Lo scatto fotografico che ritrae i parlamentari Cinque Stelle appena eletti al Senato e alla Camera nel 2018 e quelli all’Assemblea nell’anno precedente, dà il senso di una vittoria di proporzioni eccezionali. A rivedere quella immagine, si scorge che sono tanti, al punto che a stento entrano nell’obiettivo. Sono 73, 53 parlamentari nazionali e 20 regionali. Con oltre il 48%, di poco sotto solo al 54 del collegio uno della Campania, i grillini avevano conquistato il Mezzogiorno e la Sicilia, arrivando a Siracusa a superare il 60% e vincendo in tutti i collegi uninominali.
Il successo fu così straripante da mancare il numero di candidati sufficiente a coprire quello degli eletti, un evento mai verificatosi in Italia. I grillini erano arrivati vicini al 49,34% – il famoso 61 a zero – ottenuto nel 2001 dalla Casa delle Libertà che, comunque, metteva insieme più partiti, da Forza Italia ad Alleanza Nazionale, alla Lega, al Centro cristiano democratico di Mastella e di Casini, al Centro democratici uniti di Buttiglione, al Partito socialista di De Michelis e ad altre formazioni minori. Il consenso più elevato della Democrazia cristiana nel 1992, quando era ancora fortemente radicata nella società e nelle strutture di potere, si era fermato al 42%.
La marcia trionfale del Movimento aveva già raggiunto una tappa importante nelle politiche del 2013 con il 30%, balzando poi al 34,75 nelle regionali del 2017. Gli eletti del 2018 provenivano quasi per intero dalla militanza dentro il Movimento che, a dispetto delle proclamazioni, rimaneva e rimane una realtà chiusa, autoreferenziale e quasi del tutto misteriosa. Sconosciuta era la stragrande maggioranza di quegli eletti, venuti fuori da una selezione per forza di cose ristretta e improvvisata, non passata attraverso esperienze pregresse e, per l’età media, neppure da quelle di natura professionale. Del resto erano figli della logica demagogica e populista dell’“uno vale uno”, quasi tutti giovani, entusiasti, caricati a mille dalle parole d’ordine di Grillo e dal millenarismo di Casaleggio, fortemente convinti fino a manifestazioni plateali e arroganti di una presunta diversità rispetto a tutti gli avversari con i quali, peraltro, non erano disposti ad alcun rapporto. Erano abbarbicati a quel ripetitivo grido “onestà, onestà” che, se poneva una questione vera, la fondata premessa di ogni attività compresa quella politica, evitava il tema della competenza. Si sentivano investiti da una missione redentrice, dovevano cancellare il passato, ritenuto tutto intero da rifiutare e condannare, rimanendo così senza storia e senza cultura e dovevano costruire una Italia e una Sicilia nuove. Erano riusciti a cogliere i frutti di quel profondo disprezzo per le altre formazioni che, da alcuni anni, avevano sparso a man bassa, a far crescere nella società la voglia di punirle, di voltar pagina, di sperimentare una classe dirigente nuova, senza storia né radici, ma proprio perché senza storia e radici ritenuta credibile e lontana dai grovigli dell’immoralità diffusa all’interno del settore pubblico. Avevano saputo suscitare l’entusiasmo di tantissimi giovani, che da tempo affrontavano pesanti difficoltà, che non trovavano lavoro, non volevano continuare ad affidare le loro speranze a chi li aveva profondamente delusi, ad una realtà politica che li aveva ignorati, li teneva lontani e li aveva resi ostili. Avevano creato una evidente e per molti versi utile frattura tra “padri” e “figli”, e sembrava che questi ultimi potessero riuscire ad affrancarsi e ad affermare un loro protagonismo. Il Movimento raccoglieva anche la rabbia, l’invidia, il ribellismo e li collocava all’interno di una soluzione democratica e, al di là dei proclami, urlati a volte in modo sbracato, rispettosa delle regole costituzionali. Per ottenere il consenso servì anche la promessa del reddito di cittadinanza, una proposta che incontrava un diffuso bisogno di sostegno sociale e che, malgrado le distorsioni e un improprio legame con lo sbocco lavorativo, si è dimostrata essenziale per alcune categorie, in tempi di pandemia e dei suoi tragici riflessi sulla fragile economia isolana.
A distanza di tre anni, persi per strada quasi tutti i crismi tradizionali, cos’è rimasto del Movimento in Sicilia, dopo avere tra l’altro perduto, per abbandono o per espulsione, undici dei cinquantatré parlamentari eletti a Roma – in totale arrivano a 100 sui 377 usciti dalle urne – e quattro dei venti all’Assemblea? Le fughe e le espulsioni sono avvenute in tutte le province e in quella di Trapani sono arrivate ad un risultato paradossale ed incredibile. Su sei eletti al Parlamento europeo, a quello nazionale e a quello regionale, nel Movimento ne è rimasto uno, solo uno. Le fughe e la collocazione in partiti diversi danno il senso di una selezione improvvisata e dello scarso spessore politico e culturale di molti degli eletti. In questi anni il Movimento è rimasto una realtà impalpabile, non è riuscito a radicarsi nella società e nelle amministrazioni locali, con l’eccezione di Caltanissetta e di pochi altri centri. Nelle consultazioni più recenti ha vinto a Termini Imerese in alleanza con il Partito democratico, mentre ad Agrigento ha ottenuto appena il 4%. La creatura di Grillo, investita anche in Sicilia da contrasti interni, dalla incerta identità, da un mancato e obiettivamente difficile processo di maturazione dei gruppi dirigenti, dalla secessione di un nutrito numero di eletti, dalla scelta di Cancelleri che aveva svolto con prestigio il ruolo di leader, di lasciare la Regione, in Assemblea non ha saputo affermare una presenza visibile e incisiva, esprimere una linea unica, al punto che, nelle diverse commissioni, spesso capita che vengano assunte posizioni contrastanti. Non è facile trovare una intesa con il Partito democratico per rendere più forte l’opposizione alla maggioranza e dare maggiore spessore alle iniziative.
In queste condizioni, quali effetti potrà avere la cura Conte, ammesso che egli riesca a sciogliere i molti nodi che ancora aggrovigliano il Movimento e ostacolano il percorso verso la leadership? Quanto rimane della credibilità di un gruppo dirigente che ha continuato ad oscillare tra la ricerca del migliore dei mondi possibili e la necessità di confrontarsi con la realtà? Quel gruppo stenta a capire, come scriveva Hannah Arendt, che “la prima battaglia culturale è stare di guardia ai fatti”, anche, e a maggior ragione, se si vogliono modificare. Il trend che in tutto il Paese vede dimezzati i consensi del Movimento, la sensazione diffusa anche in Sicilia della frattura profonda tra le speranze, i sogni e la realtà, il venir meno di quella gioiosa adesione che si toccava con mano tre anni fa, dove porterà i tanti delusi? Se pure Conte potrà dare ai grillini una qualche identità e un progetto, se saprà strutturarli nella realtà sociale, non resterà, tuttavia, molto del 48%, di quei consensi che esprimevano culture diverse e contraddittorie e che tali per lo più sono rimasti anche per la ribadita proclamazione di non essere né di destra né di sinistra. Con il Partito democratico evanescente e privo di capacità attrattiva, dove finiranno i voti in uscita dal Movimento? Si può prevedere che Conte da un lato e Letta dall’altro riescano anche in Sicilia ad elaborare e proporre offerte politiche forti? Non è facile. Se ci riusciranno, probabilmente i due partiti non diventeranno competitivi con la destra ma potranno, comunque, costituire un utile argine ad essa, potranno diventare attrattivi per quella variegata realtà di centro che rimane forte, potranno “sparigliare”. Se non riusciranno in questa impresa, c’è da immaginare che la destra, alla guida della Regione e delle amministrazioni di gran parte delle grandi e medie città, con il controllo del potere, sarà la calamita che attrae la maggior parte dei voti in libertà.
C’è da ritenere che lì finiscano i sogni, la straordinaria e confusa energia che si sprigionò nell’Isola tre anni addietro, travolgendo tutti i partiti in nome di una democrazia partecipata, teorizzando e praticando strumenti e metodi che si sono rivelati inadeguati.
C’è da ritenere che quei voti finiscano per consolidare quei partiti che sono i più lontani dai sentimenti, dalle speranze e dalla rabbia che si manifestarono nel 2018 e che vennero intercettati dal Movimento di un comico estroso e di un visionario guru del web.
Il dissolversi di quel sogno non indurrà la politica siciliana alla concretezza, ad un rapporto utile ed efficace con gli enormi problemi dell’Isola, rafforzerà, semmai, la opaca e sterile gestione dell’esistente.