La Federico II apre le menti e fa pulsare i cuori. La missione culturale assunta dalla fondazione che fa capo all’Ars, da alcuni mesi a questa parte, ha permesso alla Sicilia (e non solo a Palermo) di riappropriarsi della sua “potenza” commerciale, economica e culturale con la mostra dedicata ai pittori fiamminghi; di riaffermare la sua vocazione identitaria, raccogliendo in giro per l’Italia tutte le rappresentazioni che potevano mirare a rafforzarla, come testimonia la mostra “Rosalia – Eris in peste patrona”; di rilanciare l’importanza di un tema (quello dell’accoglienza e dei migranti) che non bisogna mai dare per scontato, e l’ha fatto con le installazioni di JR e il concerto multietnico Insideout. Ha trasmesso dei messaggi. E non è finita.
Tanto che in questi giorni alla Kalsa, nel progetto ribattezzato “Pangrel 2018”, la Federico II – presidente Gianfranco Micciché e direttore generale Patrizia Monterosso – sta concludendo un’operazione improba: riportare “dentro” palazzo Reale le periferie abbellite, sensate, riqualificate. Piene di murales. Cancellare il degrado con l’arte: potremmo riassumerlo così o in mille altri modi. “Vogliamo andare a recuperare i concetti di arte e di bellezza in quelle zone che sono a rischio abbandono. Che, da un lato, testimoniano di antiche bellezze della città, ma che oggi stridono fortemente con la bruttura dell’abbandono” spiega la Monterosso. In questo contesto entrano in scena quattro grandi artisti, dalla consumata esperienza panel-europea, che danno una mano, s’inventano una pennellata, donano un senso alle cose. “E’ quasi un’operazione civica, un processo di riqualificazione urbana, che porterà gli sguardi a posarsi – nuovamente – su alcuni prospetti che risultavano senza significato, senza storia, praticamente morti”.
Gli artefici di Pangrel, che è ormai in fase di ultimazione sui muri di piazza Ventimiglia, a Palermo, sono loro: Gabriella Falsini con Nico, il bimbo con il suo drago a dondolo; Basik, che usa le mani come metafora dell’accoglienza, in un gioco/contrasto di inclusione/esclusione con la cornice della parete; Rosk e Loste con il Santo Urbano, una giovane donna dai tratti non europei cui viene ridata dignità e fierezza (ricordate l’apertura e i migranti?). Queste tre opere sorgono sulle facciate brutte e consunte della vecchia edilizia popolare. E infine, su un muro 28×16, davanti al quale hanno sempre regnato i cassonetti della spazzatura, è comparso l’affresco del Trionfo della Morte, ad opera di Mbre Fats.
“La Kalsa, con tutto il rispetto per i cittadini che abitano in quegli edifici, rivela un contrasto forte tra un passato meraviglioso e un presente deleterio. Ed è bello vedere che venga trasformata in una galleria a cielo aperto – esulta Patrizia Monterosso – E’ questo il significato che volevamo. La mia idea, che nessuno può scipparmi, è il “rimbalzo” tra l’attività interna dei palazzi e la coniugazione con l’esterno. E’ un rimando dinamico che metteremo in mostra il prossimo 17 novembre a Palazzo Reale, quando saranno esposti i bozzetti dei vari artisti che rappresentano, il “prima”, il “durante” e il “dopo” di queste realizzazioni. Non si tratta di uno spot, ma di un evento, destinato a proseguire per il prossimo anno e mezzo. Dopo “Pangrel 2018” – svela il direttore generale della Federico II – ci sarà “Pangrel 2019”, ancora alla Kalsa. L’idea è farlo in prossimità delle scuole del quartiere, per lasciare una traccia ancora più incisiva. A palazzo Reale porteremo un’attenzione per l’esterno, una sottolineatura dell’arte può rendere bella la nostra terra, una lente d’ingrandimento per leggere quello che non va e va aggiustato. E chissà, in futuro potremmo aprirci ad altre città”.
Il muro 28×16 sorge di fronte all’Oratorio dei Bianchi, quello in cui una vecchia confraternita accoglieva e consolava i condannati della Santa Inquisizione nei giorni che li separavano dall’esecuzione. E’ come se l’arte, in questo luogo, diventasse pure lei metafora di consolazione, ingentilimento, progressiva comprensione: “Non è un caso che la nostra attività di riqualificazione, attraverso il modello della street art – spiega la Monterosso – approda alla Kalsa, che gli arabi chiamavano “Eletta”, che adesso eletta non lo è più. Il significato dell’oratorio, che assurgeva a simbolo di indicazione del dolore dei condannati e riservava la propria attenzione alle atrocità compiute sugli uomini, in questo modo viene fatto riecheggiare in modo forte”. “Il fatto di aver fatto ricorso ad artisti giovani, che hanno avuto esperienza a Berlino, Londra e New York, per me significa nutrire grande rispetto per il territorio – prosegue la Monterosso nella sua analisi – Uscire dal palazzo e addentrarsi nella città eleva il senso civico. L’arte elimina le differenze. Questo è un messaggio culturale, di policy più che politico, e per questo molto più forte. E’ il messaggio del funzionamento del valore dell’umanità”.
E la Federico II in questi ultimi mesi ha fatto vibrare parecchie corde. Ha rivoluzionato la fruizione di Palazzo dei Normanni, riaperto il portone centrale dopo un secolo, organizzato mostre ed eventi. “Riacquista – per dirla con la dottoressa Monterosso – un vecchio significato nella concezione urbanistica della città, come centro propulsore, come culla storica della cultura. La nuova apertura da piazza del Parlamento, oltre a essere la riconquista della bellezza e della storia, rappresenta il palazzo come varco nella città”. E nella vita di tutti i palermitani.