Piccoli pagnottisti crescono. Non hanno ancora raggiunto i record di un Gaetano Armao con sessanta mila euro all’anno bianchi come il latte; e nemmeno i tre piatti ripieni di denaro pubblico nei quali attingeva Andrea Peria al tempo in cui ricopriva illegittimamente la carica di sovrintendente dell’Orchestra sinfonica siciliana. Ma le new entry della comunicazione sanno a quale santo votarsi e sanno già come rastrellare appalti e incarichi lautamente retribuiti. Certo, commettono anche qualche ingenuità grossolana, come quella di nascondere – forse per un eccesso di rossore – il decreto di nomina per il Sicilia Jazz Festival, firmato dall’assessore Elvira Amata, braccio operativo della corrente turistica di Fratelli d’Italia. Ma per il resto i nuovi pagnottisti sanno farsi valere. Hanno, davanti ad ogni porta, la chiave giusta per aprirla.
Partiamo da Sicilia Jazz Festival. All’assessorato del Turismo spadroneggiano, come si sa, i patrioti direttamente controllati da un gerarca superiore noto alle cronache come “il Balilla”. Il 16 maggio scorso il dirigente generale, Maria Concetta Antinoro, pubblica “l’Avviso di indagine di mercato per la progettazione e la realizzazione dei servizi di comunicazione e promozione della manifestazione a titolarità Sicilia Jazz Festival”. Spesa prevista: 140 mila euro. Il colpo grosso lo incassa agevolmente – molto agevolmente – Public ADV, un’agenzia di “comunicazione istituzionale e politica” che, a giudicare dai clienti esibiti sulla prima pagina del sito, è più politica che istituzionale: è stata scelta infatti da Fratelli d’Italia, una marca e una garanzia; dalla Sicilia Film Commission, il feudo esclusivo del Balilla gestito dall’inamovibile Nicola Tarantino; dalla VM Agency, il gruppo di Vincenzo Montanelli al quale il Balilla – sempre lui – ha consegnato, nei tempi leonini di SeeSicily, oltre novecentomila euro per la comunicazione e l’organizzazione del Bellini International Context.
E non finisce qui: l’uomo chiave di Public ADV è Andrea La Barbera, project manager e web designer il quale, manco è dirlo, è anche co-founder di Tivitti, altra agenzia co-fondata con Mauro La Mantia, non a caso marito di Carolina Varchi, deputata di Fratelli d’Italia, in progress per diventare la spalla del Balilla su Palermo. Servono altri dettagli? Piccoli pagnottisti crescono e non hanno bisogno del Plasmon: sanno come nutrirsi. La comunicazione li alimenta, la fiamma tricolore li riscalda.
Trovano invece nutrimento presso il Corsorzio per le Autostrade Siciliane, il famigerato Cas, i ragazzi un poco più grandicelli – e anche un poco più spregiudicati – che hanno ottenuto un appalto per 24 mesi alla modica cifra di 120 mila euro. Sono i ragazzi de “La Digitale”, una società di via Emerico Amari, a Palermo, alla quale è stato affidato “il servizio di comunicazione, aventi (sic) ad oggetto l’attivazione di canali di comunicazione social o di messaggistica dedicata con i quali rendere all’utenza delle tratte autostradali in concessione”.
Dalla cespugliosa e sgrammaticata prosa del decreto dirigenziale (numero 69 del 24 maggio 2024) non si capisce quali servizi “La Digitale” potrà e dovrà rendere ai poveri automobilisti costretti a percorrere le sderenate autostrade del Consorzio. Forse due o tre post su Facebook o Instagram con le foto del direttore generale, Calogero Franco Fazio, e del geometra Baldassare Arrigo, responsabile unico del progetto (lo chiamano progetto per non chiamarlo scandalo). Ma il dettaglio che allarma è un altro: questa scempiaggine è stata avallata, approvata e controfirmata dall’assessore alle Infrastrutture, Alessandro Aricò. Il quale, come titolare dell’organo di controllo, dovrebbe battere i pugni mattina e sera per costringere il famigerato Cas a tappare le buche, a raddrizzare i bilanci e a tutelare con intransigenza la sicurezza delle autostrade siciliane. Invece Aricò, affiliato pure lui alla confraternita del Balilla, si compiace di frequentare – come ospite pomposamente incensato, coccolato e adulato – il bar che i ragazzacci de “La Digitale” hanno attrezzato da tempo per amministrare la vanità dei politici di mezza tacca; e che non a caso viene chiamato ormai da anni il Bar dei Pagnottisti.