Oggi, mercoledì 19 luglio, ricorrenza della strage di via D’Amelio, promette di essere una gran bella giornata di lotta. Non contro la mafia, ché quella può stare tranquilla, se la può perfino ridere. Sarà uno scontro duro tra le rumorose, combattive associazioni che scenderanno in campo l’una contro l’altra, per stabilire chi è più antimafioso, chi non ha i titoli per partecipare alle manifestazioni, chi può stare con chi, chi deve essere fischiato o allontanato. Tutto questo potrebbe avvenire in memoria di un uomo che fu sempre un severo, composto esponente delle istituzioni, un magistrato al quale tutti potevano guardare con ammirazione e fiducia e al quale non fece mai velo la propria posizione politica.
Come è successo negli anni passati e ancor più dopo il prologo del maggio scorso, in occasione della ricorrenza della strage di Capaci, il prossimo 19 con ogni probabilità si rappresenterà una balorda guerra per sequestrare una esperienza, per impadronirsi di un lascito che dovrebbero rimanere di tutti. Lo si farà in una maniera che, se non riguardasse aspetti tragici della nostra storia, farebbe ridere. Certo ha del ridicolo la pessima sceneggiata che pare si apprestino a realizzare movimenti esangui, incapaci di trovare un denominatore comune, restando separati da contrasti insanabili. Probabilmente il solo obiettivo che li unisce, ad eccezione naturalmente dei gruppi di destra che saranno anche loro protagonisti di quella giornata, è la contestazione al governo e alle istituzioni. A quel governo che peraltro rivendica una comunanza ideologica con Borsellino e che sicuramente con molto imbarazzo si presenta a Palermo con alcuni suoi esponenti impicciati con la giustizia e con un confuso disegno di riforma della magistratura e di modifica di alcune leggi, riattizzando uno scontro antico e la reazione consueta di quella parte della stessa che, “a prescindere”, non può sentire parlare di riforme.
Per il resto, l’ARCI, i gruppi AGESCI, la CGIL, il Centro Impastato, le Agende Rosse e tante altre sigle che pure utilmente svolgono o dovrebbero svolgere un’azione di denuncia e di contrasto, come è successo già in passato, quando si arriva ad eventi importanti come quello del 19 luglio, sono lacerati da ostilità e cadono in preda a preconcetti reciproci che non consentono di fare della lotta alla mafia un tema condiviso. Se questo avvenisse, quella lotta sarebbe più efficace agli occhi di quei cittadini che continuano magari a manifestare qualche tepidezza. Il 19 luglio dovrebbe essere il giorno nel quale la società civile, come ama dirsi, quella che resta lontana dalla “borghesia mafiosa” ed ostile al ricatto della criminalità organizzata, riscopre l’orgoglio della cittadinanza e la determinazione della denuncia. La mafia dovrebbe sentire più forte che mai il disprezzo, mentre la memoria di uno dei grandi eroi civili dovrebbe essere riproposta come patrimonio di tutti. In questa nostra terra nella quale la mafia è stata parte della storia, ha condizionato la politica, ne è stata anche strumentalizzata da taluni suoi settori contro gli avversari, non è risultato mai possibile trovare il modo di costruire un fronte unitario di lotta. Il 19 luglio dovrebbe essere il giorno in cui le associazioni, lontane dallo scontro politico e dalle ideologie che dividono i partiti, ripropongono il loro ruolo di stimolo e di guida, rendendo più consistente il contrasto e incrementando le adesioni. È paradossale che fratture incomponibili si ripropongano tra gruppi che hanno come ragione sociale la lotta alla criminalità organizzata e che la ricerca di protagonismo risulti così prevalente da deturpare il ricordo di Borsellino e dei suoi agenti di scorta.
A leggere le cronache di questi giorni emergono i rischi qui rappresentati, vengono pure fuori incomprensibili bizantinismi da parte di associazioni che dichiarano di condividere in toto documenti preparati da altri ma poi aggiungono di non volere partecipare alle manifestazioni per non rischiare di incontrare “personaggi sui generis che sembrano voler praticare una sorta di mistica dell’antimafia”. Non si comprende se il responsabile del Centro Impastato voglia così attivare la tradizionale gara a chi è più puro.
Fabio Trizzino, avvocato della famiglia Borsellino, ha provato a inserire elementi di razionalità invitando a mettere da parte “le guerre politiche. Il 19 luglio”, ha aggiunto, “non ci siano divisioni perché Paolo Borsellino è di tutti. Il movimento antimafia dovrebbe avere una visione ampia, lontana dalle strumentalizzazioni”. Gli è saltato addosso, con la consueta virulenza, Salvatore Borsellino, che, come capita nelle circostanze in cui tornano il nome e la memoria del fratello, ricompare, conquistando alcune righe su qualche giornale con dichiarazioni tanto determinate quanto paradossali. In questa occasione Salvatore Borsellino, senza la minima consapevolezza del ridicolo e dell’assurdo, ha dichiarato che Trizzino, peraltro marito di Lucia Borsellino, “non è l’avvocato della famiglia di Paolo ma dei figli”. Uno strano concetto di famiglia, il suo!
A ricordare il magistrato vi saranno anche i ragazzi della destra per rivendicarne la vicinanza politica con una fiaccolata. Tanti altri giovani, animati dal desiderio di conoscere e preservare l’insegnamento e l’esempio di Paolo con ogni probabilità parteciperanno alle manifestazioni ed è auspicabile che, indotti da cattivi maestri, come è capitato in passato, non ripetano frasi fatte e slogan che non colgono la complessa drammaticità delle stragi né le intricate, successive manovre per depistare le indagini su via D’Amelio, involontariamente alimentando un racconto parziale e stantio.
Quale sarà il risultato finale di una giornata che dovrebbe riproporre la figura di un martire civile come patrimonio comune, se non quello di dar vita ad un indecoroso spettacolo di contrasti e di divisioni che può essere gradito alla mafia, che una sua tragica compattezza mantiene, malgrado i durissimi colpi subiti dall’azione di Borsellino e Falcone e dal loro sacrificio?
Se le celebrazioni del 19 luglio dovessero risultare ancor più divisive di quelle del maggio scorso, in occasione della ricorrenza della strage di Capaci, forse ci si dovrebbe chiedere quanto sia utile continuare ad offrire prove di contrasto e di scontro che finiscono per rendere conflittuale anche la memoria dei due magistrati vittime della mafia.