«All’s well that ends well», diceva il buon Guglielmo Shakespeare, insomma tutto è bene quel che finisce bene… E d’altronde non poteva che finir bene la vicenda della riconferma ministeriale di Francesco Giambrone alla sovrintendenza del Teatro Massimo di Palermo, già avallata all’unanimità dal Consiglio d’indirizzo della Fondazione ma inficiata da un’improvvida riflessione del ministro dei Beni culturali, Alberto Bonisoli, cui spetta l’ultima parola in fatto di ratifica dei nomi alla guida dei nostri ex enti lirici. Rifletteva, Bonisoli, qualche giorno fa, sulla “opportunità” della ricandidatura di Giambrone in quanto fratello del vicesindaco Fabio, essendo il Comune socio del teatro stesso ed essendone il sindaco Leoluca Orlando presidente come, per legge, lo sono tutti i primi cittadini dei Comuni dove hanno sede le Fondazioni liriche. Riflessione invero un po’ forzata, questione di lana caprina, non foss’altro perché nel Consiglio di indirizzo che aveva votato all’unanimità la riconferma di Giambrone siede anche un rappresentante del ministro stesso, una sorta di colpo di testa o colpo di coda istituzionale, insomma, di un dicastero di gestione tutto a un tratto traballante (il ministro è in quota 5 Stelle) come tutti gli altri che la crisi ha messo sulla soglia dello scricchiolio. Ad un soffio dalla scadenza della proroga del mandato di Giambrone (ieri, 16 agosto: dopo sarebbe scattato il commissariamento), Bonisoli ci ha ripensato, ha fatto marcia indietro e ha ratificato: e Giambrone sia.
Sarebbe stato difficile, d’altronde, attaccare la roccaforte giambroniana con le medaglie sul campo che l’ex cardiologo – poi critico musicale e di danza, poi assessore, poi ancora sovrintendente di Fondazioni liriche a Palermo e a Firenze (al Maggio), nonché presidente di Conservatori di Musica statali – si è guadagnato in questo ultimo venticinquennio compresa quella – guarda un po’ – che al ministro stesso lo accomuna, l’insegnamento universitario del moderno management.
Questi dunque i crediti, e non son pochi. Per non scendere nei fatti e nei numeri raggiunti proprio al Massimo, nel primo ma soprattutto nell’attuale secondo impero, dallo svecchiamento dei cartelloni anche con la commissione di nuove opere (la prossima, di Ludovico Einaudi, debutta in prima mondiale ad ottobre, regia di Roberto Andò) ma senza dimenticare il buon amato repertorio, dalla chiamata di grandi nomi tra registi-scenografi-costumisti-direttori d’orchestra-cantanti alla pace sindacale, dai conti che tornano nero su bianco sulle pagine del bilancio alla visibilità internazionale del teatro stesso con le tournée e un’accorta politica di promozione presso i turisti e le innumerevoli iniziative collaterali (l’opera-camion nei quartieri popolari, i cori multietnici di ragazzini, i maxischermi nella piazza del teatro con le poltroncine a 1 euro per i titoli più popolari).
Insomma, tra tutti i personaggi di creazione e fede orlandiana, Giambrone Francesco (Fabio, dal canto suo, dopo aver rilanciato l’aereoporto come presidente della Gesap, sta studiando, dicono, da primo cittadino attraverso la lotta alle brutture della città) è certamente il più inattaccabile per competenza ma anche, in tal senso, il meno removibile, al contrario di altri che – a seconda degli umori del regista – compaiono in scena e riscompaiono dietro le quinte con l’acrobatica tempistica di Arlecchini goldoniani. Prove ne siano, proprio di fronte a questa recente, macilenta tentata sconfessione del ministro, la tonante difesa di Giambrone da parte dello stesso Orlando e la levata di scudi generale – dentro e fuori i social – non solo della “città intellettuale” ma anche dei melomani e degli abbonati comuni con “iostoconGiambrone” o “giùlemanidaGiambrone” con tanto di hashtag che, al di là del solidale ristoro, avranno messo in qualche imbarazzo il sovrintendente stesso, un plebiscito, una discesa in piazza, un consenso bulgaro che – fatti i dovuti distinguo tra situazioni e personaggi – se un decimo dello stesso afflato avesse investito a suo tempo Roberto Alajmo non solo sarebbe rimasto a dirigere lo Stabile ma avrebbe avuto anche il governatorato di Ustica.
Insomma, dopo il temporale di mezzo agosto, torna il sereno e Francesco Giambrone resta lì, a piazza Verdi, risorsa, garanzia, custodia: “la” del primo violino nel golfo mistico, applauso al maestro che s’avvia sul podio, attacco dell’orchestra, su il sipario. Rasserenati, pacificati.