“Avevamo individuato, con dodici anni d’anticipo, una possibilità di sviluppo la Sicilia. Ma poi il progetto è evaporato”. Un pizzico di disincanto, ma anche una discreta dose di rammarico condiscono il racconto di Mirello Crisafulli, ex senatore del Partito Democratico, che nei primi anni del governo Lombardo fu testimone di un principio d’intesa fra la Regione Sicilia e la Hainan Airlines, una mega-compagnia cinese, per la realizzazione di un sistema integrato che prevedesse: un nuovo aeroporto commerciale internazionale in provincia di Enna, al confine con la piana di Catania, un porto hub ad Augusta e l’interporto di Catania. Le tre infrastrutture rientravano nel protocollo firmato a Pechino fra i rappresentanti della compagnia, sotto la supervisione della Repubblica popolare, della Regione e dell’Università Kore di Enna, che si faceva interprete di un percorso (lo aveva persino ideato) che, parola di Crisafulli, “avrebbe modificato gli assetti complessivi dell’economia siciliana, ma anche cambiato le rotte dei mercati europei”.
Nella concezione del politico, l’affermazione di un’Europa policentrica – quindi non direttamente dipendente dalle mosse di Francia e Germania – avrebbe fatto diventare la Sicilia la piattaforma centrale del Mediterraneo (“Come ai tempi dell’impero britannico” evoca Crisafulli) dove avrebbero potuto concentrarsi, oltre a quelli cinesi, anche gli interessi dell’Europa e del Nord Africa. L’ombelico del mondo. A sentirlo così, nei giorni in cui anche l’Italia saluta con stati d’animo opposti la propria adesione alla Via della Seta, ne emerge un quadro faraonico difficilmente immaginabile. Ma in realtà il progetto era avviato: “Io facevo parte dell’amministrazione della Fondazione dell’Università Kore – spiega Crisafulli -. Del Cda faceva parte anche il direttore dell’Istituto del Commercio estero in Cina, che ci ha illustrato questa opportunità e fornito i collegamenti”. Gli altri attori chiamati in causa erano la provincia di Catania e quella di Siracusa, ma anche il comune di Centuripe, l’autorità portuale di Augusta e l’interporto di Catania.
Quando è cominciato tutto?
“Con il governo Cuffaro. Ma è proseguita con il governo Lombardo. O meglio, agli inizi del governo Lombardo. C’è una certa differenza. Si fece una legge che prevedeva la realizzazione di un aeroporto intercontinentale nella piana di Catania. In virtù di questa legge, ci siamo attivati e abbiamo costruito un percorso con alcune aziende cinesi, in particolare la Hainan Airlines, che possiede una compagnia aerea, ma anche alberghi e navi in tutto il mondo”.
Era un partner affidabile?
“Altro che… La compagnia prende il nome dall’isola di Hainan, quella che sorge tra Cina e Vietnam. Svolge una grande attività sotto il profilo commerciale e turistico. Noi andammo a Pechino, loro vennero qua. Si innamorarono della possibilità di commercializzare tutte le arance che avevano visto lungo il tragitto da Enna a Catania. Così abbiamo cominciato a lavorare sulla possibilità di creare in Sicilia un nuovo sbocco commerciale”.
Perché la presenza dell’università Kore?
“Era lo strumento operativo utilizzato per semplificare il progetto. Ma il protocollo fu firmato anche dalla Regione siciliana, nella persona dell’assessore Armao, direttamente mandato da Lombardo. Poi c’era Sviluppo Italia Sicilia che fu incaricata di seguire l’iter e tutti i soggetti cinesi che facevano capo ad Hainan. Comprese le autorità. Lì non si muove foglia se non partecipa lo Stato”.
Poi cosa accadde?
“Partimmo bene, ma poi subentrò l’oblio. Perché nel contempo si affermò in Sicilia un governo parallelo. Claudio Fava in questi giorni lo ha chiamato così. Cioè quelli che tentarono in tutti i modi di condizionare le scelte politiche ed economiche della Regione. Bloccarono tutto con argomentazioni ridicole: pensavano ci fosse la mafia di mezzo. Questo ha mortificato una grande possibilità di sviluppo per l’Isola”.
Chi c’era in questo governo parallelo?
“Gli stessi di ora. Da Montante a Lumia, passando per tutta Confindustria. Avevano un atteggiamento di spocchia. Hanno fatto cadere il progetto nel dimenticatoio. Paralizzarono la Regione. Potevamo essere una testa d’ariete in questa nuova fase d’investimenti cinesi e invece siamo fanalino di coda. Forse neanche quello”.
Il porto di Augusta sarebbe dovuto diventare un hub?
“Augusta diventa hub con una legge finanziaria che si fece ai tempi del governo Prodi. Anche l’ex premier, pur non avendo mai avuto modo di affrontare l’argomento, condivideva questo disegno. Augusta aveva un dragaggio sufficiente per far attraccare le navi”.
Il destino che potrebbe toccare a Palermo…
“Che lo facciano. Il mio non è campanilismo. Ma quello che mi chiedo adesso è perché la Sicilia non possa ripercorrere quel cammino e mettere in moto i rapporti costruiti allora. Siamo fuori dal memorandum firmato tra Italia e Cina, come il Meridione d’altronde. Avremmo dovuto preparare l’incontro di Palermo con Xi Jinping con una serie di messaggi importanti, non come una semplice passerella. Era un’occasione di confronto con la seconda economia mondiale”.
Perché è così pessimista?
“Vedo che c’è un atteggiamento di retroguardia, anche da parte di alcuni dirigenti politici. Anziché guardare alle nuove opportunità offerte dagli investimenti cinesi, si passa il tempo a lamentarsi. Bisognerebbe mettere in moto l’antico virtuosismo per far tornare la Sicilia ciò che era ai tempi dell’impero britannico, quando le navi passavano da noi per poter fare gli scambi con l’oriente”.