Ho fatto un sogno questa notte.
Sarebbe meglio dire che ho avuto un incubo, ma lascio a voi l’interpretazione delle cose.
Diciamo che, ancora adesso, al risveglio, non saprei dire quale tra le due sensazioni abbia prevalso.
Un uomo era davanti a me, seduto dietro una scrivania.
Il tavolo era di quelli imperiali con i rilievi e le incisioni in oro.
L’uomo aveva davanti ai suoi occhi un pulsante rosso.
La sua mano destra era vicina al pulsante e le dita indice e medio tichettavano nervosamente come battiti di un contasecondi.
Solo alzando lo sguardo mi accorgevo di conoscere quel viso e quegli occhi glaciali concentrati sul vuoto del suo stesso ritmare cadenzato.
Era lui! Il vecchio Vlad mi era davanti e – incredibilmente – mi aveva convocato, davanti a sé, per ascoltare le mie parole.
La cosa strana dell’imbarazzante incontro era nel fatto che io gli parlassi in russo e lui mi rispondesse in italiano.
Il compito che mi era dato, nel sogno, era quello di convincerlo a non premere il pulsante.
Ma non avevo più di un minuto per portare a termine questa missione disperata.
Sentivo il sudore che colava copioso sulla fronte mentre cercavo di racimolare i pensieri volanti e dare loro una sostanza di voce.
Cominciò a parlare quasi in un sussurro di rabbia sibilante:
“Cosa altro mi resta da fare se non questo?
Ho sbagliato tutti i calcoli. Mi avevano assicurato che sarebbe stata una guerra lampo e che in tre giorni, senza neppure sparare un colpo, sarei arrivato a Kiev acclamato dalla folla ucraina.
Sarei stato il nuovo Giulio Cesare del Caucaso.
Avrei punito l’arroganza militare dell’Occidente e avrei ridato dignità e orgoglio al mio popolo.
E il popolo – sì proprio il popolo – riconoscente, avrebbe dimenticato ogni cosa della sua miserabile vita.
Avrebbe dimenticato persino la completa assenza di democrazia e le ruberie degli oligarchi miei amici.
Tutto avrei avuto in esito alla immediata e schiacciante vittoria in guerra.
Invece… eccola qui la mia guerra lampo… tra città distrutte, civili passati per le armi, bambini trucidati, una moltitudine di profughi e l’immagine carnefice di me stesso e della Madre Russia.
Ma se questa è la fine, allora che abbia fine insieme a me il mondo che solo desidera la mia morte.
Adesso sono chiuso, per sempre, in questo labirinto e solo tu puoi darmi il filo di Arianna per uscirne…”
Presi un lungo respiro per dare fiato alla risposta:
“Non mi hai dato molto tempo per replicare, ma una soluzione dovrò pure dartela prima che tu possa premere quel pulsante e distruggere ciò che resta.
Se hai ancora l’onore di chi riconosce la disfatta, hai da adempiere all’unica scelta che un uomo d’onore possa fare.
Un ex ufficiale del KGB dovrebbe ancora avere la sua pistola d’ordinanza e – se non l’hai – certo non ti verrà difficile reperirla.
Esplodi alla tua tempia – là dove i tuoi pensieri di morte si sono creati – il giusto esito del piombo.
Concludi la tua inutile vita e risparmia al mondo altre stragi.
Salverai, così, il tuo stesso Paese.
Al popolo russo resterebbe solo l’ignominia di avere avuto un uomo come te al suo vertice e quello di non averti fermato.
Su tutto scenderebbe il giudizio della Storia che – si sa – a volte riesce pure a trasformare dittatori sanguinari in eroi senza tempo…”.