management del Civico (dove comanda Walter Messina) è salito agli onori della ribalta nelle corse settimana, a causa del demansionamento della dottoressa Desirée Farinella, dal ruolo di direttore della Nefrologia Pediatrica. E’ stato lo stesso Messina, come primo atto della sua gestione, a esautorarla. Il motivo? L’intervista di una madre zelante, che a Repubblica ha raccontato le disavventure del suo bambino durante il ricovero (i giochi rotti, i prelievi al mattino presto, ecc.) e la fuga al ‘Gaslini’ di Genova. Il nuovo commissario del Civico, in appena un paio di giorni, si è unito alla gogna mediatica, ha analizzato il caso e deciso di farla fuori. Forse ha pensato di rimediare in questo modo ai commissariamenti subiti dagli assessori Razza e Volo, in due differenti occasioni, per gli scarsi risultati ottenuti alla guida di Villa Sofia.
La questione, ovviamente, non è chiusa. Gli avvocati della Farinella hanno chiesto la revoca del provvedimento ritenuto illecito e i sindacati sono su tutte le furie. Persino la politica ha prodotto un’interrogazione parlamentare per capire i motivi della decisione, ritenuta improvvida e utile (soltanto) ad alimentare la gogna. Come se una persona sola potesse determinare la fatiscenza di un reparto e dirimere le divergenze dei medici a proposito di una diagnosi (altra lamentela affidata dalla madre ai giornali). Come se Schifani e l’ex manager, Roberto Colletti, non si fossero mai accorti delle criticità della struttura o del totale disallineamento fra le esigenze dei bambini e i servizi offerti. Oggi, però, non è più tempo di risolvere i problemi, ma di volare alto. Di provare a stupire.
Come ha fatto il presidente della Regione, parlando della nascita del nuovo Polo pediatrico al Fondo Malatacca, i cui lavori si sono fermati per sei anni a seguito del fallimento della ditta che si era aggiudicata l’appalto: “Ridare un sorriso ai bambini è la cosa più bella – ha detto Schifani – e noi, come Governo, punteremo sulla pediatria. Punteremo tutto sull’attività di riapertura, speriamo entro l’anno, di quel polo fermo dal 2017. Lavoriamo in silenzio, anche se lavoriamo con grande senso di responsabilità. So cosa significa vivere una realtà ospedaliera, è come vivere in una grande famiglia. Il giorno in cui si esce e si viene restituiti alla famiglia e alla società, questo è non solo un dono della provvidenza ma anche dell’uomo, della cultura scientifica nella quale noi dobbiamo credere”.
Un po’ di belle parole per mascherare una realtà grigia. Peraltro Schifani è intervenuto dalla sede dell’Ismett, dove qualche giorno fa è stato celebrato il trapianto numero 3.000. Ma sull’Ismett 2, il centro innovativo di Carini, alla cui realizzazione sono interessati la Fondazione Ri.Med e l’Università di Pittsburgh, non si ha alcuna notizia. L’unica certezza è che è rimasto fuori dalle fonti di finanziamento previste dall’Europa coi Fondi di Sviluppo e Coesione assegnati alla Sicilia per il periodo 2021-27. Anche l’ospedale oncologico di Gela e quello di Siracusa, che attende il completamento da una ventina d’anni, sono stati esclusi dalla lista della spesa. Quest’ultimo, però, è stato “ripescato” grazie a un finanziamento da 100 milioni (sui fondi residui previsti dall’ex articolo 20 della legge 67/88) , che si aggiunge ai 200 milioni stanziati in precedenza.
Schifani ha detto che “nonostante la lievitazione del 70% dei costi rispetto a quanto originariamente previsto, la Regione non ha accantonato il progetto, perché vuole dotare il Siracusano di un’infrastruttura sanitaria necessaria a garantire servizi adeguati a tutto il territorio, soprattutto in un’area ad alta densità industriale”. Peccato che manchino all’appello altri 47 milioni e la Regione non sappia quale mucca spremere. “Le soluzioni ipotizzate – si legge in una nota di Palazzo d’Orleans – sono tre: il ribasso d’asta, con la riduzione dei costi; un progetto di finanza per i servizi di supporto alle attività assistenziali (parcheggi, mense, lavanderie, servizi commerciali, ristorazione); risorse proprie dell’Azienda sanitaria”. Un’altra cosa che Schifani rischia di perdere, dopo il prossimo 31 luglio, è la Cardiochirurgia Pediatrica di Taormina, gestita in convenzione con il Bambin Gesù di Roma. Il decreto Balduzzi prevede un solo polo ogni cinque milioni di abitanti, e l’Isola ha come nuovo riferimento quello di Palermo, allocato al Civico e gestito dal Gruppo San Donato di Angelino Alfano. Per mantenere Taormina servirebbe un accordo ampio, magari esteso alla Calabria. Ma sembra che l’asse incrinato con il governatore Occhiuto (che non è stato sostenuto dall’ala schifaniana di FI, come vicesegretario, all’ultimo congresso) possa riflettersi proprio sulla sanità: la Cardiochirurgia pediatrica potrebbe sbarcare nella regione di Occhiuto, togliendo a centinaia di famiglie siciliane un centro d’eccellenza assoluto.
Si vedrà. Intanto resta l’enigma dei manager. Andrebbero scelti anche in base alle capacità di amministrare l’ordinario, cosa che ad esempio è stata del tutto elusa all’Asp di Palermo negli ultimi anni. Pare che a causa di un adeguamento dei sistemi informatici aziendali, la commissaria Daniela Faraoni abbia smesso di pagare i privati convenzionati (laboratori analisi in primis) che ancora attendono la liquidazione delle fatture per le prestazioni in convenzione già erogate da tempo. Alla fine del 2023 una nota del Dipartimento alla Pianificazione strategica imponeva alle Asp di agire subito, evitando lungaggini. A Palermo, però, regna la stasi. Oltre a scorrere il casellario giudiziale degli aspiranti manager, andrebbe valutata la produttività di ognuno nel corso dei precedenti incarichi, per evitare che certi errori o scempiaggini si ripetano. E’ quello che avrebbe dovuto fare la commissione giudicatrice durante i colloqui e il governo durante la spartizione delle poltrone. Evidentemente non è stato fatto, così l’ultima spiaggia rimane la commissione dell’Ars. Il cui parere dovrebbe arrivare a stretto giro.
Movimento 5 stelle: il governo cambi le nomine
“Dopo questa lunghissima, estenuante, e soprattutto vergognosa querelle tra i partiti politici per spartirsi la sanità siciliana, quantomeno ci saremmo augurati di avere ai vertici di Asp ed ospedali il meglio in circolazione. Alla luce di come stanno andando le cose, anche quella pia illusione può dirsi praticamente sparita: tra gli aspiranti manager selezionati dai partiti ci sono non solo soggetti con procedimenti penali in corso, ma anche candidati con sufficienze molte risicate sulla base della valutazione del loro operato nel 2019. Come dire, c’è da stare poco allegri per il futuro: finché la politica non uscirà dalla sanità per il paziente il futuro sarà tutt’altro che roseo”. Lo afferma la deputata M5S Marina Ardizzone a conclusione della seduta della commissione Affari istituzionale dell’Ars che si è occupata della spinosa questione della nomina dei manager, che arriverà al capolinea il 14 marzo prossimo con la votazione. “Cercheremo in tutti i modi – dice Ardizzone – di far sì che il governo cambi le nomine. Quantomeno sarebbe stato opportuno escludere chi ha procedimenti penali in corso. Sappiamo bene che tutti sono innocenti fino al terzo grado di giudizio, conosciamo però bene anche la lunghezza dei processi che probabilmente supererebbe la durata dell’incarico manageriale”.