Li riconosci da lontano, dalla nuvola di fumo che sprigionano le marmitte. Poi dal rumore che fanno, vecchi e sgangherati come sono. Generalmente sono bianchi, e hanno targhe straniere, bulgare soprattutto. E dove stiano andando, te lo suggerisce la massa immobile di persone stipate al loro interno. C’è un metodo semplice per ricavare più posti in un furgone: togliere i sedili e installarvi panche di legno. Dicono l’abbiano sperimentato in alcuni paesi dell’Est europeo, e ora è diffuso pure nel nostro Sud. Con questo sistema, in un furgone mettiamo da nove posti, se ne possono ricavare fino a quindici, e se proprio si vuole esagerare, due – tre passeggeri possono stare in piedi. Per quanto assurdo possa apparire, furgoni e pulmini con queste modifiche ne circolano a bizzeffe nel nostro paese, e la maggior parte con uno scopo ben preciso: caricare braccianti agricoli irregolari per portarli nei campi a lavorare, e a sera, riportarli a casa: o meglio, nei tuguri dove dormono. Era stato modificato così anche il furgone dell’ultima strage di lavoratori stranieri, sfruttati e malpagati, a Lesina, nel foggiano. Quattordici uomini ammassati, distrutti da una lunga giornata con la schiena spezzata a raccogliere pomodori, a due euro e cinquanta all’ora. E costretti pure a pagarsi quel viaggio, che in questo ambiente si usa così: il “caporale” pretende cinque euro andata e ritorno: spese di carburante, dicono.
Ora, il guaio non è tanto e solo che in questi furgoni vengano stipate più persone di quante ne siano consentite. Il vero drammatico problema è soprattutto che si tratta di automezzi decrepiti; con le gomme usurate, i freni che scricchiolano, il motore che balbetta. Insomma, se entrassero in un’officina per una revisione, non li farebbero uscire più. Eppure circolano. E provocano stragi. Dodici morti l’altro ieri, quattro due giorni prima. Lo scenario la Puglia, il foggiano. La dinamica uguale, come un film già visto. Non incidenti stradali come tanti purtroppo ne accadono. Ma la fatale conseguenza di un fenomeno che neppure nuove leggi e pene dure riescono a debellare: il caporalato. Perché questi poveri disgraziati, che fanno un lavoro che nessun italiano vorrebbe fare, cominciano a essere sfruttati nel momento in cui salgono su questi furgoni fuorilegge, come chi li recluta. E se non muoiono di fatica, sotto il sole atroce dei campi, come pure è successo in passato, le loro vite grame si spezzano negli schianti, che si moltiplicano, nelle strade del nostro Sud, meno battute dai controlli. Che pure ci sono.
Nella sola provincia di Foggia, da ottobre a luglio scorsi, di furgoni così malandati e irregolari, ne sono stati sequestrati 147, ma in controlli mirati e straordinari. Perché pare che i posti di blocco di routine -diciamo così- vengano istituiti in orari di ufficio: quando al mattino è troppo tardi per beccarli, e la sera è troppo presto: questi furgoni carichi di manovalanza a perdere, si muovono all’alba, intorno alle sei del mattino, e ritornano col loro carico di sudore e di fatica, dopo le sette di sera. Eppure, da un semplice controllo stradale, si potrebbero evitare non solo stragi, ma combattere l’attività dei caporali.
Se ci pensiamo bene, non servirebbe neppure andare nei campi, o sorvolarli con le telecamere dei droni per scovare sfruttati e sfruttatori. Bastano i posti di blocco. Che tanto, quella strada devono fare! E una volta “beccati”, il caporale alla guida non si sognerebbe certo di scappare con un mezzo così scassato, che spesso corre solo verso lo sfruttamento se non perfino la morte.