A sostenere il ministro della Giustizia Bonafede sul blocco della prescrizione dopo il primo grado di giudizio non è rimasto nient’altro che LeU. La quarta gamba del governo, dopo la formazione dell’Italia Viva di Renzi, si allinea alla proposta del Guardasigilli. Ed è il leader Pietro Grasso, in un’intervista al Fatto Quotidiano, a esporsi in prima persona: “Bonafede – spiega Grasso – ha detto più volte che la crisi dei gialloverdi è nata dal veto della Lega sulla riforma della giustizia. Ecco, sembra quasi che la nuova maggioranza voglia ricalcare la linea di Salvini e compagni”. “Io chiedevo il blocco della prescrizione dopo la sentenza di primo grado già quando ero magistrato. È una questione di coerenza personale. Le dico di più: era nel programma del Pd nel 2013. E lo stesso Andrea Orlando, quando presiedeva il Forum Giustizia, era perfettamente d’accordo con questo principio”. Grasso non si spiega il perché di questo repentino cambio di marcia del vice segretario del Pd: “Probabilmente vuole difendere la riforma che ha fatto approvare da ministro nella passata legislatura, che ha stabilito il congelamento della prescrizione per 18 mesi. È stata una mediazione politica al ribasso: in quella maggioranza c’era Alfano… Il risultato è che sono stati allungati i tempi della prescrizione senza minimamente accorciare quelli dei processi. Che è invece l’obiettivo della legge di cui discutiamo ora”.
Il fine processo mai? “La norma sulla prescrizione – ha argomentato l’ex presidente del Senato – serve a stabilire un punto fermo da cui partire per intervenire sull’intero sistema processuale. L’obiettivo di fondo è far arrivare meno procedimenti possibili al dibattimento. La sfida è migliorare l’efficienza del sistema, riuscendo a preservare le garanzie della difesa”. Sull’ipotesi ventilata da Bonafede – ossia che per chiudere i processi serviranno quattro anni – Grassi si mostra più scettico: “Alle attuali condizioni del processo, è un obiettivo totalmente utopico. Se si facessero tutti gli interventi giusti, forse si potrebbe arrivare a rispettare i termini della legge Pinto: quattro anni per il primo grado e un anno a testa per appello e Cassazione. Sei anni in tutto. Non bisogna porre obiettivi irraggiungibili, altrimenti poi si viene accusati di non mantenere le promesse”.