L’assessore Ruggero Razza, finito nel mirino dei partiti della stessa maggioranza, pubblicamente non si espone. Ha mandato avanti i suoi pretori, utilizzati a mo’ di parafulmine in attesa di un confronto vero coi deputati. Si tratta dell’ex dirigente Tuccio D’Urso, individuato da Musumeci per la gestione diretta della struttura commissariale anti-Covid, e in modo particolare per il potenziamento degli ospedali; Mario La Rocca, capo dipartimento Pianificazione strategica dell’assessorato; e Marco Intravaia, che manda i messaggini ai sindaci per assicurare che Razza ha disposto la realizzazione di ospedali e case di comunità all’interno dei territori di loro competenza, e che se tutto dovesse saltare sarà colpa dell’Ars. Una macchina da guerra che però è già andata in affanno. E attorno alla quale rischia di consumarsi una guerra fratricida che non investe solo le sorti del centrodestra, ormai polarizzato fra Musumeci e Miccichè, ma soprattutto il futuro della sanità siciliana. Che ha 800 milioni da spendere e poco tempo (fino al 28 febbraio) per decidere come farlo.
La guerra del Pnrr è certamente la più scabrosa. Perfino il vescovo di Caltanissetta, mons. Mario Russotto, è intervenuto nella polemica per ammonire Razza e Musumeci: “Ci ritroviamo davanti a uno squallido spettacolo in cui gli attori principali non sono i cittadini ma i politici che poco sanno dei loro stessi elettori e forse cercano soltanto di incrementare i propri bacini elettorali”. Il riferimento del prelato è al fatto che nella ricognizione predisposta dall’assessorato alla Salute, nessuno dei 39 ospedali di comunità sorgerà a Caltanissetta. Nessuno. “Un’azione del genere – prosegue Russotto – toglierebbe ogni possibilità di sviluppo e di rilancio. Piuttosto che offrire la possibilità di un deciso salto di qualità, l’attuazione di questo progetto equivarrebbe ad un affossamento e deprezzamento della popolazione di questo territorio”. D’accordo con lui, manco a dirlo, è Michele Mancuso, parlamentare regionale di Forza Italia. Nisseno e vicinissimo a Gianfranco Micciché: “Non accetto che certa politica continua a tagliarci le gambe, proprio adesso che dall’Unione europea, col Pnrr, si incentiva al potenziamento delle strutture sanitarie. Non permetterò che lo scippo si compia”.
E’ la medesima operazione di controllo invocata qualche giorno fa da un altro pezzo grosso di Forza Italia: la presidente della commissione Salute dell’Ars, Margherita La Rocca Ruvolo. La quale ha promesso di vigilare su ogni singolo euro: “La commissione non è un fastidio da evitare, ma un imprescindibile luogo di confronto istituzionale. Che deve avere le risposte che chiede”. Attorno all’operato del governo Musumeci – è questo il punto – regna un clima di totale sfiducia. Il fatto che Razza abbia mandato un piano (pre)compilato a Roma, ancor prima di fornire i necessari chiarimenti ai deputati, ha fatto suonare un campanello d’allarme. Il fatto che Intravaia, come rivelato da Micciché a Buttanissima, abbia sponsorizzato la ricognizione di Razza, facendo ricadere sull’Ars eventuali ‘tagli’, ha indispettito la coalizione. Non solo Micciché (“Qualche anno fa da un messaggio del genere sarebbe partita un’inchiesta per mafia”, ha detto il presidente dell’Ars), ma anche l’autonomista Roberto Di Mauro, che parla di “operazione scorrettezza”.
La tensione è elevatissima, e tutto lascia presupporre che l’Ars la tiri fuori già oggi, nel confronto in programma con Musumeci all’Ars. All’ordine del giorno c’è la crisi di governo, ma sulla sanità qualcosa dovrà quagliare entro il 28 febbraio, termine ultimo per la presentazione del piano aggiornato, con le cartelle allegate, dei 238 interventi per ospedali e case di comunità, oltre che per le Cot (centrali operative territoriali). Secondo il Movimento 5 Stelle si tratta di un “disastro annunciato” che “rischia di minare alle fondamenta una parte importante del piano nazionale di ripresa e resilienza”. “Tutte le Aziende sanitarie siciliane – spiega Pasqua – sono a corto di personale tecnico. C’è una carenza di circa due terzi della dotazione organica, parliamo almeno di 200 persone in meno tra ingegneri, geometri e collaboratori tecnici e amministrativi, cosa che mette gli uffici tecnici delle Asp nelle condizioni di non potersi occupare nemmeno delle questioni ordinarie, figuriamoci se in pochissimi giorni riusciranno a mettere a punto schede di interventi anche abbastanza complessi. Rispettare la scadenza è impossibile. A nessuno, però, venga in mente di scaricare su questi dipendenti le colpe di forse inevitabili sbagli. Non accetteremmo assolutamente che diventino i capri espiatori di inadempienze che sono esclusivamente dell’assessore Razza e del governo Musumeci”.
“Razza – conclude Pasqua – sapeva già settembre di questa scadenza. Doveva muoversi per tempo, pigiando a tavoletta sul fronte assunzioni, puntando sui concorsi a soli titoli, che potevano essere espletati velocemente. Invece non ha fatto nulla”. A proposito di assunzioni: non è ancora chiaro con quali figure professionali saranno resi operativi i 39 ospedali e le 146 case di comunità previste dalla missione 6 del Pnrr. Non bastano i 17 mila profili indicati nel piano del fabbisogno dell’assessorato, che nei prossimi tre anni dovrebbero corrispondere ad altrettante assunzioni. Secondo i sindacati, infatti, a stento copriranno le voragini d’organico già presenti nel sistema sanitario. Serviranno altri uomini e donne. Su come assumerli potrebbe scatenarsi un altro balletto che, comunque, rischia di andare oltre quest’esperienza di governo. Intanto i precari Covid, il cui contratto è in scadenza il 31 marzo con la fine dell’emergenza (tranne per pochi casi), sono in attesa di conoscere il proprio futuro. La loro stabilizzazione è un tema che si proietta sulle prossime elezioni, dal momento che si tratta di una platea vastissima, circa 8 mila persone, in grado di garantire un ghiotto “scambio elettorale”.
Ma il protagonista controverso della guerra della sanità di questi giorni è l’ingegnere Tuccio D’Urso. L’ex dirigente alla Regione, che già ricopre il delicatissimo ruolo di soggetto attuatore per l’emergenza Covid, e che dovrebbe occuparsi H24 dell’apertura di reparti e pronto soccorso, ha tirato fuori dal cilindro il suo cavallo di battaglia: una votazione (ormai) risalente all’agosto 2020 in cui l’Ars bocciò una norma voluta dal governo, che prevedeva la proroga dei contratti per tutti i dirigenti “di buona volontà” che avessero raggiunto il limite dei 70 anni. L’ingegnere ritiene sia stata falsificata. E oggi, approfittando della penuria di tecnici per l’attuazione del Pnrr, ha ridato la colpa alla politica e a un trio in particolare, composto dal presidente dell’Ars Miccichè e dai capigruppo di Pd e 5 Stelle dell’epoca, Giuseppe Lupo e Giorgio Pasqua. Forza Italia ha chiesto a Musumeci di destituirlo dall’incarico di soggetto attuatore per aver mancato di rispetto alle istituzioni e al parlamento, ma a sostegno del “povero” D’Urso è nato persino un gruppo sui social: #giulemanidatucciodurso. “Mi sento come un soldato in prima linea – ha scritto lui – che non deve schivare in ogni momento i colpi del nemico ma il fuoco amico di chi, in teoria dalla tua stessa parte, invece ti spara alle spalle”. Dall’interesse pubblico a quello personale è un attimo.
D’Urso, in passato, si è reso celebre per le continue frizioni coi politici: con Nello Dipasquale del Pd, che presentò un esposto in Procura per conoscere i criteri per l’assegnazione degli incarichi professionali relativi al potenziamento degli ospedali; con Cracolici, beccato a giocare al solitario in commissione; con Micciché, per la storia di quella maledetta votazione all’Ars; e persino con il vicegovernatore Armao, quando arrivò a denunciare lo spreco degli affitti versati a un fondo immobiliare (e indirizzati alla Cayman) per giustificare la necessità di realizzare un mega centro direzionale a Palermo (il progetto è il suo). La polemica fa parte del personaggio. Il quale, oggi, si trincera dietro i numeri per esaltare il suo operato alla guida della struttura commissariale: “Per la parte del piano finanziato da Roma (69 interventi in 30 strutture ospedaliere dell’isola), ad oggi siamo al 100% tra realizzati, in corso di esecuzione e appaltati, con solo tre progetti in gara. Per quelli finanziati dalla Regione abbiamo il 100% dei progetti e siamo pronti ad appaltare”, ha detto a ‘La Sicilia’. Replicando, indirettamente, ai rilievi del Ministero della Salute che aveva segnalato “incongruenze” nei dati trasmessi, ma soprattutto la lievitazione della spesa (passata da 128 a 237 milioni complessivi). E’ pure vero che la Sicilia è (ri)sprofondata in zona arancione perché dei 571 nuovi posti letto previsti nei reparti di intensiva e sub-intensiva, ne sono stati completati solo 95.
L’ultimo esponente della triade di Razza, invece, è Mario La Rocca. Non ha un’ampia fan zone su Facebook, ma è quello che in commissione Saluta osa metterci la faccia. L’ultima volta, però, non riuscì a fugare i dubbi su un paio di questioni: la corrispondenza fra il numero di posti letto considerati “operativi” sul sito della Regione e quelli “attivi” sulla piattaforma Gecos; e la criticità, poi smentita, relativa al ricovero di alcuni pazienti nei reparti Covid “pur in assenza di dichiarata positività al tampone”. “E’ ormai chiaro – fu la conclusione di Cracolici dopo aver assistito a quell’audizione – che sia per i credenti che per i non credenti l’unica possibilità resta quella di rivolgersi a Gesù Cristo”. La sanità siciliana, fatta a pezzi da un’emergenza che nessuno poteva prevedere, oggi deve fare i conti con la capacità di programmare il futuro. La strategia del “controllo militare” (cit. Pd) da parte del cerchio magico del presidente, pone una serie di interrogativi e alimenta uno scontro che per buona parte della legislatura era rimasto sottaciuto. Ma che rischia di incrinare una volta per tutte l’immagine casta del “centrodestro unito” e quella, fin troppo audace, di una sanità pubblica all’avanguardia.