Le cliniche private non hanno budget sufficiente e scaricano i pazienti nei corridoi, già intasati, degli ospedali, come Villa Sofia o il Cervello, dove la gente muore anche perché abbandonata sulle barelle, al freddo e al gelo. I centri dialisi, ormai ridotti allo stremo, alzano le mani e minacciano di lasciare senza assistenza quattromila pazienti, tutti a rischio. Specialisti e laboratori convenzionati – soffocati dalle disastrose tariffe imposte il 30 dicembre dal governo Meloni – hanno sospeso le prestazioni per conto del servizio sanitario: “Lavorare sottocosto per noi significa fallire”, hanno fatto sapere, annunciando manifestazioni a partire da martedì 14 gennaio. E’ uno scenario di guerra quello che la Sicilia vive in questo inizio d’anno. E, come in tutte le guerre, affiora pure un disgustoso quanto insopportabile mercato nero. Quello dei privilegi. Si scopre infatti che, mentre la sanità cade a pezzi, anche per mancanza di personale, quarantanove professionisti – tra medici, farmacisti e biologi – sono stati sottratti al territorio e “comandati” nei comodi uffici di due assessorati regionali: 37 alla Salute e 12 all’Economia. Alcuni nomi dicono tutto: tra i quarantanove superfortunati c’è la moglie del sindaco di Palermo, Roberto Lagalla; la figlia di Salvatore Iacolino, numero uno di piazza Ottavio Ziino; il cugino del forzista Edy Tamajo, assessore alle Attività produttive e titolare di un pacchetto di voti e preferenze così consistente da fargli credere che, quasi certamente, sarà lui il prossimo presidente della Regione.
Stando al racconto di Repubblica – il giornale che ha sollevato il caso – medici, biologi e farmacisti assegnati negli ultimi tempi agli uffici erano stati già regolarmente assunti nei rispettivi reparti: Francesco Geraci, il cugino di Tamajo, era ad esempio medico al Pronto soccorso di Villa Sofia. Ma, a partire da quest’anno, i quarantanove “comandati” volevano essere stabilizzati nei nuovi posti di lavoro. E, forti dei loro santi protettori, stavano per riuscirci. Solo che la pubblicazione della notizia da parte di Repubblica ha messo in allarme il governatore Renato Schifani. Il quale, manco a dirlo, ha bloccato tutto: dare via libera a un privilegio mentre la sanità attraversa uno dei momenti più neri – nei posti di frontiera mancano all’appello 1500 camici bianchi – avrebbe significato, secondo il presidente della Regione, prendere a pesci in faccia non solo i pazienti, costretti a un calvario quotidiano e mortificante, ma anche quei medici e quegli infermieri che negli ospedali e nei presidi sanitari, pur tra mille difficoltà, cercano comunque di garantire la salute dei cittadini. “L’iniziativa – ha tagliato corto Schifani – appare irrituale e non in linea con la pianificazione strategica che questa amministrazione ha avviato. Non si comprende l’urgenza e la modalità della proposta avanzata senza il necessario approfondimento e in assenza di un confronto strutturato con gli organi competenti”.
In assenza dei controlli istituzionali, ormai spetta ai giornali sollevare le pietre sotto le quali si annidano i vermi del privilegio e della spregiudicatezza. L’edizione palermitana di Repubblica ha alzato la pietra dei “comandati”, mentre il “Domani”, quotidiano nazionale, ha rivelato gli affari – a dir poco sorprendenti – conclusi da Maurizio Scaglione, super pagnottista di Sicilia, nelle segrete stanze di assessorati ed enti partecipati dalla Regione. Affari che, in due anni, hanno consentito alle quattro società di comunicazione, messe in piedi da Scaglione, di incassare oltre mezzo milione di euro. Dei traccheggi di questo faccendiere, travestito da editore, non si era accorto nessuno. Anzi. Politici vanitosi, come Alessandro Aricò, assessore fru fru di strade e autostrade, facevano a gara per stendergli ai piedi tappeti d’oro. Anche superburocrati di lunga navigazione, come Dario Cartabellotta, si compiacevano di apparire nel suo giornaletto, magari con l’ovvia e malinconica illusione di contare qualcosa nel meraviglioso mondo dell’informazione. E non evitavano di frequentare le sue stanze nemmeno i cosiddetti uomini di cultura, tutta gente che credevamo illuminata dall’arte, dalla musica, dalle buone letture, come Marco Betta, sovrintendente del Teatro Massimo. Vanitas vanitatum, avrebbe sentenziato il libro dell’Ecclesiaste. O forse no. E’ il richiamo del sottobosco. Quel sottobosco politico all’ombra del quale nascono e si alimentano privilegi e velleità di una classe dirigente la cui unica dimensione è, quasi sempre, la modestia. O la mediocrità.