Ieri sera Mario Draghi è stato molto duro con Erdogàn e il suo modello. “Chiamiamoli dittatori”, ha detto. Poche ore dopo l’ambasciatore italiano è stato convocato ad Ankara.
Va benissimo. Pane al pane.
Tuttavia, se Draghi avesse usato la metà della franchezza spesa con Erdogàn anche con Giani, Marsilio, Emiliano, Spirlì, De Luca e gli altri, cioè con i presidenti delle regioni italiane che stanno vaccinando a caso, forse sarebbe stato più utile.
Erdogàn se ne frega dell’Italia e di Draghi. Ovviamente. Sui presidenti delle regioni, il capo del governo, invece può tutto: impugnargli le delibere, riaprire le scuole in Puglia, commissariare la sanità, imporgli finalmente di vaccinare gli anziani e i fragili. Mentre loro vaccinano gli amici (i dipendenti regionali) e i minacciosi clienti (i magistrati).
Insomma Draghi è stato durissimo su una cosa sulla quale non ha nessun potere (la Turchia). E piuttosto morbido su quello che invece gli compete.
Addirittura ieri si è innervosito quando un giornalista, Carmelo Caruso, ha messo in relazione le sue parole critiche nei confronti di chi salta la fila ai vaccini con le inadempienze delle regioni. Draghi aveva parlato di “coscienza”.
Una parola nobile.
Non si tratta di “coscienza” anche per i presidenti delle regioni?
A quanto pare no.
Sulle regioni Draghi ha invece utilizzato ancora la parola “collaborazione”.
In pratica ha criticato i giovani che si vaccinano al posto degli anziani. Ma non ha né criticato né è intervenuto su chi questa cosa la consente. Ovvero le regioni. (Non tutte certo).
Colpevolizza le persone e non le istituzioni politiche.
Però tutto d’un pezzo con Erdogàn, eh.
(tratto da Facebook)