“Il Pd non è morto. Da un paio d’anni ci danno per finiti, ma siamo il primo partito sia in Emilia Romagna che in Calabria”. Nello Dipasquale riparte da questi dati per offrire nuovi orizzonti al Pd siciliano. Che oggi s’interroga sulla formula delle primarie e non ha ancora smesso di discutere sui dati dell’ultimo tesseramento: 12 mila iscritti contro i 40 mila dei tempi d’oro. Ma nel giro di pochi anni è cambiato tutto. Le scoppole elettorali e la figuraccia dell’ultimo congresso, con la rimozione del “renziano” Faraone, hanno costretto il segretario Zingaretti ad affidare il partito alle cure di un commissario esterno, Alberto Losacco, ora pronto a farsi da parte. Lascerà la scena ai dirigenti locali, che si misureranno coi fantasmi del passato: le correnti.
Fin qui c’è un solo candidato ufficiale alla segreteria (Antonio Ferrante), gli altri si muovono nella penombra. Ci sarebbe Teresa Piccione (“Ho detto a Lupo che sono disponibile a votarla, purché sia la candidata di tutti e non solo di una parte” ammette Dipasquale), o magari Anthony Barbagallo, un altro dei nomi in lizza. Il rischio di bruciarsi è alto: “La questione è se tenere il partito aperto oppure no – spiega Dipasquale, deputato alla seconda legislatura -. Ma non è una questione siciliana, ne stanno discutendo a Roma. Zingaretti, ma anche Prodi, dicono di andare oltre le tessere e gli iscritti, e coinvolgere quante più persone possibili”.
Ma qualcuno sostiene che il segretario regionale di un partito lo decidono gli iscritti a quel partito…
“Vedo ancora che qualcuno si scandalizza di fronte all’eventualità di aprire la scelta ai territori… Non è il mio caso. Visto il dibattito nazionale, e dato che il partito – come ci insegnano Emilia e Calabria – può guadagnarsi nuove attenzioni da parte di chi non l’aveva più votato, sarebbe un’occasione persa non far partecipare più cittadini ed elettori possibili”.
Come reputa il dato del tesseramento?
“Se avessimo avuto in mano blocchetti di tessere, avremmo potuto farne molte di più. E non per questo dovevano essere fasulle. Nel momento si è deciso di fare il tesseramento online, o durante le manifestazioni preventivamente autorizzate, il discorso è cambiato e le tessere sono diminuite. Alle decisioni che provengono dall’alto ci si adegua anche quando non ci condividono. E comunque diciamo grazie a Losacco per il lavoro svolto, è stato un buon commissario. Ma adesso tocca a noi”.
Lei qualche mese fa è stato il promotore del gruppo dei “pontieri”, all’Ars, per superare i contrasti e lasciarvi alle spalle le correnti. Com’è andata questa operazione?
“Sin dal primo momento abbiamo detto di non essere una componente di partito, e non ci siamo mossi come tale. Siamo uno spazio culturale, politico. I ragionamenti di cui ha bisogno il Pd vanno al di là delle aree e delle logiche nazionali, serve un coinvolgimento quanto più plurale e diverso. Non per mantenere gli equilibri, ma per fare sintesi”.
Ci siete riusciti?
“Ci stiamo provando”.
Presenterete un vostro candidato alla segreteria?
“Nessuno dei deputati che ha aderito a questo spazio culturale è candidato o candidabile, non ci interessa. Ma pretendiamo la più ampia convergenza sul nome del prossimo segretario. L’unità assoluta non esiste, ma almeno cerchiamo di avvicinarci…”.
Cosa cercate in un candidato unitario?
“Un candidato ideale nasce dalla voglia di fare politica e dalla condivisione dei programmi. Deve avere caratteristiche positive, non può essere figlio di contrapposizioni o di guerre”.
Qual è il dato che emerge dalle ultime Regionali in Emilia e Calabria?
“Che il Pd è tornato il primo partito. E che non solo è vivo e vegeto, ma è anche l’unico riferimento democratico, forte e consolidato, rispetto alla Lega di Salvini”.
Salvini lunedì arriva a Palermo. Avete fatto tanto per stopparne la scalata a livello nazionale e ora ve lo ritrovate con un gruppo all’Ars? E’ preoccupato, o è la normale evoluzione della vita politica?
“Di normale non c’è nulla in questa vicenda. Ricordo a tutti che la Lega è un movimento politico che nasce sulla base dell’antimeridionalismo e con un’idea scissionista del Paese. Che ci siano siciliani che votano Lega non mi scandalizzo: una parte di elettorato lo fa perché è di estrema destra e si sente rappresentato da Salvini, un’altra perché si fa affascinare dal populismo, che Salvini incarna alla perfezione. Che alcuni politici, invece, diano respiro al suo progetto lo capisco di meno. O se lo capisco, preferisco non commentarlo”.
Ma la Lega è diventato un partito nazionale, si è evoluta…
“Hanno solo sostituito la paura per i meridionali con quella per i migranti”.
Anche i Cinque Stelle siciliani sono in difficoltà. La spaccatura che si è palesata all’Ars potrebbe incidere nei rapporti col Pd? Dopo l’estate avete mostrato grande compattezza.
“Io ho sempre considerato i Cinque Stelle siciliani diversi dalla classe dirigente nazionale. Con molti di loro, nel tempo, sono riuscito a costruire un rapporto di stima. Ma quello che è successo per l’elezione della vice-presidente (la Foti, ndr) non mi è piaciuto. Penso che qualcuno dei grillini scalpiti per questioni di potere, per la ricerca di posti o visibilità. Lo rinfacciavano ai politici della Prima repubblica, ma sono diventati persino peggio”.
Se fosse il segretario regionale del Pd, approverebbe un’alleanze con il M5s alle prossime Amministrative?
“Senz’altro. Restano degli interlocutori politici. Anche se molti di loro, pur di rimanere legati a una poltrona, sarebbero disposti ad andarsene con chiunque: che sia la Lega o Musumeci”.
A proposito di Musumeci. Pensa che sull’esercizio provvisorio sia stato solo un inciampo, come ha spiegato il governatore? O qualcuno della maggioranza ha voluto dimostrare qualcosa?
“Musumeci cerca di nascondere il sole con la rete. Questa è una maggioranza che c’era, ma è andata perdendosi. Giocano a chi vuole fare l’assessore, a chi vuole cambiarlo, a chi vuole aggiungerne uno… Musumeci s’è tenuto i Beni culturali aspettando l’ingresso in scena della Lega. Per un po’ ha fatto il finto centrista – e non ci ha creduto nessuno – poi è diventato filo-salviniano, e si è recato a Roma per dire che la Sicilia era diventata un campo profughi… A questa sono seguite altre barzellette. Vede, mentre loro discutono di rimpasto, i siciliani sono rimasti senza un’azione di governo degna della nostra Isola”.
Come valuta l’esperimento di Italia Viva. Dopo un avvio sprint, sembra aver perso brio…
“Forse sono il meno adatto a esprimere un giudizio dato che ho sofferto molto per la scissione. Io sono legato a quasi tutta la classe dirigente di Italia Viva, con loro ho avuto rapporti personali e politici, ma sono stato chiaro fin dall’inizio, dicendo che dal Pd non mi sarei mosso. Per me hanno sbagliato ad andarsene. Si va via da un partito quando non se ne condividono più le linee programmatiche o ideologiche, non a causa di contrapposizioni interne. E ve lo dice uno che se ne intende”.
Da Forza Italia al Megafono, dal Megafono al Pd.
“Ho lasciato la posizione comoda da sindaco di Ragusa per una candidatura col Megafono, una lista che aveva appena il 5%. E alle ultime Regionali mi sono ricandidato col Pd nel periodo peggiore della sua storia. Penso che quelli di Italia Viva abbiano fatto male a lasciare, perché la carica programmatica e ideologica del Pd non si è mai esaurita. Ma restano i nostri alleati più vicini. Più del Movimento 5 Stelle”.