La settimana più drammatica della storia recente del Pd siciliano termina in via Bentivegna, a Palermo. Dove c’è Davide Faraone, il nuovo segretario “senza passare dai gazebo”, che solleva la saracinesca della sede storica del partito. E’ una ripartenza. Anche se il gesto – simbolico – non cancella i venti di crisi e i ricorsi. Ne sono stati inoltrati due contro la sua proclamazione, che di fatto non è ancora tale (a ratificarla sarà l’assemblea regionale, che però è ancora monca): uno porta la firma dei quattro componenti “piccioniani” della commissione regionale per il congresso – Vincenzo Lo Re, Agata Teresi, Franco Nuccio e Domenico Pirrone – che alla medesima commissione chiedono di dichiarare “nulla” la comunicazione dell’elezione di Davide Faraone e “fuori termine” la presentazione delle liste con i 180 candidati all’assemblea regionale. Imputano a Fausto Raciti, segretario uscente, di aver stravolto la procedura, prorogando i termini per la presentazione delle liste in modo arbitrario. L’altra contestazione è mossa da Antonio Ferrante, che lamenta la violazione “del regolamento quadro nazionale”, e di conseguenza tutti gli atti successivi.
Riassumere fatti e cavilli dell’ultimo mese di questa triste storia, che consegna alla Sicilia un Partito Democratico spaccato e triste, è pressoché impossibile. Sono venuti a galla, in modo prepotente, due modi di intendere la politica e una violenza verbale inusuale, che non si è mai vista nemmeno fra schieramenti opposti. Un clima che ha creato sbigottimento e che, forse, le primarie in programma ieri, poi cancellate dal ritiro della Piccione, avrebbero ulteriormente evidenziato con una scarsa partecipazione popolare. Perché per governare un partito – usiamo le parole di Antonello Cracolici – non basta la maggioranza interna se non hai consenso esterno. E il consenso esterno il Pd l’ha perso. E anche Faraone, durante il suo ultimo incontro coi giornalisti, se n’è mostrato consapevole: “Gli ultimi sondaggi ci considerano irrilevanti”. Da qui il tentativo di abbracciare una nuova esperienza, che a Roma – con Matteo Renzi e il naufragio del patto del Nazareno – non è parsa azzeccatissima (17% alle ultime Politiche).
E questo modello coincide – paro paro – con quello di Gianfranco Micciché, che spinge anche i forzisti a buttare anima e corpo in un “campo nuovo” per contrastare il populismo di Lega e Cinque Stelle. Nessuno lo dice – anzi entrambi respingono l’idea di mescolarsi in una massa indistinta di ideali e dirigenti – ma questa idea è viva. Ed è quella da cui rifuggivano e continuano a rifuggire i Lupo, i Cracolici, i Crisafulli. La vecchia guardia mai doma, i “padroni delle tessere” come li ha definiti Faraone. Che adesso rischiano di considerare al capolinea la loro esperienza nel Pd. Piccione, che nell’ultimo mese ha tirato fuori le unghie, ha parlato di Faraone come segretario “illegittimo”. “Fa specie ed è paradossale – ha detto l’ex deputata alla Camera – sentire dire che ‘il Pd è morto’, da chi lo ha gestito a livello nazionale e regionale e ora si ritiene segretario, senza che nessuno che l’abbia votato: né iscritti né elettori”. Andrà in giro, prima di Natale, a spiegare ai circoli e ai simpatizzanti la “sua” verità.
Dall’altro lato c’è il senatore amico di Renzi, che schiva i colpi bassi e non alimenta le polemiche. Un vincitore deve lasciare allo sconfitto l’onore delle armi. Prova soltanto a far valere le sue ragioni: “Ho deciso di dire no ai caminetti, a quelle proposte che avrebbero portato a un segretario da laboratorio e a una unità solo fittizia. Mi hanno proposto di indicare un nome e di restare a Roma e fare il “puparo”. Ho detto di no: questo partito non se lo può permettere, deve ripartire e ho deciso di spendermi in prima persona. Se le primarie non si sono svolte e sono rimasto da solo, non è colpa mia. Ora dobbiamo lavorare per cambiare questo Pd”.
Ma come lo cambi questo Pd se il Pd non esiste più? Più che cambiarlo occorre stravolgerlo. Oppure uscirsene e basta, seguendo la tentazione dell’ex sindaco di Firenze (ma Faraone su questo tranquillizza tutti, non avverrà). Cancellare il passato con un colpo di spugna (“Sono sempre stato contrario a proseguire l’avventura del governo Crocetta” ha evidenziato il nuovo segretario), rinunciando ai grandi “saggi” che si sentono confinati da un modo di fare equivoco, che mira – usando ancora le parole di Cracolici – a fare un Pd che vada oltre il Pd. Poco o per niente identitario, un inestricabile fritto misto che rischia di inzuppare gli ideali della solidarietà, della giustizia sociale, dell’accoglienza. Che rischia di affossare la sinistra.
E se questo è lo scenario più apocalittico, ci sono le dichiarazioni di circostanza, che circumnavigano il politichese e mirano a una ricostruzione partita sotto i peggiori auspici (la cancellazione di un tratto di per sé Democratico come le primarie): “Voglio riaprire tutti i circoli chiusi – ha detto Faraone – e anche una piattaforma social che si chiamerà ‘Proposta positiva’. Lo stesso atteggiamento dovremmo avere all’Ars, oggi completamente bloccata. Cambierà anche il capogruppo? Bisogna certamente far funzionare una legislatura che finora non ha funzionato. Il tema del capogruppo lo affronteremo”. In sei hanno già chiesto la testa di Lupo, uno che iniziò la legislatura da renziano (meno di un anno fa) e ora sta dall’altra parte della barricata. Il Pd Sicilia ha dimostrato quant’è arduo e complicato il risorgimento. Dando da pensare anche ai leader nazionali. Che scaldano i motori in vista del congresso di marzo, ma farebbero volentieri a meno di questo fiume di veleno.