Il governo Musumeci è all’ultimo atto. Praticamente finito. Infiltrato nelle sue fondamenta che già da mesi vacillano. L’encomio è stato il peggiore possibile: una Finanziaria senza arte, né parte, né vision che mette insieme una serie di contributi a pioggia e il tentativo – sventato dal parlamento – di giocare con stabilizzazioni e assunzioni per inaugurare la campagna elettorale a sei mesi dal voto. Ma ciò che rimane del tentativo di Armao & Co. è solo una norma che permette a una quindicina di assistenti parlamentari l’iscrizione a un elenco speciale da cui i partiti potranno attingere anche nella prossima legislatura. L’articolo più audace, e anche quello più contestato, costituisce la cartina da tornasole di questo governo inconcludente.
Mentre l’assessore Messina metteva in atto il colpo gobbo a Cannes, procedendo per via amministrativa (senza passare dall’aula) a un mega finanziamento – della serie: tanto sono soldi dell’Europa – per una mostra fotografica, l’aula rispediva indietro le sue proposte sul turismo. Svuotando il capitolo dei patrocini onerosi a beneficio delle riserve per i Comuni (con un sub-emendamento del Pd che ha finito per umiliare la maggioranza). E azzerando i 3,4 milioni per eventi e iniziative varie. E La norma è tornata in auge, dopo la bocciatura di qualche giorno prima, nel maxi emendamento del governo: stroncato anche lì. Ma è stata una sessione finanziaria da dimenticare anche per Alberto Samonà, l’assessore ai Beni culturali della Lega, che si è visto respingere una delle proposte a cui teneva maggiormente: la card da 40 euro per le famiglie residenti con tre figli a carico, con lo scopo di favorire l’accesso ai musei e ai luoghi della cultura. Stralciata anche quella per mancanza di copertura finanziaria.
Ma al netto delle dichiarazioni a mezzo stampa, molti assessori escono bastonati. Prendete Marco Falcone. L’articolo per anticipare 10 milioni al Consorzio Autostrade (Cas) è stato stralciato anche dal maxi emendamento del governo; così come il cosiddetto “marebonus”, un contributo da 10 milioni per potenziare la catena intermodale e favorire gli autotrasportatori. Le vecchie promesse formulate mesi fa, alla vigilia di una serrata sventata per miracolo, sono finite in soffitta. Esce incolume Ruggero Razza, che sembrava preso di mira dall’assalto della “maggioranza parallela” (quella con Pd, Cinque Stelle, Lega, FI e Autonomisti), che alla vigilia del voto finale sembrava poter confluire su una proposta unitaria per azzerare la rotazione dei manager delle Asp (dopo aver già bloccato le nomine negli ultimi 180 giorni di legislatura).
Ma l’elemento che emerge chiaramente da questi ultimi giorni di passione è che a decidere è il parlamento. Per il governo, che aveva provato ad assottigliare i tempi, presentando la manovra all’ultimo minuto utile (senza scomodare le commissioni) è una sconfitta su tutta la linea. Testimoniata dall’assenza prolungata di Musumeci – che alla macelleria dell’Ars ha preferito il Forum Ambrosetti a Sorrento – e dalle dichiarazioni di circostanza di Armao, il quale ha dovuto ammettere che “per sua natura la Legge di Stabilità è una legge del parlamento” anche “se l’impianto del governo ha retto”. Macchè… L’assessore all’Economia, in assoluto, è quello che paga maggiormente pegno. L’Assemblea, infatti, non ha offerto alcuno spiraglio per riaprire la stagione delle assunzioni (già nel 2022) all’interno delle società partecipate Ast, Sicilia Digitale, Seus, Sas. L’articolo 2, stralciato dal testo originario, è ricomparso come per miracolo nel maxi emendamento finale. Ri-stralciato. Anche il ricorso a ‘figure esterne’ all’Amministrazione per il potenziamento dell’attività di verifica sugli enti controllati (che i dipartimenti di Armao, da soli, non riescono a effettuare) è stato cestinato. Un gioco a perdere inutile e dannoso.
Armao ha parlato di una manovra “innovativa”, ma di innovativo non c’è neppure il metodo. Si è proceduto per tentativi, come sempre. Con soluzioni estemporanee che si traducono in ricche prebende a cascata. Un campo sportivo di qua, un carnevale di là. Nessuna politica di sviluppo. Nessun aiuto serio alle imprese (al netto dei 3 milioni alle edicole, garantito da un emendamento dei 5 Stelle, e i 700 mila euro alle cooperative dei taxi). Ma un piano inclinato impossibile da raddrizzare. E per di più con una spada di Damocle conficcata nella schiena: le regalìe di cui sopra, e altri interventi ad opera dei gruppi parlamentari (alcuni utili, per carità), dipendono dall’intesa con Roma, che a regime dovrebbe “scongelare” circa un miliardo. Finché non arriverà il provvedimento del Consiglio dei Ministri, però, molte misure rimarranno sulla carta.
Ma il governo perde anche la sfida col parlamento, come testimonia il messaggio finale di Gianfranco Micciché. “Questa è l’ultima manovra di questa legislatura. Io ho sempre cercato, sin dalla prima, di trovare soluzioni di accordo perché credo che la Legge di Stabilità sia l’espressione massima del lavoro che fanno, anno dopo anno, governo e parlamento. Non sempre ci siamo riusciti, ogni tanto abbiamo fatto dei casini. Se posso dare un suggerimento, per gli ultimi sei mesi, al governo – ha concluso Miccichè – è quello di considerare il parlamento non un elemento estraneo alla politica, ma uno fondante, perché qualsiasi cosa senza il controllo del parlamento farebbe sparire l’idea della democrazia”. Un’idea della democrazia che si è provato a cancellare presentando in ritardo i documenti contabili, costringendo l’Ars alle acrobazie più disparate (e ad evitare il passaggio nelle commissioni), ‘minacciando’ di fare in fretta altrimenti i dipendenti delle partecipate (circa 7 mila) non avrebbero visto lo stipendio di maggio (a causa della gestione provvisoria).
Musumeci e il suo cerchio magico, nei mesi che restano da qui alla fine, difficilmente potranno risanare le ferite. Non basterà restituire al parlamento la voce che le è stata sottratta per quattro anni. O dare un contentino ai singoli deputati per cancellare l’onta dei “motivi di igiene” che hanno spinto il presidente della Regione a interrompere qualsiasi rapporto con gli “scappati di casa”. I franchi tiratori ci sono stati anche stavolta (sui singoli provvedimenti) e continueranno ad esserci. Altri, soprattutto dentro la Lega e Forza Italia – i principali alleati di Fratelli d’Italia e Diventerà Bellissima – hanno scelto di non partecipare alla votazione finale, o addirittura di votare contro. Come nel caso di Marianna Caronia, che non ha bisogno di nascondersi dietro l’anonimato per esternare il proprio malessere a seguito di un paio di norme (sui disabili e le donne e i bambini vittime di violenza) su cui Armao e il governo hanno preso tempo: “Quando di fronte alla sofferenza e alle difficoltà degli ultimi e dei più fragili ci si volta dall’altra parte si è perso anche il senso del perché si amministra la cosa pubblica. L’ultimo atto del Governo Musumeci conferma il suo totale fallimento, il tradimento del patto sottoscritto con gli elettori nel quale anche io avevo creduto e per cui mi sono spesa”. Sipario.