“L’unico desiderio che diventa diritto è quello di non far morire le persone”. Con questa tesi Nello Musumeci si è presentato, ieri, di fronte ai giornalisti per spiegare la nuova virata costrizionista. Per imprimere un tocco di sicilianità “superba” a una misura che il governo nazionale aveva già concesso senza fiatare, la zona rossa, ben consapevole che il grido d’appello più disperato era quello proveniente da alcuni comuni, su tutti Palermo e Messina. Prima di oggi, quando le misure saranno valide per tutto il territorio regionale – non era facile delimitare i singoli comuni in sofferenza, così si è preferito blindare in casa cinque milioni di persone – già una decina, fra città e piccoli paesi, avevano assaporato l’ebbrezza del divieto: da Gela, che nell’ultima settimana aveva subito un’impennata anomala di contagi, a Messina, dove per il sindaco De Luca non è mai troppo. Ieri ha scritto un’altra ordinanza per chiudere tutte le scuole di ogni ordine e grado fino al 31 gennaio. Poi, in teoria, dovrebbe dimettersi, in segno di protesta contro “la gestione politico-mafiosa della sanità”.

Ma questa è la “guerra” di Musumeci contro il Covid. Il governatore ha impresso una nuova accelerazione negli ultimi giorni, dopo aver osservato che il fenomeno è fuori controllo. In questa “guerra” però si giocano tre partite: la prima è sanitaria, la seconda economica e la terza sociale. E nessuna delle tre va trascurata. Chiaro, quella sanitaria determina un’emergenza sotto il profilo numerico. Il dato di ieri, al di là del numero dei morti, registra sedici nuovi ingressi in Terapia intensiva, dove oggi sono presenti 212 persone. Circa duecento in meno rispetto alla disponibilità del piano regionale del 30 novembre, che resta ancora valido ma che bisogna, al contempo, monitorare. L’assessore Razza ha ribadito a più riprese che gli ospedali, al momento, non sono in sofferenza.

Secondo i dati comunicati all’Agenas, l’agenzia nazionale per i servizi regionali sanitari, siamo sotto la soglia di saturazione (30%) dei reparti di rianimazione: la Sicilia è al 26%, con oltre 800 posti comunicati a Roma, a cui si arriverebbe soltanto con la sospensione dell’attività ordinaria (che Razza ha escluso categoricamente). Tuttavia non è abbastanza, dato che anche i tecnici del Comitato tecnico-scientifico, nella loro ultima relazione, evidenziavano come la funzionalità dei reparti di Terapia intensiva, e la copertura dei posti letto stimata, dipendano da altri fattori: Vista la carenza accertata di 247 medici anestesisti rianimatori, si calcola che le potenzialità massimali e sotto stress di posti letto intensivi operativi non superi i 550”. Ci sarebbe da approfondire anche il capitolo vaccini, dove i nostri sanitari hanno dimostrato un elevato livello di preparazione, così come molte Asp, ma la carenza di scorte in magazzino ha portato a sospendere per qualche giorno la campagna: ripartirà fra oggi e domani con le prime dosi di richiamo.

Va peggio sul fronte dei nuovi focolai – ne sono esplosi alcuni, a Palermo, anche all’interno delle strutture ospedaliere – e del tracciamento: le Usca, le unità specialistiche di continuità assistenziale, non riescono a salire ai contatti stretti di un buon numero di “positivi” (siamo all’86%). Tanto che il Pd ha trovato uno spiraglio per appellarsi: “Ci saremmo aspettati che il presidente Musumeci in conferenza stampa annunciasse nuove e più efficaci misure di contrasto al Covid – ha detto il capogruppo, Giuseppe Lupo -. Ci saremmo aspettati comunicazioni sul potenziamento delle Usca, sul piano dei trasporti pubblici, su un più efficace programma di vaccinazioni rivolto esclusivamente ai soggetti aventi diritto, su un’azione efficiente di screening in particolare della popolazione scolastica, sul potenziamento delle terapie intensive. Invece di tutto questo non c’è nulla, c’è solo un ‘invito alla prudenza’ rivolto ai cittadini”. E per la verità un piano di screening della popolazione scolastico, cominciato in fretta e furia il 14, quando era chiaro che avrebbero riaperto elementari e prime medie.

E poi c’è la seconda partita, quella a cui Musumeci, non avendo il conforto delle misure allestite con l’ultima Finanziaria di cartone, anche ieri non ha fatto accenno: riguarda l’economia. Riguarda la sofferenza e le cicatrici rimaste impresse su migliaia di aziende e lavoratori. Che dopo aver superato a fatica il lockdown di marzo (non tutti ce l’hanno fatta, 6.400 nell’ambito del commercio hanno dovuto chiudere), dovranno fare sacrifici per almeno altre due settimane. Fino al 31 gennaio, infatti, rimangono aperti solo i “negozi essenziali”: alimentari, farmacie e similari, negozi di intimo e per bambini, bar e ristoranti (per l’asporto e il domicilio). Tra quelli che tornano precipitosamente in ghiaccio, ci sono ad esempio i negozi d’abbigliamento. Che, fra l’altro, avevano cominciato coi saldi una manciata di giorni.  Il “blocco”, secondo una rilevazione di Confesercenti, potrebbe costare mezzo miliardo di perdite. Due società su tre sostengono che potrebbero essere costrette a chiudere o, quanto meno, a licenziare. Non adesso, ma a partire dal 31 marzo, quando sarà possibile farlo.

L’associazione di categoria ha fatto compilare un questionario a una settantina di aziende, spalmate fra Palermo e Agrigento, che segnalano un crollo del fatturato di almeno il 50% rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. “Un risultato estremamente preoccupante – ha spiegato Vittorio Messina, presidente di Confesercenti Sicilia, a Repubblica – specie perché siamo all’avvio di quello che sempre più appare come un nuovo lockdown e che colpirà ancora una volta il settore dell’abbigliamento e delle calzature che fino a oggi non è stato tenuto nella giusta considerazione per i ristori. Sono stime che pesano sul presente e che creano grosse nubi all’orizzonte per la ripresa”.

Un grido d’allarme è giunto pure dalla presidente di Confcommercio Palermo, Patrizia Di Dio, che è anche un’imprenditrice del settore moda: “Da ieri sera i negozi sono chiusi. Con amarezza abbiamo spento le luci e tirato giù le saracinesche. L’ordinanza del Presidente della Regione Siciliana parla sino al 31 gennaio, ma per moltissime attività commerciali questa zona rossa potrebbe essere il colpo ferale. C’è – ed è alto – il rischio che chiudano per sempre, schiacciate dal peso di una crisi economica non più sostenibile che dura da un anno. Per colpa della inadeguata gestione di un’emergenza sanitaria a cui le istituzioni preposte non hanno saputo far fronte in modo equo e funzionale al risultato. Se la chiusura delle nostre attività risponde a un’esigenza di salute primaria e straordinaria, lo Stato deve altresì riconoscere gli aiuti e deve farlo con provvedimenti chiari. Non tollereremo altri ritardi ed altre incongruenze a danno sempre delle imprese”.

Infine c’è la partita che risalta meno all’occhio: quella della socialità. Viene dopo le vite umane, ma potrebbe avere effetti devastanti quanto, e semmai, si arrivasse a una riapertura. La cancellazione delle visite ai parenti, in questo contesto, rischia di rappresentare una crudeltà inutile. Impedire ai figli di recarsi dai genitori per trascorrere del tempo insieme, o viceversa, rappresenta un’inutile idiozia, ma anche una stortura giuridica, come ha segnalato l’avvocato Stefano Giordano in un suo intervento sui social: “Le restrizioni alla zona rossa introdotte da Musumeci sono, a mio avviso, costituzionalmente illegittime, perché le limitazioni alla circolazione non possono essere introdotte se non con legge ordinaria dello Stato (art.16 Costituzione). Un’eventuale impugnazione al Tar potrebbe fare saltare il divieto di visita ad amici e parenti. Spero che la il presidente della Regione siciliana modifichi, motu proprio, un provvedimento che risulta iniquo laddove non consente la visita ai prossimi congiunti”.

Su quest’ultimo elemento si è fatto un gran baccano e una discreta confusione, laddove la conferenza stampa del governo non è affatto servita a chiarire. Fa fede il testo dell’ordinanza, che vieta la visita a parenti ed amici e ammette gli spostamenti per i singoli casi contemplati dal provvedimento stesso: cioè motivi di lavoro, salute o necessità. “Forzare” l’escamotage non è certamente un buon viatico per ottenere collaborazione a tutti i livelli: dai cittadini ma anche dalle forze dell’ordine, che prima vengono implorate a rafforzare i controlli, e adesso si troveranno ad agire sulla base di alcune letture discrezionali, e comunque parziali, che non faciliteranno il compito di nessuno. Nella speranza che questo virus passi davvero, che Musumeci riprenda il controllo della politica e possa dedicarsi finalmente all’ordinario. La vita della Regione, e non quella dei suoi singoli abitanti.