Quelle scarpe rosse che la giustizia non vuole indossare

Chissà perché le favole hanno un così grande ascendente nei sogni dei bambini. Potrebbero spiegarsi come anticipazione, in forma onirica, della realtà che vivranno diventati adulti. Non avrei mai pensato, però, che una delle più antiche favole del mondo – Cenerentola – diventasse realtà al tribunale di Palermo.

Provo a sintetizzare affinché il tempo della vostra lettura non superi il minuto (dicono che l’attenzione umana, dopo i sessanta secondi, si alteri sensibilmente).

Istituita dall’O.N.U. più di venti anni fa, la giornata mondiale contro la violenza sulle donne si celebra il 25 novembre.
In quel giorno, infatti, un dittatore assassino della Repubblica Domenicana aveva ucciso le tre sorelle Mirabel la cui colpa era stata solo quella di lottare per i propri diritti e i diritti di tutte le donne.

Le scarpe di vernice rossa – modello Jimmy Choo, da sera e con tacco da dodici centimetri – sono il simbolo di questa lotta e possono definirsi un’icona oramai famosa su ogni “social”. Ideate dall’artista messicana Elina Chauvet furono esposte, per la prima volta, davanti al Consolato messicano di El Paso in Texas. Ricordano tutte le donne uccise nella città di Juarez, tristemente famosa per il dilagare della violenza dei cartelli della droga.

Scarpe rosse per raccontare la voglia di vivere delle donne, la loro emancipazione, la loro indipendenza. Il rosso, infatti, è il colore dell’amore e della passione, ma è anche il simbolo della forza che ogni donna deve a se stessa per affermarsi nella vita. Non è un caso, quindi, che il nostro Paese – sensibilizzandosi sul tema – abbia creato un “Codice Rosso”, ovvero regole speciali che si attivano quando la violenza subita da una donna possa preludere ad uno scenario di esiziale effetto (più comunemente chiamato femminicidio).

Con queste premesse storiche è più facile comprendere quello che è accaduto a Palermo solo pochi giorni fa. Un’associazione di tutela delle donne aveva ritenuto di portare all’interno dell’atrio del tribunale una grande scarpa di vernice rossa e tacco dodici. Dopo la rituale autorizzazione gerarchica, l’opera veniva collocata proprio sotto la stele marmorea in cui è scolpita l’idea della Giustizia nei “tria precepta juris”. Vi è scritto, tra l’altro: “Alterum ne ledito”, ovvero che nessuno osi agire per fare male agli altri.

Ebbene, trascorrevano poche ore dalla collocazione di quella evocativa scarpa rossa ed accadeva il putiferio. Nella opinione di molti l’opera profanava il tempio sacro della giurisdizione. Le critiche, a tempesta, da parte di tutti gli ordini (sacerdotali e non) comportavano la rimozione “ex auctoritate” dell’opera. Veniva sospesa all’ultimo minuto la manifestazione pubblica di inaugurazione cui la cittadinanza era stata invitata.

Nella favola di Cenerentola il principe vagò per tutto il reame per trovare il piede della donna che indossava la scarpetta. Nella nostra storia, invece, nessun principe cercherà quella donna. Il nostro “Codice Rosso”, infatti, è solo scritto sulla carta delle leggi e la sezione che se ne occupa è sommersa da uno tsunami di carte che ne paralizza ogni possibilità operativa. Come sempre le favole mai diventano realtà…

Lorenzo Matassa :

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