Giuseppe Conte non molla. L’arrivo in Sicilia a una settimana dalle urne, per rilanciare l’impegno di Antoci & Co. e spingere i candidati sindaci del Movimento 5 Stelle, significa che nell’Isola c’è ancora trippa per gatti. E che l’ex premier sa perfettamente da dove passano le fortune del suo partito. Ad accoglierlo non c’erano gli eurodeputati uscenti: né Ignazio Corrao tanto meno Dino Giarrusso hanno completato la legislatura con la casacca grillina. C’era, però, l’ex presidente del Parco dei Nebrodi, scampato a un attentato della mafia dei pascoli, e firmatario di un protocollo che secondo Conte “tutti gli stati membri dell’Europa dovrebbero adottare per contrastare le frodi in materia di fondi europei”. Da ‘anticasta’ il nuovo Movimento è diventato ‘antimafia’. Non è casuale la scelta di Antoci, così come non lo è stata quella di Roberto Scarpinato, eletto in Senato un anno e mezzo fa.
I grillini, dalla battaglia contro i privilegi, hanno ripiegato su una sfida quasi impossibile: cioè l’affermazione della legalità in ogni sua forma, diventata un vessillo in mancanza di altri argomenti. Il M5s prova a stare dalla parte degli ultimi, ma ha un disperato bisogno di offrire ricette nuove. Sebbene i siciliani, considerata la presenza di ieri a Catania (sono in agenda altri appuntamenti siciliani fra oggi e domani), sono tra i pochi a crederci ancora. L’ultimo sondaggio dell’istituto Keix – Data for Knowledge per il quotidiano ‘La Sicilia’ ha rivelato che il partito di Conte è in vetta alla classifica di gradimento, con oltre il 23% dei consensi, davanti ai patrioti di Fratelli d’Italia: significherebbe eleggere almeno un paio di deputati a Strasburgo.
Conte non è più il papà del reddito di cittadinanza (fu così che venne acclamato al Borgo Vecchio di Palermo, nel 2022), una forma di voto di scambio legalizzato che ha consentito ai grillini di raggiungere percentuali bulgare nelle regioni più povere. Ma ambisce a diventare qualcosa di più. E di farlo a suon di schiaffi: “Se i cittadini ci daranno fiducia – ha detto da Piazza Stesicoro – rinforzeremo la direttiva UE sul salario minimo in modo da imporla a Meloni, che ha schiaffeggiato 4 milioni di lavoratrici e lavoratori sottopagati. Inoltre porteremo in Europa il Reddito di cittadinanza europeo per schiaffeggiare un governo che ha fatto crescere il numero dei poveri assoluti”. Oltre 5,7 milioni di persone. E’ in questa platea che il Movimento 5 Stelle, sgomitando contro la voglia d’astensionismo dilagante, proverà a salvare la faccia. E’ dalla Sicilia, assetata di lavoro e di denaro, che proverà a indicare una ripartenza (anche al Pd) appropriandosi della guida della coalizione prossima ventura. Con l’obiettivo di rendere la vita difficile a Schifani e al centrodestra.
Non che al momento ci stia riuscendo granché. Nel dibattito ovattato di Palazzo dei Normanni, la voce dei 5 Stelle è diventata quasi soporifera. Le iniziative populiste sono diventate appannaggio del deluchiano La Vardera, abilissimo nell’utilizzo teatrale dei social; e le poche questioni sollevate – alcune importantissime, a partire dagli sprechi del programma SeeSicily – sono state snobbate dal resto delle opposizioni. Eppure c’è dietro un lavoro assurdo, una ricerca spasmodica, un aggiornamento costante rispetto agli sperperi dell’assessorato al Turismo. Ma non esiste, forse, una regia, che permetta di catalizzare gli sforzi e ottenere la convocazione di un dibattito d’aula per interrogare Schifani e l’assessore Amata, che in piena campagna elettorale continua a seminare feste, festini e contributi nei comuni dei sindaci amici (piccolo inciso: “pagano” più dei fondi di coesione).
Non siamo al punto di dover rimpiangere Cancelleri, ma forse questo Movimento avrebbe bisogno di maggior carisma per “intimorire” la casta e fare presa sui siciliani. Servirebbe una ricetta che offra soluzioni di governo e non soltanto battaglie di principio: come la richiesta di cambiare il regolamento sull’utilizzo delle auto blu o l’introduzione delle sanzioni per i voltagabbana (molti trasformisti dei nostri tempi, un tempo erano “grillini”). Queste operazioni servono a limitare i danni (d’immagine) ma non influiscono di un’unghia sulle prospettive di sviluppo di una terra falcidiata dall’inefficienza della politica. La sensazione di vuoto aumenta dopo aver sentito Conte parlare degli ‘impresentabili’ e del fatto che solo il Movimento sia casto e puro: “Io credo che la chiarezza e la linearità di azione siano una condizione imprescindibile per ridare dignità alla politica e fiducia ai cittadini – ha detto l’ex presidente del Consiglio -. Noi siamo l’unico partito che non è coinvolto in casi di corruzione, da Nord a Sud. Una ragione c’è. Abbiamo regole stringenti che tutti dovrebbero rispettare per scacciare via il marcio”.
A distribuire patenti di moralità son bravi tutti, a tradurre le parole in atti concreti, però, molti si perdono. Votare i Scarpinato e gli Antoci, ma metteteci pure le Chinnici, le Aiello o le Alfano sebbene di un altro schieramento, è un atto di fede verso la persona, per custodire la storia e la memoria di ognuno. Significa esprimere una preferenza rispettabilissima, ma non esaustiva del significato della politica. Invece i Cinque Stelle dovrebbero poter coniugare l’utilizzo delle “figurine” e quello dei bravi amministratori, cosa che gli garantirebbe presenza sul territorio. Invece, alle Comunali, il gap diventa ogni volta più palese.
Ci sarebbe infine da preparare le prossime Regionali: puntando su un’alleanza col Partito Democratico, che in Sicilia non può non prescindere dalla figura carismatica di De Luca. Conte per il momento si limita a una parte: “Dialoghiamo sempre col Pd e siamo consapevoli che alternativa di governo passa da un programma coeso, forte e credibile da parte delle forze progressiste, nell’auspicio che ci sia rispetto reciproco e di pari dignità”. Non può ignorare, tuttavia, quanto accaduto un anno e mezzo fa: detto che le somme algebriche in politica non esistono, specie se alla vigilia del voto, fu proprio Giuseppi a interrompere un percorso ben avviato coi dem grazie alle primarie. Fu lui a vanificare l’esito di quella votazione, litigando con l’ex segretario del Pd Enrico Letta dopo l’abbandono del governo Draghi (e tagliò la corda con la scusa che nell’Isola avrebbero candidato degli “impresentabili”).
Il frutto post-grillino non è ancora maturo, e forse è per questo che la coalizione nascitura pare voglia orientarsi su un leader “esterno” come Scateno. Col suo furore e la sua preparazione amministrativa sarebbe una proposta spendibile e un’incognita reale per tutto il centrodestra. Cosa che il M5s, da solo, non è mai riuscito ad essere fino in fondo. Nemmeno ai tempi d’oro.