Il gioco del calcio è in crisi. Mi chiedo perché il Coni ancora non riconosca il bandwagoning, il salto sul carro del vincitore, specialità sportiva molto praticata dagli italiani. La Sicilia, tra l’altro, potrebbe esprimere sin da subito dei veri e propri campioni. Perché dico questo? Per motivazioni personali, familiari e professionali, oltre che per radicate convinzioni politiche, ho avuto modo di frequentare le vicende del centrodestra siciliano e nazionale degli ultimi trent’anni, e la politica in genere. Sì, ho sempre seguito la politica, sin da adolescente. Nessuno è perfetto. L’ho studiata, osservata sin da vicino, con i suoi linguaggi e i suoi codici.
Ebbene, oggi, in tempi di salvinismo e grillismo imperanti, mi capita di alternare sorrisi a conati di vomito nel vedere la palingenesi di tanti uomini e donne che sgomitano per salire sul carro pentastellato o leghista, come se questo bastasse per recuperare la verginità che persero tanti anni fa. Come se nessuno li conoscesse. Me li ricordo ancora: frequentavano a tutte le ore le segreterie di partito, bar, ristoranti, alcove, cofani di automobili, anticamere di assessorati, Comuni e Province, col curriculum in tasca, il proprio e quello dei figli o di qualche amante, alla ricerca di una promozione, di un incarico, di un trasferimento, di una consulenza, di un lavoretto a tempo determinato, di un posto in lista.
Millantatori di voti, di fedeltà, di credo politico. Ne sentivi l’odore, ne riconoscevi il passo, ne percepivi l’invadenza, la compiacenza. Ti blandivano per il tuo ruolo di vicinanza al potere. Ridevano sempre per qualsiasi battuta che dicesse il potente, divertente o meno che fosse. Personaggi che Alberto Sordi interpretò da grande attore. Quell’italietta opportunista e gaudente che faceva il passo più grande della gamba con le gambe che li portavano inesorabilmente a chiedere favori, ‘cortesie’, prebende. Oggi, con le loro facce rifatte, le dentiere, con le zampe di gallina che giganteggiano, li vedi ripetere sui social media gli slogan sgrammaticati e insensati di Di Maio e Di Salvini.
Oggi applaudono i populisti e pontificano su facebook, su twitter. Sono diventati giustizialisti – proprio loro che la giustizia ha risparmiato per un colpo di fortuna… – e meritocratici, loro che avrebbero tolto le stampelle agli storpi, facendoli rovinare a terra, pur di vincere qualche graduatoria. Oggi partecipano ai meet up, ai flash mob di Grillo & company e ai raduni leghisti: gridano vaffanculo a tutti. Sono diventati razzisti per calcolo politico, ma gli riesce male. Scrivono post moralistici contro la vecchia politica e si scagliano contro quelli che, genuflessi, un tempo non molto lontano, adoravano. Gli esperti la chiamano ‘sindrome rancorosa del beneficato’: l’incapacità di essere grati e il desiderio di vendetta per i favori ricevuti. Mah. Fanno comunque molta pena. Chissà, forse vogliono ripulirsi, per i figli che probabilmente ignorano il loro passato. Forse è solo un modo per essere alla moda e al passo con i tempi. Alcuni cercano una chance. Un posto in lista, sul carro del vincitore, verso la gloria, ignorando ciò che disse George Orwell ‘puttana una volta, puttana per sempre’. Altro giro, altra corsa.