Querele. Cesa e Dragotto perdono

Il segretario dell'Udc, Lorenzo Cesa

Tra aprile e maggio sulla scalinata di Palazzo di Giustizia sono scivolati – metaforicamente, ci mancherebbe – due potenti, forse anche un po’ prepotenti: Lorenzo Cesa e Tommaso Dragotto. Il primo è l’appannato leader dell’Udc, un partito nato dalla vecchia DC che negli ultimi anni si è attestato sullo zero virgola. Ed è proprio a causa di tale indigenza che il molto onorevole Cesa approfitta di ogni campagna elettorale per trovare un apparentamento che gli consente di rosicchiare qua e là, in maniera parassitaria, un pezzetto di carne, magari levigando con i denti l’ultimo osso rimasto a tavola. Il segretario dell’Udc l’anno scorso mi ha querelato perché, con i miei articoli su Buttanissima, davo fastidio a un suo vecchio collaboratore divenuto nel frattempo “picciotto” di un traffichino d’alto rango, accampato alla presidenza della Regione, che si muove, manco a dirlo, al confine tra politica e affari. I due somigliano alla corda col secchio, e non perdono una sola occasione per dare una mano (ovviamente prensile) a chiunque abbia bisogno di trovare un appoggio di un certo peso tra gli stucchi dorati di Palazzo d’Orleans. Pensate, sono riusciti ad avere una parte in commedia anche nelle disgraziate vicende del Grand Hotel et des Palmes, ceduto appena qualche settimana fa per trenta milioni di euro al gruppo Mangia dopo un controverso, cespuglioso e maleodorante fallimento che di fatto ha sottratto la gestione al gruppo Corvaja.

Con l’alone del leader venuto da Roma per raddrizzare il legno storto di Sicilia, l’onorevole Cesa ha fatto di tutto per inchiodarmi – si dice così – alle mie responsabilità. Ma per Marcello Montalbano, il mio avvocato, è stato un gioco smontare le chiacchiere da bar riversate nella querela. Il giudice, com’era nell’ordine delle cose, ha archiviato.

Molto più temeraria l’azione giudiziaria intentata, sempre nei miei confronti, da Tommaso Dragotto, che oltre a essere il patron di Sicily by Car – un impero economico costruito con tanto talento e tanta fortuna – è anche un collezionista di traguardi politici molto ambiziosi però mai raggiunti. Lo strabordante Dragotto, ad esempio, voleva aggiungere qualche anno fa al suo medagliere la conquista del Comune di Palermo: si è candidato a sindaco ma è stato trombato. Ha pure gareggiato per la presidenza della Sicindustria e non ce l’ha fatta. Poi, subito dopo l’arrivo a Palazzo d’Orleans di Renato Schifani – al quale aveva dato, regolarmente e pubblicamente un contributo elettorale di settemila euro – ha ottenuto la nomina di presidente dell’Irfis ma non ha fatto in tempo a insediarsi: la documentazione presentata aveva una lacuna insormontabile e l’esuberante Dragotto è stato, malgré tout, costretto a lasciare anche quella prestigiosa poltrona.

La vicenda, forse perché troppo pasticciata, non poteva che diventare ovviamente un tema di approfondimento per Buttanissima, giornale squisitamente politico; e anche argomento per due o tre corsivi improntati all’ironia e mai allo sberleffo. Ma Dragotto, dall’alto delle sue ricchezze – dei suoi piccioli, stavo per dire – non ha gradito. E per dare prova della sua potenza e della sua prepotenza ha presentato contro il sottoscritto non una ma tre querele: quasi una per ogni rigo scritto sulla sua discesa in campo, sui suoi rapporti con Schifani e sul papocchio costruito attorno all’Irfis, un rispettabilissimo e severo ente finanziario che certamente non meritava tanta leggerezza e tanta improntitudine.

Smontare gli arzigogoli legulei contenuti nelle tre querele non è stata comunque un’operazione facile né agevole. Ma l’avvocato Marcello Montalbano, con la sua esperienza e con la sua collaudata professionalità, è riuscito e parare i colpi. Il giudice, com’era nell’ordine delle cose, non poteva che archiviare.

 

Giuseppe Sottile :

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