Fu Alcide De Gasperi, capo del governo provvisorio, nell’aprile del 1946, a stabilire con decreto che il 25 dello stesso mese divenisse festa a “celebrazione della totale liberazione del territorio nazionale” dall’occupazione nazifascista. In un messaggio immediatamente successivo, lo stesso De Gasperi chiese ai capi partigiani di adoperarsi per “superare lo spirito funesto della discordia e lasciar cadere i risentimenti e l’odio”, perché quel giorno fosse per tutti la ricorrenza della libertà riconquistata dopo vent’ anni di dittatura e l’inizio di un nuovo percorso lungo il quale sarebbe stata costruita la democrazia e garantita la concordia di tutti sui valori della Resistenza.
De Gasperi dal fascismo aveva avuto il carcere e l’esilio, aveva subito lo scioglimento e la messa fuori legge del Partito popolare del quale, dopo Luigi Sturzo, era il segretario e di tutte le altre formazioni. Dalla funesta esperienza del regime e dalla guerra combattuta a fianco di Hitler, l’onore dell’Italia era stato in parte riscattato con la lotta partigiana, che diede il proprio contributo alla vittoria degli alleati sugli eserciti nazisti e su quelli della repubblica di Salò. Quella lotta, insieme all’intelligenza e alla dignità politica del leader democristiano e di coloro che presero la guida del governo in quei momenti drammatici, permise al nostro Paese, di essere ammesso all’interno degli organismi internazionali nati dopo la conclusione del conflitto.
“Sento la responsabilità e il diritto – disse il presidente del Consiglio a Parigi a febbraio del 1947 all’Assemblea per il trattato di pace con le potenze vincitrici – di parlare come democratico antifascista, come rappresentante della nuova Repubblica che, armonizzando in sé le aspirazioni umanitarie di Giuseppe Mazzini, le concezioni universalistiche del cristianesimo e le speranze internazionaliste dei lavoratori, è tutta rivolta verso quella pace duratura e costruttiva che voi cercate e verso quelle collaborazioni tra i popoli che avete il compito di stabilire”.
Il ruolo delle forze partigiane venne confermato dal trattato firmato in quei giorni che, nelle sue premesse, fa esplicito riferimento “alle forze armate italiane, sia quelle governative che quelle appartenenti al movimento della Resistenza che presero parte attiva alla guerra contro la Germania”. Protagonisti di quella Resistenza furono comunisti, democristiani, socialisti, laici e monarchici. Dall’altra parte, dalla parte di chi aveva programmato e realizzato lo sterminio degli ebrei, occupato e tentato di soggiogare l’intera Europa, di chi, in Italia, aveva emanato le leggi razziali, fornito propri cittadini per i forni crematori, condotto il Paese in guerra, c’erano coloro ai quali si richiamano ancora alcuni degli attuali esponenti politici. Le forze della Liberazione, con un eccezionale spirito di unità, scrissero la Costituzione che tuttora regola e garantisce la convivenza della comunità nazionale fondandola su valori antitetici a quelli del regime fascista. “Non possiamo fare una Costituzione a-fascista – disse Aldo Moro nel corso di una seduta dell’Assemblea costituente – cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico il quale ha travolto per anni la coscienza e le istituzioni […] non possiamo dimenticare quello che è stato (il fascismo) perché questa Costituzione emerge da quella Resistenza, da quella lotta, da quella negazione per la quale ci siamo trovati insieme sul fronte della Resistenza […] ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale”. Il risultato elettorale del 18 aprile del 1948, premiando la Democrazia cristiana e le forze con essa alleate, consentì al Paese di collocarsi tra le nazioni libere del mondo occidentale.
È opportuno ricordare che nel 1952 la legge che reca il nome di Mario Scelba, ministro democristiano di un governo presieduto ancora da De Gasperi, inserì nella Carta il divieto della “riorganizzazione sotto qualsiasi forma del disciolto partito fascista”. Un altro ministro democristiano, Nicola Mancino, portò in Parlamento e fece approvare una norma che punisce le discriminazioni razziali, etniche, religiose e prevede lo scioglimento dei gruppi cosiddetti “d’odio”. Se infine è lecito comparare le grandi cose alle piccole, mi piace ricordare che nel 1965, a vent’anni dalla Liberazione, insieme ad altri giovani del mondo cattolico siciliano, costituii, divenendone il segretario, la “Nuova Resistenza cristiana”, per rinnovare tra i nostri coetanei la memoria di quegli eventi e per riproporre la validità dei valori che li ispirarono.
Il riferimento al ruolo avuto da esponenti democristiani nella scelta del 25 aprile come festa della Liberazione, allo spirito antifascista della Carta e al divieto di ricostituzione del partito fascista non vuole rivendicare una esclusività che sarebbe assurda – tali sono apparsi nel tempo alcuni tentativi di appropriazione da parte della sinistra -, semmai intende richiamare alla consapevolezza del valore unitario della ricorrenza che non è una diabolica, divisiva invenzione dei comunisti. Essi ebbero certamente una parte essenziale di natura militare nella lotta partigiana e furono anche mossi dalle posizioni dell’Internazionalismo comunista, e tuttavia insieme a loro combatterono sulle montagne e nelle città uomini e donne, pur con diverse opinioni, accomunati dall’unico obiettivo di riconquistare la libertà.
Tutti insieme poi, collaborarono alla scrittura della Costituzione. Il 25 aprile è, o dovrebbe essere, la festa di tutti gli italiani, nel ricordo di coloro che sui valori di libertà, di democrazia e di pace, antitetici a quelli del fascismo, hanno consentito al Paese di rigenerarsi e di prosperare.
La memoria degli eventi e dei protagonisti dovrebbe favorire la condivisione di una storia anche da parte di coloro che sono stati indotti ad una visione distorta da una propaganda mendace e da una esperienza politica che, al ricordo del fascismo, ha indugiato e tutt’ora indugia perfino nel simbolo.
La conoscenza dei fatti dovrebbe dar forza ai tentativi tuttora parziali ed ambigui del presidente del Consiglio e di parte delle forze politiche che la sostengono ad abbandonare posizioni settarie e antistoriche e a ritrovare una memoria comune indispensabile a preservare e rafforzare la democrazia nella diversità delle posizioni e a superare definitivamente “lo spirito funesto della discordia e dell’odio” del quale parlava in tempi lontani De Gasperi.
Il presidente del Senato, che conserva memoria e simboli di quel fascismo che il 25 aprile di 78 anni fa crollò rovinosamente insieme al nazismo, mentre va a rendere omaggio a Jan Palach, vittima della dittatura comunista, potrebbe ricordare che De Gasperi, il suo partito e la maggioranza degli italiani impedirono al Paese un’esperienza che avrebbe potuto avere analogie con quella cecoslovacca. Lo fecero con la forza dei valori repubblicani, con gli strumenti della democrazia, con il rispetto degli avversari, con il contributo di tutte le forze che si riconoscevano nell’arco costituzionale, pur con visioni a volte duramente contrastanti, rimaste fedeli ai principi della Carta stessa.