Pd, un partito che sa solo costruire le proprie sconfitte

L'ex ministro Peppe Provenzano

Una forte passione politica, si fa per dire, anima i dirigenti del Partito democratico siciliano e li spinge ad un confronto frequente e serrato. Devono eleggere il segretario regionale e rinviano, discutono, si confrontano, litigano. Sono alla ricerca di un’intesa. Non su un programma, su proposte che mirano a riorganizzare e a rafforzare la presenza di quella forza politica nell’Isola, dove ottiene risultati parecchio al di sotto della media nazionale. O su un programma che riguardi i problemi più evidenti della nostra terra, la condizione dell’Autonomia, sempre più asfittica, inefficace e datata.

La questione che intriga e motiva il gruppo dirigente del maggiore partito di opposizione è come scegliere il segretario. Se ricorrere alle primarie aperte o limitare il voto ai tesserati.

E le due tesi sono sostenute da argomenti incontrovertibili. Sono per le primarie coloro che con esse immaginano di avere maggiori possibilità di successo. Sono per limitare ai militanti il diritto di voto quelli che hanno più tessere degli altri.

Detto così può sembrare semplicistico, ma è vero. Attorno a una tale questione si svolge infatti lo stucchevole teatrino nel quale si mette in scena un gioco delle parti.

Quelli che sono con la Schlein, la quale con le primarie aperte vinse, proprio con il suo appoggio – una palese contraddizione che va bene, pur di proteggere i propri amici – sono fermamente contrari ad allargare il voto ai simpatizzanti e agli elettori.

Coloro che si riferiscono a Bonaccini, che aveva prevalso tra i tesserati e dalle primarie aperte venne sconfitto, sono per allargare la platea degli elettori nella scelta del nuovo segretario. Che potrebbe anche essere l’uscente, quello che controlla il maggior numero di cedole, e che oltre tutto ha il “merito” indiscutibile di aver perduto tutte le elezioni che si sono svolte durante la sua permanenza alla guida del partito.

Vuoi non dargli la possibilità di un altro giro, ché chissà non sia quello giusto per portare al successo i riformisti e la sinistra?

In questi giorni il gruppo dirigente democratico tornerà a riunirsi per avviare una procedura che, a definirla barocca, si offenderebbe uno degli stili più rilevanti della nostra storia dell’arte.

All’ordine del giorno del prossimo incontro c’è, infatti, la elezione del presidente del partito, al quale toccherà gestire la fase congressuale. Poi si dovrà definire il regolamento sul voto, che verrà esaminato dalla commissione di garanzia nazionale, con un esito quasi scontato perché la Schlein e i suoi amici sono per limitare il voto ai tesserati. E infine si potrà indire il congresso per eleggere il segretario.

Tutto questo configura una modesta storia autoreferenziale che mira a proteggere il gruppo dirigente e ad avere il controllo delle sedi nelle quali si sceglieranno i prossimi candidati.

Anche di questo vive la politica. Ma se è solo questo, ha pienamente ragione Peppe Provenzano quando dice di non ritenere «che i Siciliani si stiano chiedendo se eleggeremo il segretario con le primarie o con il voto degli iscritti, [semmai] come intendiamo costruire una alternativa alla Meloni e a Schifani».

Provenzano può stare tranquillo. I Siciliani non si chiedono proprio nulla. Quelle vicende non li riguardano, anche perché risultano incomprensibili.

Risulta incomprensibile il linguaggio che parla la politica. Quello della sinistra in modo specifico. E se c’è un modo per capire le difficoltà del centrosinistra, dei riformisti, per spiegare le ragioni del consenso alla Meloni, si possono richiamare molte ragioni, che non riguardano solo il nostro Paese, ma investono una parte rilevante del mondo occidentale. Poi c’è una spiegazione meno complessa e non banale, che dovrebbe interessare i dirigenti democratici e indurli a porsi alcune domande.

A chi parliamo? Chi rappresentiamo? Quali progetti proponiamo e quali valori incarniamo? Gli interessi di quali classi portiamo avanti? Quale identità ci definisce e ci rende diversi dalle altre forze politiche? Quali speranze, quali sogni siamo in grado di far nascere?

Sono queste le cose attorno alle quali si costruisce l’alternativa alla destra. Capisco che è facile fare i titoli, più difficile aggiungere i contenuti. Ma proprio Peppe Provenzano, che ha la mia stima e che avverte quanto banale sia impegnare il Partito democratico quasi esclusivamente sulle questioni che affronta in queste settimane, avrebbe già dovuto e potrebbe ancora, lui, da esperto di economia, da dirigente nazionale ed ex ministro del Mezzogiorno, avviare una riflessione e coinvolgere tutti coloro che si riconoscono in quella forza politica.

Lui, che capisce quanto diverso dagli altri debba essere il Partito democratico, anche perché i suoi elettori e ancor più quelli potenziali, che si rifugiano nell’astensionismo, sono diversi, non dico migliori, semmai più esigenti rispetto a quelli che votano a destra.

Ché per quanto riguarda quest’ultima, neanch’essa parla alla gente, limitandosi ad affermazioni apodittiche, a slogan efficaci, alla denuncia di ciò che non va, a mera propaganda. I suoi esponenti interpretano così due parti nell’opera, quella di forza di governo e quella di opposizione.  Strumentalizzano paure, incertezze, smarrimenti propri del nostro tempo, utilizzandoli per esasperare il disagio. Manipolano ciò che di negativo si palesa. Non propongono né adottano soluzioni, semmai cercano consensi in una permanente campagna elettorale. Tuttavia, al contrario del Pd, rappresentano interessi di ogni natura, anche quelli meno nobili e distribuiscono potere.

In questo contesto, anche in Sicilia la politica «sfuma», i metodi propri della democrazia si imbarbariscono, le diversità si attenuano fino a scomparire. Si utilizzano spesso in modo clientelare e dispersivo le poche risorse che restano, magari in modo concordato tra maggioranza e opposizione. Si risolvono così in modo prevalente l’attività legislativa della Regione e quella amministrativa delle altre istituzioni. In questo modo il Partito democratico ha davvero poche opportunità di risultare alternativo e vincente.

Probabilmente non cerca neppure di esserlo.

Calogero Pumilia :

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