Solo i pochi volenterosi che si ostinano a partecipare alle riunioni del Partito democratico sanno che Anna Maria Furlan, genovese, ex segretaria della CISL, rappresenta Palermo in Senato.

Neppure quei pochi saprebbero comunque indicare una sola iniziativa che trovi un interesse, un’attenzione della ignota senatrice per la città e per la Sicilia.

È arrivata qui catapultata dalla direzione nazionale del Partito democratico, ha sottratto il ruolo ad uno dei dirigenti locali che aveva lavorato per anni a sostenere quella forza politica, è stata accolta con generosità, votata da tutti, specie dal gruppo guidato da Giuseppe Lupo, al quale non fece velo la pretestuosa esclusione dalla lista per le elezioni regionali avvenuta un mese prima.

Eletta, la Furlan è rimasta per due anni e mezzo in un silenzio «operoso». Poche volte è venuta nel suo collegio, non ha mostrato alcuna curiosità per il territorio né interesse per i suoi problemi, non si è intestata nessuna proposta a suo favore.

Alla fine, ha preso il malloppo ed è transitata in un altro partito, conquistandosi un trafiletto sui giornali che hanno attestato la sua esistenza in vita – politica, si capisce.

Lupo ha saputo affrontare il suo profondo disagio con dignità e coerenza e ottenendo dopo qualche tempo rivalsa e riparazione. Lei non ha avuto la stessa forza. Il suo comprensibile fastidio per le scelte della Schlein e in particolare per quelle sul lavoro, appiattite sulle posizioni della CGIL, non la giustifica per l’abbandono della forza che l’ha fatta eleggere, della slealtà nei confronti di chi l’ha votata.

Il Partito democratico, come si dice, è plurale, ma risulta anche superficiale, a volte, nella scelta della propria classe dirigente.

Del resto, la decisione di Furlan fa il paio con quella di Caterina Chinnici, la deputata europea che, eletta nel Partito democratico, è finita in Forza Italia. Condividono entrambe volatilità e incoerenza.

Il loro salto della quaglia rappresenta un altro insuccesso del gruppo dirigente che guida da tempo il partito nell’Isola.

L’abbandono della senatrice coincide con l’arrivo del commissario incaricato di gestire il congresso regionale, tentando di rappacificare i contendenti. Scrivono i giornali che lui ha trovato la sede semivuota e polverosa, con gli addobbi natalizi dimenticati insieme ai fiori finti.

Del resto, finte, fuori dal tempo, vacue sono le forze politiche in Sicilia. Potrebbero non esserci e nessuno se ne accorgerebbe.

Esistendo, oltre a spartirsi il potere litigano, come per trovare almeno una ragione della loro esistenza. Litigano e vengono messe sotto tutela da Roma.

Un commissario in questi giorni è stato inviato anche a guidare Fratelli d’Italia, che plurale come il Pd non è, non litiga su nulla o quasi se non su cose concrete, sui posti da occupare, la «roba» da portare a casa, e talvolta condisce le liti con disastri morali.

Un commissario regge anche la Lega. Quel partito da tempo è in ombra e, a leggere le cronache, riemerge dal letargo quando c’è da pattiare con gli alleati i ruoli nella sanità e nelle strutture di potere.

Guidato dal più strampalato trumpiano d’Italia e senza presunzione d’Europa, negli anni passati si era oltremodo gonfiato, aveva attratto parecchi che avevano avuto il fegato di passare con il «capitano», dimenticando i suoi gloriosi trascorsi separatisti e accettandone «stile», «signorilità» ed «empatia» in particolare per chi affronta drammatici viaggi alla ricerca di sicurezza.

Il processo gastrico sarà stato più pesante per quelli che provenivano da una esperienza democristiana e cattolica del tutto in contrasto con quella leghista. Oggi sono defilati e silenziosi. In evidente difficoltà, tuttavia, non trovano il coraggio di dissentire né l’opportunità di andare da qualche altra parte.

Oltre tutto per loro, per i leghisti siciliani, alcune settimane fa si è aperta una lusinghiera, imperdibile prospettiva. Il commissario – i partiti in Sicilia somigliano ad un posto di polizia – ha prenotato per uno di quel partito la presidenza della Regione. Non subito, fra dieci anni. Bisogna aver pazienza.

Del resto, si diceva, i politici pensano alle prossime elezioni, gli statisti alle prossime generazioni. E questo Durigon, il commissario inviato dallo «strampalato», ha la stazza che lo fa apparire, se non uno statista, un grosso, grasso politico.

Così vanno le cose da noi. Nonostante ciò che avviene nel mondo.

E occuparsene crea disagio, che si tenta di superare ricorrendo all’ironia. Forse così si allevia la profonda inquietudine che la politica, quella terribilmente vera, tragicamente vera, provoca in ciascuno di noi.