Se non è vero è tutto molto verosimile quello che racconta Ottavia Casagrande in “Quando si spense la notte”, il suo nuovo romanzo Feltrinelli dedicato alla figura del principe Raimondo Lanza di Trabia, suo nonno materno. Dopo il successo di “Mi toccherà ballare”, primo romanzo scritto a quattro mani con la madre Raimonda Lanza di Trabia (nata orfana e secondogenita dell’attrice Olga Villi) Ottavia Casagrande torna sull’eroe eponimo, grazie alla confessione di una simpatica settantenne inglese, residente nel Dorset, che leggendo il primo libro ha creduto di scoprire in quel principe siciliano un amico di sua madre, agente segreto di sua Maestà in Sicilia per una breve stagione durante gli anni del la seconda guerra mondiale e protagonista delle incredibili avventure raccontate in questo secondo romanzo, fra le quali bisogna annoverare la fuga dei due vestiti da suore dal collegio femminile sulla Nomentana, la loro divagazione a Cinecittà sul set di un film di Alessandro Blasetti, che vorrebbe arruolare il principe nel cast, la nuova fuga rocambolesca per sfuggire agli agenti dell’Ovra, sul pagliericcio di un carretto di fortuna trainato da elefante con carrettiere compiacente alla guida.
E poi un lungo peregrinare sulla via Aurelia a bordo di Alfa decapottabile, fino a superare le frontiere francesi. Arrivo a Parigi, con sosta a Auteil nell’hotel particulier dello zio Odò e tante Rose, donatori all’Ambasciata d’Italia del famoso teatrino di Palazzo Butera che ancora arreda il salone principale dell’Hotel La Rochefoucauld, sosta provvidenziale perché il principe trova ancora i fidati domestici di famiglia a rimpinguarlo e si rifornisce dei gioielli della ricca zia, grazie a quali continua la fuga sino al porto di Calais, sotto le mitragliatrici della Luftwaffe, e da lì, su un guscio di noce, traversa la Manica con la sua bella, sfuggita per miracolo ad avvelenamento da caffè al tallio destinato a lui, fino a Dunkerke, da dove poi risalgono verso la capitale, dove il 27 maggio 1940 Raimondo incontra a colazione il primo ministro Winston Churchill, per rivelargli le vere intenzioni belliche di Mussolini.
Il romanzo del romanzo è di per sé qualcosa di così avventuroso che meriterebbe un saggio a parte, per rivelare ai lettori dove si ferma la verità e dove comincia la finzione. Perché racconto di Ottavia Casagrande è suffragato non solo dalle testimonianze di prima mano della figlia settantenne di una spia in disarmo, vecchio flirt di Raimondo e raccontatrice di suo di grandi fiabe indelebili, ma trovano riscontro nei documenti riesumati dall’Archivio centrale dello Stato, ma non dagli archivi del MI6, secretati ad aeternum, nei rapporti dell’Ovra, nei saggi di Mimmo Franzinelli, che ha confermato la perfidia di Santo Emanuele, persecutore di Raimondo. La trama del romanzo corrisponde così a due anni di storia, 1939-1940, anni cruciali per le sorti dell’Europa e per la vita un aristocratico ribelle, che fu una spia versatile e piena di inventiva per il regime fascista alla vigilia della seconda guerra mondiale, vivendo in balia dell’inquietudine e sopravvivendo grazie al suo sesto senso, pur lanciandosi in imprese disperate e ad alto rischio, per obbedire alla sua natura libera e indomita, al senso innato dell’onore che coincide sempre con la gratuità, anche a rischio di trovarsi dalla parte sbagliata e di volerci restarci, pur avendo la possibilità di passare a servizio del nemico.
Il primo romanzo di Ottavia Casagrande partiva da una valigia piena di documenti e di una misteriosa chiave che apriva tanti misteri, a cominciare dall’ultimo, la morte di Raimondo, per defenestrazione da un famoso albergo romano, non si sa se per volontà o per caso. Il secondo romanzo ne ricostruisce le avventure durante i mesi che precedono l’invasione tedesca della Polonia e che seguono la fine della non belligeranza italiana con l’entrata in guerra dell’Italia il 10 giugno 1940. Rivive così in queste pagine pagine di romanzo dove il romanzesco è solo la versione letteraria della storia, la vera vita di Raimondo Lanza di Trabia, Raimondo Ginestra prima di venir adottato dalla nonna paterna Giulia Florio, avventuriero viziatissimo e seduttore seriale, fidanzato altolocato e però riluttante perché a caccia di avventure, tanto che la povera Suni Agnelli per dimenticarlo si imbarcò da crocerossina su una nave militare nell’Egeo e restituì alla nonna l’anello di fidanzamento. Il principe bastardo dagli occhi azzurro intenso, il ghigno sornione, i baffetti alla Salvador Dali, aveva l’avventura nel sangue. Viveva in grandi alberghi dormendo fino alle due del pomeriggio fra montagne di giornali, quinte di bottiglie e mozziconi di sigarette, ma era pronto a rischiare la vita pur di servire amici influenti come il ministro degli Esteri Galeazzo Ciano, lanciarsi per loro in missioni segretissime Oltreoceano per seguire le tracce di scoperte scientifiche come l’atomo, foriere di nuovi strumenti di distruzione di massa, e sapeva giocare con l’avversità come in una partita di tennis, uscendone sempre indenne anche quando cercò invano di fomentare una rivolta antinazista in Alto Adige, sempre pronto all’avventura, a carpire un sorriso, un abbraccio, a sfidare il senso comune per un ballo in maschera a Palazzo Colonna, con la sua lei mascherata da ninfa e lui con una semplice cappa di seta blu notte sopra il frac, perché “Io sono il mare” diceva ballando sotto le stelle mentre l’Italia si preparava a entrare in guerra.