Del fascismo, nato cento anni fa dalla violenza squadrista e dalla viltà della monarchia, vidi la coda finale, non avendone com’è logico, alcuna consapevolezza.
Alla prima elementare fui premiato con la divisa di “figlio della lupa” per avere imparato a memoria, primo tra i miei compagnetti, una filastrocca.
Divenni una tessera del grottesco mosaico che componeva il tragico regime. Per due anni indossai la camicetta nera, i pantaloncini grigio verde, il cinturone bianco, le bretelle a formare la M di Mussolini e il fez in lana nera con l’immagine di Romolo e Remo allattati dalla lupa. Per alcuni sabati così bardato e felice di esserlo mi portarono a montare la guardia al monumento ai caduti della prima guerra mondiale.
Ebbi la pagella, che conservo, con l’emblema del regime, il proclama ormai tragicamente assurdo “vincere”, l’indicazione dell’anno XXI dell’era e l’appartenenza alla Gioventù italiana del littorio.
Provai un dolore forte quando mia madre, saputo dello sbarco degli alleati, per cancellare il passato fascista del suo bambino ,buttò nel forno riscaldato per il pane la mia divisa.
Piansi e per qualche giorno fui inconsapevole nostalgico. Ero un bambino.
A distanza di cento anni dalla marcia su Roma e di quasi ottanta anni dalla fine in Sicilia della dittatura che privò l’Italia della libertà, la legò alla ferocia nazista e la portò in guerra, c’è gente che vive di nostalgia che alla folle ideologia di quel regime e del suo bolso retore si richiama, ne mantiene e alimenta la “fiamma”.
Alcuni di quei consapevoli e incredibili nostalgici sono oggi alla guida di fondamentali istituzioni del Paese.
(tratto da Facebook)