La Società Interporti Siciliani, che costa alla Regione 500 mila euro l’anno, e che ha cinque degli ultimi sei bilanci in perdita, è una delle 13 partecipate finite nel mirino di Luigi Sunseri, deputato del Movimento 5 Stelle, che qualche giorno fa ha presentato un dettagliato rapporto per segnalare anomalie e irregolarità che percorrono – in lungo e in largo – la galassia delle 163 società che con la Regione medesima hanno un vincolo (più o meno diretto). Si tratta, per lo più, di carrozzoni succhiasoldi, che gravano sulle casse di palazzo d’Orleans in maniera cospicua. Secondo gli ultimi dati raccolti dalla Corte dei Conti, e pubblicati nella relazione allegata al giudizio di parifica del rendiconto 2019, il Fondo perdite – cioè il tesoretto utilizzato per ripianare le perdite delle società – ha fatto un balzo del 570%. Dai 4,7 milioni del 2018 ai 27,2 del 2019. Il ‘balzo’ è dovuto al fatto che nel primo anno di riferimento (il 2019) i dati a disposizione riguardavano solo 4 delle 13 partecipate. Molte di esse annaspano sotto il profilo dei conti, ma anche della trasparenza.
E’ il caso della Società Interporti, nata nel 1995, per la realizzazione di due interporti a Catania e Termini Imerese, seguendo la strategia “di rilancio della multimodalità e integrazione della logistica”. L’obiettivo dichiarato era l’ottimizzazione delle fasi del processo produttivo e distributivo delle merci, favorendo le modalità di trasporto a minore impatto ambientale, attraverso la riduzione del traffico e della congestione delle grandi aree urbane. Un progetto di ampio respiro che, dopo 26 anni, non è giunto a compimento. All’interporto di Termini Imerese, come ha spiegato Sunseri, si attende la posa della prima pietra. Eppure la SIS è sempre lì, viva e vegeta. Segnata, però, da una gestione un po’ opaca.
La nomina del direttore generale e dell’organismo di vigilanza, infatti, sarebbero avvenute senza passare dall’Assemblea degli azionisti (non c’è una sola delibera che dimostri il contrario). Mentre uno stagista, il fortunatissimo Luigi Provini, pochi mesi dopo l’assegnazione del primo incarico (da tirocinante) è stato catapultato in un altro mondo: è divenuto, cioè, responsabile per la trasparenza e la prevenzione della corruzione. Un salto clamoroso, e forse poco responsabile, per un ragazzo di 28 anni “che prima guadagnava 7-800 euro al mese”. Ma non è tutto: perché Sunseri ha pescato, nei meandri dell’amministrazione (poco) trasparente, un paio di determinazioni che mettono in discussione l’operato di Rosario Torrisi, amministratore unico della società. Il quale, nel 2019, si auto-riconosce un compenso da 20 mila euro per aver svolto la funzione di direttore generale; e adesso, invece, richiede un bonus di fine mandato che, segnala Sunseri, “non è previsto dal Testo unico delle società partecipate”. Fra la Società Interporti e Nello Musumeci, fra l’altro, c’è un rapporto di amore-odio: da presidente della commissione Antimafia, il dottor Nello aveva sospettato un legame con alcuni ambienti criminali, ponendo la questione; pochi mesi dopo, però, il governo del signor Musumeci ha ricapitalizzato la società in questione per 2,5 milioni. Chi ci capisce è bravo.
I dipendenti delle partecipate sono, in totale, 6.997. La metà di quelli regionali. Secondo la Corte dei Conti, inoltre, “gli oneri per la retribuzione dei dipendenti delle società partecipate costituiscono una spesa pari a 272 milioni, vale a dire il 48% di quella relativa al personale regionale”. I criteri d’assunzione, però, fanno discutere. E’ il caso di Sicilia Digitale, uno dei più grandi flop della storia recente della Regione siciliana. Ricordiamo, per gradire, che la società (diretta in passato da un fior di magistrato come Antonio Ingroia), vanta un credito da 92,5 milioni nei confronti di palazzo d’Orleans. Ma non riceve una commessa da tempo immemore: il click day, poi fallito, per il Bonus Sicilia, era stato affidato a Tim; le pratiche della Cassa integrazione in deroga, durante la prima ondata Covid, a ETT. Solo società esterne. Per di più la società reduce da un pignoramento di 26 milioni da parte di Engineering, che secondo il deputato di Italia Viva, Edy Tamajo, “mette a rischio la continuità dei servizi informatici che, in epoca di smart working, vorrebbe dire la paralisi totale della macchina burocratica della Regione Siciliana”. Da qui l’idea di portare in aula una norma per anticipare le somme e coprire gli stipendi fino al 31/12. Pare che i dipendenti di Sicilia Digitale, però, siano bravi a fare tutto, tranne l’assistenza tecnica. Per di più, sottolinea Sunseri, le assunzioni vengono organizzate senza procedure di pubblica evidenza, ma per il tramite di una società interinale calabrese ‘fantasma’. Introvabile.
La selezione di personale accomuna Sicilia Digitale ad altre realtà nefaste della macchina mangiasoldi: ad esempio Ast, l’Azienda siciliana dei Trasporti, che a fine 2018 ha sfornato 10 nuovi autisti (sui 40 assunti) nel comune di Marineo, lo stesso del direttore generale dell’epoca, Ugo Fiduccia. L’esposto finì in Procura. Ast è indebitata per cifre milionarie con banche, fornitori, Inps. Ma l’attuale presidente, per alleggerire i costi del personale, ha deciso di nominare se stesso alla guida della controllata, Ast Aeroservizi, che oggi controlla lo scalo di Lampedusa. In realtà, Ast Aeroservizi è la gemella di Airgest, la società di gestione dell’aeroporto di Trapani-Birgi, dove la partecipazione regionale è salita fino al 99,95%. Come segnalato dal piano di revisione del 2020 ad opera della Regione, le sue funzioni potrebbero essere “assorbite” da altre partecipate con la medesima funzione. Eppure la società, che con tante difficoltà sta provando a rilanciare uno scalo in crisi nera (da quando è andata via Ryanair, che adesso è tornata), è continuamente oggetto di regali. Leggasi, ricapitalizzazioni. Ne è arrivata una da 12,5 milioni nel 2018; e un’altra da tre milioni e mezzo l’anno scorso. Airgest costa alle casse di Palazzo d’Orleans quasi 10 milioni l’anno: un salasso. E gli ultimi bilanci sono tutti in rosso.
Un altro caso poco chiaro è quello del Parco Scientifico Tecnologico. Al netto degli ultimi quattro esercizi in perdita (che sarà mai), Sunseri ha riscontrato alcune anomalie. Ad esempio, il fatto che il personale sia composto da tre persone, di cui un paio palermitane. Nonostante il Parco abbia sede a Catania. “E poi io non ho ancora capito cosa fa”, spiega il deputato del M5s. Dal sito non emerge alcun dato e gli unici contatti – sporadici – avvengono in commissione Bilancio, all’Ars, dove queste persone “vengono a chiedere ricapitalizzazioni”. L’ultima, alla Regione, è costata mezzo milione. Maas (Mercati Agro Alimentari della Sicilia), costituita nel 1989 per la costruzione e gestione di mercati all’ingrosso, invece non dovrebbe essere nemmeno una partecipata regionale, giacché “non è possibile qualificare come organismo di diritto pubblico una società consortile per azioni partecipata da capitali pubblici, che realizzi e gestisca un centro mercatale, in quanto i bisogni di detta società” hanno “carattere commerciale”. Anche in questo caso gli esercizi sono in perdita.
Resta sullo sfondo la questione di Riscossione Sicilia, se non fosse che a breve verrà assorbita dall’Agenzia delle Entrate. Su di essa, però, è intervenuta la Corte dei Conti con un durissimo report da cui si evince la produzione di “significative perdite” nel periodo 2010-18. Inoltre, a Riscossione viene contestato di aver “omesso riversamenti di spettanza regionale per un importo pari a 68 milioni e ritardato, anche, quelli a favore dell’erario”. Di questo è stata informata la Procura della Repubblica. Ma non mancano le contestazioni nei confronti della Regione: “Esponenziale dello scarso interesse del socio pubblico nei confronti della partecipata – scrive il procuratore generale della Corte dei Conti, Pino Zingale – è la mancata approvazione nei termini di legge dei progetti di bilancio di esercizio, senza alcuna valida giustificazione”. Una considerazione che fa il paio con quella, più generale, estrapolata dalla relazione delle Sezioni Riunite: “I controlli cui sono sottoposti gli enti regionali devono essere considerati insufficienti, lacunosi e frammentari, anche sotto il profilo dell’attenzione da riservare al corretto impiego delle ingenti risorse confluite in un settore pletorico e da tempo destinato ad un complessivo riordino”. Per restare a Riscossione, anche sul transito dei dipendenti nell’Agenzia delle Entrate vengono posti dei dubbi di legittimità costituzionale. Eppure – questo – è l’unico segnale di razionalizzazione in fondo a un tunnel nerissimo, e a tratti torbido. Sarà possibile grazie a una norma votata in Parlamento allegata al decreto Sostegni-bis.
Laddove la Regione ha provato a fare da sé, venendo incontro alle continue richieste di razionalizzazione delle società partecipate, ha quasi sempre fallito. L’unico tentativo in atto, annunciato dall’assessore Gaetano Armao, e mai completato, prevede “una ipotesi di concentrazione societaria tra Sicilia Digitale S.p.A., Interporti S.p.A e Parco Scientifico e Tecnologico S.C.p.A. (…) finalizzata alla creazione di una società in house in grado di progettare e gestire l’infrastrutturazione fisica e digitale della Regione siciliana, unitamente alla gestione aggregata degli acquisti di beni e servizi”. Gli Interporti assieme a Sicilia Digitale è una cosa che, sulla carta, fatica a stare in piedi. Ma tant’è. L’importante è decidere. E farlo in fretta, dato che nell’ultimo accordo Stato-Regione, utile a spalmare su dieci anni un mostruoso disavanzo, Roma ha chiesto “la completa attuazione delle misure di razionalizzazione previste nel piano delle partecipazioni societarie”, oltre alla chiusura delle procedure di liquidazione che riguardano 8 società e 47 enti. Alcune sono lì, ferme, da oltre vent’anni.