Doveva essere una Finanziaria di guerra. Ma in realtà somiglia, anche tanto, alla solita Finanziaria: piena di spunti assurdi e di norme che strizzano l’occhio alle clientele e niente hanno a che fare col Coronavirus. Eppure, in nome dell’emergenza, la Regione ha deciso di destinare trenta milioni di euro alla ricapitalizzazione delle società partecipate, dall’Ast alla Sas, per “la ricostituzione del capitale sociale che dovesse essere ridotto per dare copertura alle perdite di esercizio 2020 causati dai minori ricavi per effetto della crisi economica dovuta alle misure di contrasto alla diffusione del Covid”. Un modo un po’ ingarbugliato di presentare il comma 1 dell’articolo più controverso. Quando qualcuno ha fatto notare a Gaetano Armao, assessore all’Economia, che per appurare eventuali perdite d’esercizio bisognasse attendere giugno 2021, e che la norma fosse una provocazione, il vicepresidente della Regione, con un abile guizzo, ha provato a giustificarsi: “Qui non c’è nessuna provocazione da parte del governo. Stiamo parlando di bisogni effettivi: la Sas ha tremila dipendenti e non è in grado di acquistare le mascherine per tutti”.
La natura equivoca di questa norma sta nelle cifre: inizialmente per i carrozzoni della Regione erano stati stanziati 46 milioni, che nella riscrittura, come per miracolo, sono diventati 30. “E’ uno sforzo che facciamo tutti insieme – si è giustificato Armao – Non sono interessi voluttuari per organizzare feste che possono essere più o meno fastose”. L’assessore all’Economia, accusato per l’utilizzo improprio del termine “ricapitalizzazione”, era disposto a un passo indietro anche su questo: “Vogliamo usare “sostegno finanziario”? Il nostro obiettivo è quello di raggiungere la meta, non di andare dritti”. Ha infiocchettato la soluzione coi lustrini pur di avere l’approvazione dell’aula, che è arrivata senza smuovere particolarmente le coscienze: il “voto segreto” chiesto dai Cinque Stelle (a scopo soppressivo) non si è rivelato un ostacolo ed è stato bocciato per 34 voti a 25. Segno che quando si ha voglia di fare una cosa – checché ne ridica Musumeci – si fa e basta. Con buona pace della trasparenza.
Le parole del grillino Antonio De Luca riecheggiano ancora nel vuoto: “Il Coronavirus non può essere una scusa per chiudere i buchi delle partecipate che sono stati creati dal clientelismo”. Così come quelle del collega Nuccio Di Paola: “Cosa c’entra, in piena Finanziaria d’emergenza, un articolo che parla di partecipate?”. Per la verità, a Sala d’Ercole, non ci hanno fatto molto caso. Il comma 2 della stessa norma, infatti, ha destinato 25 milioni di euro nelle casse di Riscossione Sicilia, che ne beneficerà “nelle more delle operazioni di concentrazione con Agenzia delle entrate e riscossione (ADER)”. L’ultimo giro di valzer prima della fusione. “Riscossione ha 600 dipendenti, che sono la vera forza della società – si è impuntato Armao –. Le risorse saranno destinate soprattutto a loro”. A salutare con soddisfazione il regalino a Riscossione, una società che lo scorso autunno ha evitato la liquidazione per miracolo e su cui la Regione non ha mai avuto una posizione netta (chiusura o no?), è stata anche la deputata della Lega, Marianna Caronia. La quale ha sottolineato “l’importanza di garantire il pagamento degli stipendi, quindi i servizi erogati”, ma allo stesso tempo ha ribadito che “resta comunque il tema del futuro dei dipendenti e della riscossione in Sicilia, che può essere risolto solo con la concentrazione di servizi e personale nella neonata ADER”. Nessun comunicato entusiastico degli altri partiti, che hanno preferito – giustamente – concentrarsi su questioni più “popolari” dal punto di vista del gradimento. Lodare un contributo alle partecipate è fuori moda.
Ma ieri è successo anche altro. Con l’articolo 11, la Regione ha autorizzato “interventi di manutenzione straordinaria, restauro e risanamento conservativo degli immobili appartenenti al patrimonio e al demanio regionale”, investendo all’uopo 50 milioni. Già, si tratta dei famosi immobili di cui non esiste un censimento completo. Giacché quello affidato oltre dieci anni fa a Sicilia Patrimonio Immobiliare, al centro di uno scandalo milionario, e conservato a lungo senza password nei server della Spi (una partecipata in liquidazione), era stato dichiarato “inservibile”. Lo aveva detto il solito assessore Armao, durante un’audizione in commissione regionale Antimafia. Era settembre.
Ma ieri in aula accade l’imponderabile. A Di Paola, che chiede lumi sulla questione, Armao risponde che “non solo il database è stato riacquisito grazie allo sforzo di questo governo, ma è utilizzabile. Abbiamo perfettamente la perimetrazione del patrimonio. Ma non ha letto i giornali?”. In realtà le ultime notizie relative a Sicilia Patrimonio Immobiliare parlano d’altro. E l’unico accenno alla mappatura degli immobili proveniva dalla relazione al Defr 2020-22 della Corte dei Conti, illustrata a febbraio in commissione Bilancio. Si diceva, nella fattispecie, che la nuova banca dati, più volte sollecitata dalla magistratura contabile, sarebbe stata realizzata grazie a un’intesa raggiunta dal Dipartimento Finanze e Credito con l’Agenzia del Demanio, pur rimanendo ignoti i costi dell’operazione. Ma quanto pare il censimento nuovo di zecca non serve più.
C’è quello realizzato dalla Spi, costato 110 milioni di euro, e al centro di uno degli scandali più feroci dell’ultimo ventennio. In cui sono intervenuti politici e avventurieri di professione, ma quasi mai la magistratura. Al rifacimento di questi immobili individuati da Sicilia Patrimonio Immobiliare verranno destinati, quindi, 50 milioni. Si tratta di piccole riparazioni. E anche stavolta l’aula ha detto no a due proposte dei Cinque Stelle: in primis, quella di dirottare la dotazione al rifacimento delle facciate delle abitazioni private dei siciliani (già destinatarie di 50 milioni); in secondo luogo, di aggiungere una postilla all’apparenza insignificante. “Al comma 1 – recitava l’emendamento – dopo le parole “e al demanio regionale” sono aggiunte le parole “per i quali siano stati aggiornati i dati relativi al valore economico contenuti nel censimento informatizzato del patrimonio immobiliare regionale effettuato dalla Spi”. Esattamente quello che sosteneva Armao. Ma l’aula, con voto palese, ha bocciato anche questo. Dopo aver raccolto il parere negativo dell’assessore. Tutto molto strano, ma terribilmente vero.